Incarnazione disinvolta, in tenuità e densità
(Mt 1,1-17)
Nell’oriente antico le genealogie indicavano solo uomini, e sorprende che Mt riporti il nome di ben cinque donne - considerate creature solo servili, inaffidabili, impure per natura.
Ma nella vicenda delle quattro compagne di Maria c’è non poco di a-normale [anche per il modello di vita scelto] che però vale la pena.
Eccoci allora interpellati dal Vangelo sul peso da dare alla rigidità delle norme, le quali nella storia della spiritualità hanno spesso divorato l’essere spontaneo dei chiamati dal Padre (semplicemente a esprimersi).
Anche le culture animate da Sapienza di Natura ne attestano il peso.
Scrive il Tao Tê Ching (LVII): «Quando con la correzione si governa il mondo, con la falsità s’adopran l’armi [...] Per questo il santo dice: io non agisco e il popolo da sé si trasforma [...] io non bramo e il popolo da sé si fa semplice».
Per giungere alla pienezza umana del Figlio, Dio non ha preteso superare le vicende concrete, viceversa le ha assunte e valorizzate.
Il cammino che porta a Cristo non è questione di scalate, né di risultati o performance da calibrare sempre meglio in un crescendo lineare quindi moralizzatore e dirigista (che non impone svolte che contano, né risolve i veri problemi).
Commentando il Tao (i) il maestro Ho-shang Kung scrive: «Mistero è il Cielo. Dice che tanto l’uomo che ha desideri quanto quello che non ne ha ricevono parimenti il ch’ì dal Cielo. All’interno del cielo c’è un altro cielo; nel ch’ì c’è densità e tenuità».
Nella storia, l’Eterno riesce a dare ali spiegate non tanto alla forza e al genio, ma a tutte le povere origini, alla pochezza della nostra natura, la quale d’improvviso si tramuta in ricchezza totalmente imprevedibile.
E se di continuo strappiamo il filo, il Signore lo riannoda - non per aggiustare, metterci una pezza e riprendere come prima, ma per rifare un’intera trama nuova. Proprio a partire dalle cadute.
Sono quei momenti del discrimine terra-terra che costringono l'umanità a cambiare direzione simbolo e non ripetersi, stagnando nel circuito dei soliti perimetri cerebrali e puristi - abitudinari, e dove tutto è normale.
In seguito a schianti interiori e ripensamenti, quante persone hanno realizzato il proprio destino, deviando il percorso tracciato, quieto, protetto e confortevole (Cottolengo, madre Teresa, così via)!
Dal fango della palude spuntano fiori splendidi e puliti, che neppure somigliano a quelli cui nelle varie fasi della vita avevamo mai immaginato di poter contemplare.
I ruzzoloni dei protagonisti della storia della salvezza non sono arrivati per debolezza. Erano segnali d’un cattivo o parziale utilizzo delle risorse; stimoli a modificare l’occhio, rivalutare il punto di vista e tante speranze.
Quei crolli hanno configurato nuove sfide: sono state interpretati come provocazioni forti: a spostare energie e cambiare binario.
Le Risalite conseguenti ai ribassi si sono tramutate in nuove opportunità, affatto impreviste, appieno discordanti con le soluzioni già pronte che spengono i caratteri.
Anche la nostra crisi diventa seria solo quando i fallimenti non sfociano in nuove cognizioni e differenti percorsi che non avevamo pensato (forse in nessuno dei nostri buoni propositi).
Strano questo legame tra i nostri abissi e gli apici dello Spirito: è l’Incarnazione, nessuna teoria - tutta realtà.
Non esiste Dono che ci rassomiglia al top divino e che giunga a noi senza passare e coinvolgere la dimensione della finitudine.
I buchi nell’acqua trasmettono la cifra tutta umana di quel che siamo - dietro le illusioni o le stesse apparenze che non vogliamo deporre, per autoconvincerci di essere invece “personaggi” identificati.
Ma le ambivalenze e le falle continuano a voler schiodare il nostro sguardo e destino altrove, rispetto alle attese comuni [oggi anche il parossismo del punto nei sondaggi].
Dietro la maschera e oltre le convinzioni acquisite dall’ambiente, dai modi o dalle procedure... c’è il grande Segreto del Padre su di noi.
Proprio le discese spiritualizzano, attraverso un lavorio dell’anima che viene speronata dalle vicende, affinché volga ad acquistare nuove consapevolezze, interiorizzi differenti valutazioni, veda e abbracci altri variegati orizzonti anche missionari.
Il crack che butta giù può essere più consistente di ogni progresso; non perché avvia un’ascesi: diventa contatto con la “terra” - dove troviamo la linfa che ci corrisponde davvero, per rigenerare.
Il calo o addirittura la rovina di uno status rassicurante ha in ogni accadimento una funzione propulsiva, rigenerativa, trasmutativa; normale, in fondo, e in cui la storia di Dio si riconosce totalmente.
Per interiorizzare e vivere il messaggio:
Quali sono stati i tuoi momenti di svolta?
Quale deviazione ti ha realizzato?
Non solo mediante uomini, bensì Con loro
Con l’odierna Liturgia entriamo nell’ultimo tratto del cammino dell’Avvento, che esorta ad intensificare la nostra preparazione, per celebrare con fede e con gioia il Natale del Signore, accogliendo con intimo stupore Dio che si fa vicino all’uomo, a ciascuno di noi.
La prima lettura ci presenta l’anziano Giacobbe che raduna i suoi figli per la benedizione: è un evento di grande intensità e commozione. Questa benedizione è come un sigillo della fedeltà all’alleanza con Dio, ma è anche una visione profetica, che guarda in avanti e indica una missione. Giacobbe è il padre che, attraverso le vie non sempre lineari della propria storia, giunge alla gioia di radunare i suoi figli attorno a sé e tracciare il futuro di ciascuno e della loro discendenza. In particolare, oggi abbiamo ascoltato il riferimento alla tribù di Giuda, di cui si esalta la forza regale, rappresentata dal leone, come pure alla monarchia di Davide, rappresentata dallo scettro, dal bastone del comando, che allude alla venuta del Messia. Così, in questa duplice immagine, traspare il futuro mistero del leone che si fa agnello, del re il cui bastone di comando è la Croce, segno della vera regalità. Giacobbe ha preso progressivamente coscienza del primato di Dio, ha compreso che il suo cammino è guidato e sostenuto dalla fedeltà del Signore, e non può che rispondere con adesione piena all’alleanza e al disegno di salvezza di Dio, diventando a sua volta, insieme con la propria discendenza, anello del progetto divino.
Il brano del Vangelo di Matteo ci presenta la "genealogia di Gesù Cristo figlio di Davide, figlio di Abramo" (Mt 1,1), sottolineando ed esplicitando ulteriormente la fedeltà di Dio alla promessa, che Egli attua non soltanto mediante gli uomini, ma con loro e, come per Giacobbe, talora attraverso vie tortuose e impreviste. Il Messia atteso, oggetto della promessa, è vero Dio, ma anche vero uomo; Figlio di Dio, ma anche Figlio partorito dalla Vergine, Maria di Nazaret, carne santa di Abramo, nel cui seme saranno benedetti tutti i popoli della terra (cfr Gen 22,18). In questa genealogia, oltre a Maria, vengono ricordate quattro donne. Non sono Sara, Rebecca, Lia, Rachele, cioè le grandi figure della storia d’Israele. Paradossalmente, invece, sono quattro donne pagane: Racab, Rut, Betsabea, Tamar, che apparentemente "disturbano" la purezza di una genealogia. Ma in queste donne pagane, che appaiono in punti determinanti della storia della salvezza, traspare il mistero della chiesa dei pagani, l’universalità della salvezza. Sono donne pagane nelle quali appare il futuro, l’universalità della salvezza. Sono anche donne peccatrici e così appare in loro anche il mistero della grazia: non sono le nostre opere che redimono il mondo, ma è il Signore che ci dà la vera vita. Sono donne peccatrici, sì, in cui appare la grandezza della grazia della quale noi tutti abbiamo bisogno. Queste donne rivelano tuttavia una risposta esemplare alla fedeltà di Dio, mostrando la fede nel Dio di Israele. E così vediamo trasparire la chiesa dei pagani, mistero della grazia, la fede come dono e come cammino verso la comunione con Dio. La genealogia di Matteo, pertanto, non è semplicemente l’elenco delle generazioni: è la storia realizzata primariamente da Dio, ma con la risposta dell’umanità. È una genealogia della grazia e della fede: proprio sulla fedeltà assoluta di Dio e sulla fede solida di queste donne poggia la prosecuzione della promessa fatta a Israele
[Papa Benedetto, omelia al Centro Aletti, 17 dicembre 2009]
L’uomo, cognome di Dio
L’uomo è il cognome di Dio: il Signore infatti prende il nome da ognuno di noi — sia che siamo santi, sia che siamo peccatori — per farlo diventare il proprio cognome. Perché incarnandosi il Signore ha fatto storia con l’umanità: la sua gioia è stata condividere la sua vita con noi, «e questo fa piangere: tanto amore, tanta tenerezza».
È con il pensiero rivolto al Natale ormai imminente che Papa Francesco ha commentato martedì 17 dicembre le due letture proposte dalla liturgia della parola, tratte rispettivamente dalla Genesi (49, 2.8-10) e dal Vangelo di Matteo (1, 1-17). Nel giorno del suo settantasettesimo compleanno, il Santo Padre ha presieduto come di consueto la messa mattutina nella cappella di Santa Marta. Ha concelebrato tra gli altri il cardinale decano Angelo Sodano, che gli ha espresso gli auguri di tutto il collegio cardinalizio.
All’omelia, incentrata sulla presenza di Dio nella storia dell’umanità, il vescovo di Roma ha individuato in due termini — eredità e genealogia — le chiavi per interpretare rispettivamente la prima lettura (riguardante la profezia di Giacobbe che raduna i propri figli e predice una discendenza gloriosa per Giuda) e il brano evangelico contenente la genealogia di Gesù. Soffermandosi in particolare su quest’ultima, ha sottolineato che non si tratta di «un elenco telefonico», ma di «un argomento importante: è pura storia», perché «Dio ha inviato il suo figlio» in mezzo agli uomini. E, ha aggiunto, «Gesù è consostanziale al padre, Dio; ma anche consostanziale alla madre, una donna. E questa è quella consostanzialità della madre: Dio si è fatto storia, Dio ha voluto farsi storia. È con noi. Ha fatto cammino con noi».
Un cammino — ha proseguito il vescovo di Roma — iniziato da lontano, nel Paradiso, subito dopo il peccato originale. Da quel momento, infatti, il Signore «ha avuto questa idea: fare cammino con noi». Perciò «ha chiamato Abramo, il primo nominato in questa lista, in questo elenco, e lo ha invitato a camminare. E Abramo ha cominciato quel cammino: ha generato Isacco, e Isacco Giacobbe, e Giacobbe Giuda». E così via, avanti nella storia dell’umanità. «Dio cammina con il suo popolo», dunque, perché «non ha voluto venire a salvarci senza storia; lui ha voluto fare storia con noi».
Una storia, ha affermato il Pontefice, fatta di santità e di peccato, perché nell’elenco della genealogia di Gesù ci sono santi e peccatori. Tra i primi il Papa ha ricordato «il nostro padre Abramo» e «Davide, che dopo il peccato si è convertito». Tra i secondi ha individuato «peccatori di alto livello, che hanno fatto peccati grossi», ma con i quali Dio ugualmente «ha fatto storia». Peccatori che non hanno saputo rispondere al progetto che Dio aveva immaginato per loro: come «Salomone, tanto grande e intelligente, finito come un poveraccio che non sapeva nemmeno come si chiamasse». Eppure, ha constatato Papa Francesco, Dio era anche con lui. «E questo è il bello: Dio fa storia con noi. Di più, quando Dio vuol dire chi è, dice: io sono il Dio di Abramo, di Isacco, di Giacobbe».
Ecco perché alla domanda «qual è il cognome di Dio?» per Papa Francesco è possibile rispondere: «Siamo noi, ognuno di noi. Lui prende da noi il nome per farne il suo cognome». E nell’esempio offerto dal Pontefice non ci sono solo i padri della nostra fede, ma anche gente comune. «Io sono il Dio di Abramo, di Isacco, di Giacobbe, di Pedro, di Marietta, di Armony, di Marisa, di Simone, di tutti. Da noi prende il cognome. Il cognome di Dio è ognuno di noi», ha spiegato.
Da qui la constatazione che prendendo «il cognome dal nostro nome, Dio ha fatto storia con noi»; anzi, di più: «si è lasciato scrivere la storia da noi». E noi ancora oggi continuiamo a scrivere «questa storia», che è fatta «di grazia e di peccato», mentre il Signore non si stanca di venirci dietro: «questa è l’umiltà di Dio, la pazienza di Dio, l’amore di Dio». Del resto, anche «il libro della Sapienza dice che la gioia del Signore è tra i figli dell’uomo, con noi».
Ecco allora che «avvicinandosi il Natale», a Papa Francesco — com’egli stesso ha confidato concludendo la sua riflessione — è venuto naturale pensare: «Se lui ha fatto la sua storia con noi, se lui ha preso il suo cognome da noi, se lui ha lasciato che noi scrivessimo la sua storia», noi da parte nostra dovremmo lasciare che Dio scriva la nostra. Perché, ha chiarito, «la santità» è proprio «lasciare che il Signore scriva la nostra storia». E questo è l’augurio di Natale che il Pontefice ha voluto fare «per tutti noi». Un augurio che è un invito ad aprire il cuore: «Fa’ che il Signore ti scriva la storia e che tu lasci che te la scriva».
[Papa Francesco, omelia s. Marta, in L’Osservatore Romano 18/12/2013]