L’orientamento di Conversione in avanti
(Mc 1,14-20)
Non è la chiamata del capo, ma l’invito dell’Amico, che vive in prima persona ciò che annuncia, esponendosi.
È lui che rischia e precede, porgendosi come Agnello. Non si mette seduto a fare lezione e insegnare dottrine.
La sua «Lieta Notizia» (v.15) rivela un volto divino opposto a quello predicato dalle guide ufficiali: il Padre non assorbe le nostre energie, ma le dona in pienezza e gratis.
«Convertitevi e credete nel Vangelo» è infatti una endiadi: i due termini coordinati «convertitevi e credete» esprimono un medesimo significato. Ma non in senso separatista o dottrinale.
In breve:
Il Regno è vicino se grazie al nostro coinvolgimento Dio viene sulla terra per sostituire il tran-tran, e la felicità bussa alla porta.
Trasformazione che giunge; mutamento che irrompe. Non lo si progetta addirittura nei minimi dettagli; non lo si edifica come fosse una impalcatura.
Esso ci volge a qualcosa di profondamente nuovo: scelte di luce in vece del giudizio, del possesso, dell’esercizio del potere, dello sfoggio di gloria.
Il Battista pretendeva preparare la Venuta del Messia; Gesù proclama il Regno già accanto e profondamente conforme agli uomini - presente, quindi semplicemente da accogliere, per vivere appieno.
Al seguito di Giovanni [allievo, insieme ai suoi primi discepoli] il nuovo Maestro aveva colto in modo definitivo la differenza tra dinamiche ascetiche - riduzioniste - e il progetto di salvezza del Padre.
Stimolo verso un’umanizzazione a tutto tondo fondata sullo scambio di doni, la libertà creativa dell’amore, e uno spirito di larga comprensione.
La missione luminosa e di carattere universale del Figlio non viene capita se non da pochissimi - tutta gente fragile e di poco conto - e tarda ad affermarsi.
Troppo difficile far credere ai religiosi giudaizzanti di lungo corso e alle loro realtà consolidate che nessuno ha l’esclusiva: tutti devono solo accettare le nuove Promesse del Patto.
Sino a quando Giovanni [ancora più celebre del Cristo persino durante la sua vita pubblica] non viene imprigionato e messo a tacere, il Figlio di Dio vive quasi all’ombra del Precursore (cf. Gv 3,22-23).
Poi si vede costretto a fuggire anche dal suo piccolo villaggio, tradizionalista e nazionalista (Mt 4,12-13).
Nessuno poteva credere a una realtà divina senza grandi proclami e ardue condizioni.
Nessuno avrebbe immaginato una Gerusalemme diffusa, già fra noi, così spontanea, ordinaria e a maglie larghe - che trascende ma ci accosta tutti.
Troppo difficile passare dall’idea d’imminenza dell’impero di potenza, a una sua Presenza unitiva, non clamorosa - nella Persona d’un Messia servitore, non giustiziere autosufficiente.
Vicinanza tanto dimessa, niente di eccezionale, al pari dei suoi fedeli - “convertiti” sia dalla religione dei padri che dal paganesimo, perciò emarginati.
Nel Primo Testamento la Galilea compare solo di sfuggita, perché i Giudei osservanti non ne apprezzavano la contaminazione di credenze.
Eppure, quella regione di persone sospette diventa la terra del cambiamento di rotta.
In concreto, l’inatteso invito alla Conversione sul suolo di Galilea significa: «Girate la scala di valori!».
C’è infatti una libertà da riconquistare, ma la scena è rapida, perché il giovane Maestro insegna non come fanno i saccenti: con la vita.
Ad Abramo Dio dice «Va’ nella terra che ti indicherò». Gesù non dice «Andate», bensì «Venite».
Abramo è solo un inviato; il discepolo di Cristo in cammino ripropone una Persona, tutta la sua vicenda.
Si interessa alla vita reale: non propugna il ritorno al Tempio, alla religione antica, al culto che avrebbe dovuto rabberciarne la pratica già riconosciuta.
In tal guisa, ecco i primi chiamati: da «pescatori» a «pescatori di uomini» (vv.16-17). Il senso dell’espressione è più chiaro in Lc 5,10 [testo greco].
La nostra missione è sollevare alla vita coloro che non respirano più, e soffocano, avvolti da onde impetuose (le forze della negatività).
Vero compito dell’Apostolo è tirar fuori ciascuno dall’ambito inquinato, dove si vive in modo disumanizzante.
E collocare tutti in un’acqua trasparente, con valori che non sono più quelli della società ripiegata e corrotta - habitat di blocchi ossessivi, utile solo a forti, svelti e astuti.
Il Figlio di Dio chiama per invitarci a tagliar via ciò che degrada l’esperienza della pienezza personale.
Egli promuove in ciascuno il dna del Dio comunionale. Trasmesso interiormente e senza condizioni.
[Commentando il passo del Tao Tê Ching (LXV), il maestro Ho-shang Kung sottolinea:
«L’uomo che possiede la misteriosa virtù è contrapposto e diverso dalle creature: queste vogliono accrescere se stesse, la misteriosa virtù conferisce agli altri»].
Fondamentale è abbandonare le «reti» (v.18): ciò che avviluppa, impedisce, arresta. Anche la «barca» (v.20), ossia il modo di gestire il lavoro.
Persino il «padre» (v.20): la tradizione imposta, che offusca la Luce nuova.
Tutte maglie da spezzare.
Infatti il Signore deve iniziare ben lontano dalla regione osservante e dalla città santa - Giudea, Gerusalemme capitale.
Significa un nuovo approccio, anche se in esso si può continuare a svolgere la vita precedente.
Ma i valori non sono più statici e banali: ricerca del consenso, sistemarsi, trattenere per sé; così via.
Sfavillii fatui, che inculcano idoli esteriori.
Troppo “regolari” e normali, uniformanti; senza unicità né picchi decisivi. Essi pongono mille ostacoli alla libera espressione che ci spetta.
Per dare questi inauditi impulsi Gesù non sceglie ambienti sacrali e persone forse devote che non saprebbero rigenerare nessuno.
Sorvola i palazzi di corte, dai quali non sarebbe nato nulla (cf. Gv. 4,1-4).
Neppure designa qualcuno col titolo che spetta a Lui solo: «Pastore».
E ancora oggi non si capisce perché tutte le tradizioni denominazionali si sono (poi immediatamente) riempite di “pastori”, ossia guide, insegnanti, direttori del “gregge”.
Abbiamo bisogno di attenzione, non di dirigisti che giudicano e pongono sentenze d’inadegautezza. Né desideriamo binari che non ci riguardano, modelli mentali inutili.
La donna e l’uomo d’ogni tempo hanno necessità solo di sostegno sapiente; di compagni di viaggio che aiutano a scoprire i lati nascosti, incogniti, segreti, che possono fiorire.
Maestri che ci lascino completare, consentendo alla personalità di sposare gli aspetti ancora in ombra.
Tale alleanza interiore sarà sorgente di realizzazione, senso di fiducia e pienezza di vita.
Ma a tale scopo bisogna che qualcuno ci insegni a distrarre la mente dal conosciuto, e così intraprendere la Via del “più in là”.
Certo, un pericolo per coloro che amano interpretare le cose con senso di permanenza: insomma, nessuna scorciatoia priva d’incognite.
Strada che cambia la propria e altrui atmosfera mentale; sorvola il modo usato, qualunquista, epidermico, di vedere le cose.
Qui, stando nella nostra Chiamata e naturalezza, saremo noi stessi a tutto tondo. E ci sorprenderemo.
Eccoci nell’azzardo del Dono accolto: solo così in grado di contattare i nostri stati profondi; conoscersi, quindi realizzare sogni inattesi di esperienza aperta e completa.
Appunto, attivando energie sopite.
Come Gesù, in grado di mettere in azione chiunque s’incontra; recuperando i lati opposti e le eccentricità, per un ideale umanizzante, totale.
Dice la Sapienza naturale, nel Tao Tê Ching (LXV):
«In antico chi ben praticava il Tao [la Via], con essa non rendeva perspicace il popolo, ma con essa si sforzava di renderlo ottuso».
La tematica - dal punto di vista biblico evangelico - è appunto in chiave di Esodo: chiara l’allusione al «mare» [v.16; in realtà un lago].
Pertanto, la «Conversione» in avanti che il nuovo Rabbi propone non è un movimento ad U - come spesso si dice.
«Conversione» non riguarda il ritorno devoto al culto e al Tempio, ma un cambio di mentalità e orientamento.
E «Regno di Dio» non allude a un mondo “nei” Cieli: non si parla di aldilà, ma di ambiti in cui si vivono le Beatitudini.
«Conversione»? Autentica, senza i castighi della religione che mortifica. Né - come poi purtroppo avverrà - la sottomissione delle coscienze.
Ovvio, neppure soggezione alcuna al giro dei profitti senza condivisione.
L’ottusità del potere antico, andante, insulso, provinciale - anche di venatura ecclesiastica - è credere che a una voce di denuncia non possa subentrare un Araldo più incisivo.
Invece sì (vv.13-14).
In Cristo lanceremo cambiamenti radicali, facendo emergere e attivando nella gente consapevolezze che valgono e durano nel tempo.
Non più quell’insistere nella ricerca di sicurezze finte, patinate, glamour o di carta pesta, ma un saper trasmettere vita, prendendosi tutti i rischi dell’amore.
La Fede si staglierà ovunque sulla devozione omologante, buona per tutte le stagioni. Per il fatto che non progetta una stasi ulteriore, bensì un Cammino senza posa.
Via, patria, e modo di vedere il mondo, disancorati dalle certezze di scarso peso specifico: infine producono situazioni tanto rassicuranti quanto scadenti.
Allora saremo noi stessi a tutto tondo nella potenza dello Spirito [cf. passo parallelo Lc 4,14] ossia nell’incognita dell’Amore imprevedibile.
E nel rischio della contaminazione: solo così in grado di realizzare anche gli altrui sogni di vita aperta e completa, che va oltre (Lc 4,15).
Come Gesù, e in Lui, per i fratelli. Col suo nuovo modo di attivarsi e marciare.
Non: tenute all’indietro, onde “predisporre” assicurazioni e quel mettere a punto secondo cliché di maniera.
Rotta in avanti senza più i retroscena: ogni traiettoria è personale.
Orientamento che ci trascina in esplorazione e azione, verso un ideale totale.
Per interiorizzare e vivere il messaggio:
Tieni alle assicurazioni? Quali certezze devi ancora lasciare alle spalle?
Coltivi aperture vitali?
Nella Chiesa senti vicinanza e vita in avanti?
O prevalgono i retroscena, i giudizi fatti, le catalogazioni, l’anonimato, lo sfoggio, il distacco?
Se incontrassi Gesù che cammina, percorre, va oltre: come e secondo quali inclinazioni pensi che la tua sterilità potrebbe diventare feconda?