Mag 5, 2025 Scritto da 

L’anelito radicale alla Conoscenza reciproca

Completi vs Perfetti

(Gv 10,22-30)

 

Nel cosiddetto Libro dei Segni del quarto Vangelo (Gv cc.1-12) avviene una progressiva rivelazione del Mistero divino che avvolge la Persona di Gesù.

Mentre si precisa tale svelamento, crescono attorno alla sua figura sia l’adesione che l’incomprensione, anche dei vicini - nella misura in cui Egli si discosta dalle aspettative tradizionali circa il Messia condottiero e giustiziere glorioso.

Anche nella nostra esperienza vocazionale, spesso ci siamo accorti che l’esistenza piena e i percorsi di qualità indistruttibile (vv.28-29) non sono sottoposti a esigenze immediatamente appaganti la mentalità comune.

La Vita dell’Eterno (v.28) si rivela come un pungolo: non per mortificare i propositi, ma per farci intraprendere sentieri di crescita.

Il Vangelo non è conferma di gusti, preferenze e convinzioni.

E Gv 10,22-24 applica tale criterio in modo plateale - nell’attrito colpo su colpo coi capi della religiosità conformista: contraddicendo la mentalità degli esperti.

 

La regola religiosa sviluppava l’idea che la Torah potesse ripulire la mente dagli errori, e l’inclinazione delle persone dalle impurità - onde cesellare un popolo gradito a Dio.

Tutto ciò che turbava l’equilibrio prescritto andava subito condannato e punito, in quanto deleterio per la stabilità fissata, la coesione di massa, e la sua stessa efficienza.

La completa configurazione della proposta religiosa indiscutibile, e la magnificenza delle strutture di culto ufficiali, garantivano l’eloquenza e l’imperturbabilità dei condizionamenti (sui disadattati).

Dubbi e insicurezze venivano immediatamente bollati come fattori disturbanti il panorama delle rassicurazioni e il profilo delle normalità - da reprimere sin dall’adolescenza.

Il nuovo Rabbi invece non voleva sterilizzare le emozioni o le situazioni.

Il mondo interiore e le inquietudini non andavano affatto tacitate, bensì incontrate e conosciute.

Del resto [come noi oggi] guardandosi attorno si accorgeva che proprio nelle persone osservanti, portabandiera dell’etica o delle maniere, che reprimevano i moti spontanei o viceversa i criteri profondi, aumentavano grettezza e disturbi.

Proprio coloro che affrontavano la via spirituale… aumentando dirigismi, maniere e controllo, diventavano esageratamente snob, conflittuali e segretamente inaffidabili.

 

Gravato di norme soffocanti, il popolo pur ingenuo era ridotto all’infelicità.

Tutti sentivano inquietudine e arsura - proprio perché l’ossessione di peccato riversata sui malfermi, impediva loro l’integrazione dei desideri.

Insomma, ciò che doveva essere ridotto e annientato per ragioni di consonanza sociale, civile, devota, finiva per penetrare nelle anime in maniera più intima, riaffiorando qua e là in modo paradossale, con doppiezza e squilibri relazionali gravissimi.

Gesù autentica Guida era «amico di pubblicani e peccatori» nel senso che insegnava ad allargare l’armonia dell’essere creaturale.

Voleva Egli stesso apprendere l’arte di guardare senza pregiudizio, e fare tesoro di varie esperienze; di tutto quanto poteva emergere anche nell’intimo.

La perfezione che predicava agli altri era nell’imperfezione del disinteresse, nella irrazionalità dell’amore, nell’assurdo del puro dono e tolleranza che raggranellavano perle di esperienza da ogni dove.

Anzi, secondo il Pastore vero era importante proprio essere turbati, invece che impassibili.

Tutto per conoscere nel tempo e dare senso anche ai segni che preoccupano [anche secondo mentalità pia, o à la page, e allineata] - così completarci.

Imparando ad accogliere, non a stabilire.

 

Il Maestro e Amico autentico sa che... solo quanto tocca, coinvolge, e turba in prima persona, riuscirà a farci spostare lo sguardo, per crescere. Per attivare esodo verso pascoli ubertosi, la terra della libertà.

 

 

Si stava celebrando la Festa della Dedicazione [Festa delle Luci], memoria della purificazione del Tempio, consacrazione e dedicazione di un nuovo altare [successivo alla profanazione ellenista di Antioco IV Epifane, che aveva forzato la mano imponendo il culto a Zeus Olimpio, in quel luogo].

Il dibattito coi maestri istituzionali si svolge come solito nel Portico di Salomone - ogni volta cercando di educarli a mollare il loro senso d’inquisizione e dominio, ancora oggi insopportabile.

Le autorità non sentivano il bisogno di ricercare il Mistero di Dio.

In tal guisa i leaders volevano che Gesù si definisse, per poterlo giudicare secondo i criteri del loro mondo astratto; che impregnavano il loro insegnamento e la mentalità comune.

Viceversa il Maestro anche per noi oggi non si colloca nell’armatura d’idee stabilite, in un quadro prefissato, artificioso, tutto esterno.

Egli non ristagna, bloccato su una lunghezza d’onda; come se fosse timoroso dell’ignoto - quindi per noi latore d’una devozione non allarmante.

 

Cristo è presenza fraterna, certo - non “ratificatore”.

Per introdursi nella vita di Fede e farsi liberatori degli altri bisogna essere emancipati e instancabilmente disponibili, in grado di scuotere le convinzioni - a partire da sé.

Insomma, per coloro che si considerano arrivati e padroni della situazione, i nuovi devono presentare l’imprinting di autorizzazioni, credenziali, permessi - o non si ha diritto di parlare e agire.

Invece il Signore richiama alla confidenza, al colloquio, alla collaborazione: clima propizio che consente al Padre di rivelarsi.

Rifiuta solo il fanatismo, il pensiero sofisticato, cerebrale, di maniera, e unilaterale.

Insomma, Gesù non voleva essere scambiato per «il» [quel] Messia politico atteso: somigliante a Davide. Per tale ragione impone il cosiddetto segreto messianico.

E oltre le parole, che appunto possono sempre esser fraintese, sono le opere di sola vita ad essere linguaggio eloquente (v.25).

Ma è l’animo che non voleva credere: sentimento di quelli che non gli appartengono (v.26).

Infatti la Fede sincera si attiva a partire da una prima testimonianza dentro, nell’essere, nella propria impronta caratteriale e creaturale (Gv 6,44).

 

(Vv.25-26) Se non si porta le persone a pensare in modo differente, dare prove non serve. Il problema è l’occhio tarato, o l’apertura. E solo la percezione dei malfermi è priva di zavorre interessate.

Il mutuo intendimento fra Gesù e i minimi del popolo è trasparenza completa, sintonia totale anche sulla base di un’elementare simpatia: la Via naturale che unisce Padre e figli.

Tutto ciò, a partire da una testimonianza sicura in se stessi, non da un razionalismo religioso preconcetto.

L’essere Uno (v.30) ha motivato Cristo, e ancora oggi guida i famigliari senza voce a sentirsi adeguati, alla pari.

Li conduce al faccia a faccia, senza il bisogno di modelli, trafile, legalismi, modi affettati.

Non a un’obbedienza disciplinare, bensì alla somiglianza profetica.

 

C’infastidisce essere paragonati a un gregge, ma nell’antico Israele l’archetipo del pastore che condivide tutto con le sue pecore rimaneva anche ai tempi di Gesù un prototipo dell’esistenza e della vita di comunione con Dio.

La metafora va compresa nel senso del rapporto famigliare, della condivisione totale: sentire insieme il peso e i traguardi; cogliere lo spirito di ciascuno e vedere le qualità, o provvedere; fiducia anche nell’indigenza.

Nella vita di Fede gli specialisti che guidano dovrebbero introdurci in questa speciale relazione col Padre che conosce ogni suo consanguineo, e ne riscatta la solitudine o viceversa l’esteriorità.

Immediatezza e libertà personale nell’amore sono il cardine del nuovo rapporto con l’Altissimo.

Franchezza che Gesù insegna senza guardare in faccia a nessuno che sia ancora rapito da elementi mondani - tantomeno farsi intimidire da predoni (vv.1.5.8.10.12-13) in vesti angeliche.

La sua Parola e vicenda estrema sono ancora le Porte che guidano [in modo radicale] al Cielo e all’umanità.

Tutto ciò malgrado il suo Messaggio sia considerato pazzesco e demoniaco dagli interessati allo status quo (vv.20-21).

Varcando viceversa tutte le soglie previste, nei nostri squilibri penetriamo i solchi della realtà e del mistero; c’introduciamo là dove maturano regali decisioni - trovando fascino eccedente.

Perfetta corrispondenza con il nostro tratto vocazionale e anelito di vita piena.

 

Conoscenza del cuore

 

Gesù parla di sé come del Buon Pastore che dà la vita eterna alle sue pecore (cfr Gv 10,28). Quella del pastore è un’immagine ben radicata nell'Antico Testamento e cara alla tradizione cristiana. Il titolo di "pastore d’Israele" viene attribuito dai Profeti al futuro discendente di Davide, e pertanto possiede un’indubbia rilevanza messianica (cfr Ez 34,23). Gesù è il vero Pastore d’Israele, in quanto è il Figlio dell’uomo che ha voluto condividere la condizione degli esseri umani per donare loro la vita nuova e condurli alla salvezza. Significativamente al termine "pastore" l’evangelista aggiunge l’aggettivo kalós, bello, che egli utilizza unicamente in riferimento Gesù e alla sua missione. Anche nel racconto delle nozze di Cana l’aggettivo kalós viene impiegato due volte per connotare il vino offerto da Gesù ed è facile vedere in esso il simbolo del vino buono dei tempi messianici (cfr Gv 2,10).

"Io do loro cioè (alle mie pecore) la vita eterna e non andranno mai perdute" (Gv 10,28). Così afferma Gesù, che poco prima aveva detto: "Il buon pastore offre la vita per le pecore" (cfr Gv 10,11). Giovanni utilizza il verbo tithénai - offrire, che ripete nei versetti seguenti (15.17.18); lo stesso verbo troviamo nel racconto dell’Ultima Cena, quando Gesù "depose" le sue vesti per poi "riprenderle" (cfr Gv 13, 4.12). E’ chiaro che si vuole in questo modo affermare che il Redentore dispone con assoluta libertà della propria vita, così da poterla offrire e poi riprendere liberamente. Cristo è il vero Buon Pastore che ha dato la vita per le sue pecore, per noi, immolandosi sulla Croce. Egli conosce le sue pecore e le sue pecore lo conoscono, come il Padre conosce Lui ed Egli conosce il Padre (cfr Gv 10,14-15). Non si tratta di mera conoscenza intellettuale, ma di una relazione personale profonda; una conoscenza del cuore, propria di chi ama e di chi è amato; di chi è fedele e di chi sa di potersi a sua volta fidare; una conoscenza d’amore in virtù della quale il Pastore invita i suoi a seguirlo, e che si manifesta pienamente nel dono che fa loro della vita eterna (cfr Gv 10,27-28).

[Papa Benedetto, omelia per l’ordinazione presbiterale 29 aprile 2007]

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don Giuseppe Nespeca

Giuseppe Nespeca è architetto e sacerdote. Cultore della Sacra scrittura è autore della raccolta "Due Fuochi due Vie - Religione e Fede, Vangeli e Tao"; coautore del libro "Dialogo e Solstizio".

In this passage, the Lord tells us three things about the true shepherd:  he gives his own life for his sheep; he knows them and they know him; he is at the service of unity [Pope Benedict]
In questo brano il Signore ci dice tre cose sul vero pastore: egli dà la propria vita per le pecore; le conosce ed esse lo conoscono; sta a servizio dell'unità [Papa Benedetto]
Jesus, Good Shepherd and door of the sheep, is a leader whose authority is expressed in service, a leader who, in order to command, gives his life and does not ask others to sacrifice theirs. One can trust in a leader like this (Pope Francis)
Gesù, pastore buono e porta delle pecore, è un capo la cui autorità si esprime nel servizio, un capo che per comandare dona la vita e non chiede ad altri di sacrificarla. Di un capo così ci si può fidare (Papa Francesco)
In today’s Gospel passage (cf. Jn 10:27-30) Jesus is presented to us as the true Shepherd of the People of God. He speaks about the relationship that binds him to the sheep of the flock, namely, to his disciples, and he emphasizes the fact that it is a relationship of mutual recognition […] we see that Jesus’ work is explained in several actions: Jesus speaks; Jesus knows; Jesus gives eternal life; Jesus safeguards (Pope Francis)
Nel Vangelo di oggi (cfr Gv 10,27-30) Gesù si presenta come il vero Pastore del popolo di Dio. Egli parla del rapporto che lo lega alle pecore del gregge, cioè ai suoi discepoli, e insiste sul fatto che è un rapporto di conoscenza reciproca […] vediamo che l’opera di Gesù si esplica in alcune azioni: Gesù parla, Gesù conosce, Gesù dà la vita eterna, Gesù custodisce (Papa Francesco)
To enter into communion with God, before observing the laws or satisfying religious precepts, it is necessary to live out a real and concrete relationship with him […] And this “scandalousness” is well represented by the sacrament of the Eucharist: what sense can there be, in the eyes of the world, in kneeling before a piece of bread? Why on earth should someone be nourished assiduously with this bread? The world is scandalized (Pope Francis)
Per entrare in comunione con Dio, prima di osservare delle leggi o soddisfare dei precetti religiosi, occorre vivere una relazione reale e concreta con Lui […] E questa “scandalosità” è ben rappresentata dal sacramento dell’Eucaristia: che senso può avere, agli occhi del mondo, inginocchiarsi davanti a un pezzo di pane? Perché mai nutrirsi assiduamente di questo pane? Il mondo si scandalizza (Papa Francesco)
What is meant by “eat the flesh and drink the blood” of Jesus? Is it just an image, a figure of speech, a symbol, or does it indicate something real? (Pope Francis)
Che significa “mangiare la carne e bere il sangue” di Gesù?, è solo un’immagine, un modo di dire, un simbolo, o indica qualcosa di reale? (Papa Francesco)
What does bread of life mean? We need bread to live. Those who are hungry do not ask for refined and expensive food, they ask for bread. Those who are unemployed do not ask for enormous wages, but the “bread” of employment. Jesus reveals himself as bread, that is, the essential, what is necessary for everyday life; without Him it does not work (Pope Francis)
Che cosa significa pane della vita? Per vivere c’è bisogno di pane. Chi ha fame non chiede cibi raffinati e costosi, chiede pane. Chi è senza lavoro non chiede stipendi enormi, ma il “pane” di un impiego. Gesù si rivela come il pane, cioè l’essenziale, il necessario per la vita di ogni giorno, senza di Lui la cosa non funziona (Papa Francesco)

Due Fuochi due Vie - Vol. 1 Due Fuochi due Vie - Vol. 2 Due Fuochi due Vie - Vol. 3 Due Fuochi due Vie - Vol. 4 Due Fuochi due Vie - Vol. 5 Dialogo e Solstizio I fiammiferi di Maria

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don Giuseppe Nespeca

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