Solennità di Pentecoste, Tradizione viva
Negli Inni Sacri Manzoni paragona la caduta spirituale dell’umanità al precipitare di una gran pietra lungo uno «scheggiato» pendio; masso che infine «batte sul fondo e sta».
Per natura non abbiamo le capacità di risospingere il nostro macigno, rotolato a valle e «abbandonato all’impeto di rumorosa frana» [né appunto provvedere ai suoi fracassi].
Ma il Signore conosce l’uomo nel suo bisogno, e sa che non di rado - nel tempo del nostro disagio - esprimendoci anche affrettatamente, peggioriamo le situazioni.
È una condizione, più che una colpa.
Il Cielo Viene per aiutarci a interiorizzare; per imboccare la via della Felicità indistruttibile, evitando che le lacerazioni distruggano anche l’anima.
A tale scopo lo Spirito dispone a vivere un’Attinenza eminente, di Dimora e reciprocità, d’interpretazione e Radice.
Il suo vento potente - Ruah - viene chiamato «Santo» sia per la qualità suprema che per la sua attività: «santificare» ossia separare le persone dalla voragine dell’autodistruzione.
E un discernimento profondo sul tema vita-morte non è alla nostra portata.
Per questo ben quattro dei tradizionali sette Doni dello Spirito Santo hanno un carattere di profondo sapere.
La comprensione globale sulle cose è quanto caratterizza il Dono di Sapienza [dal latino sāpere, avere sapore] che trasmette all’esistere concreto il gusto di Dio stesso.
La Sapienza infonde nel credente una comprensione sottile, dal punto di vista divino, sul panorama e sui singoli tratti del nostro percorso: dubbioso, incerto, condizionato da situazioni a contorno.
L’occhio di Dio coglie la persona nella sua radicale indigenza, che cerca un completamento (proprio mentre l’affanno dei tentativi o dei pareri e degli influssi esterni gioca brutti scherzi).
Per questo motivo, nell’ascetica tradizionale la Sapienza - metro di Dio - si considerava recasse a perfezione la virtù teologale della Carità.
Insomma, l’uomo in sé non è autonomo: necessita di essere colmato e salvato.
Sapienza è fonte d’intuito dei nostri limiti: principio di tolleranza altrui.
Essa ci trasmette una equilibrata connaturalità, e un diverso ‘profumo’ nelle relazioni; pilastro d’una vita dedicata al bene.
Il Dono d’Intelletto [intus-lēgere, leggere dentro le cose] fa scoprire la trama di Dio nella storia e aiuta a valutare se stessi.
Decifrando i segni del tempo con acume di vista, scopriamo la dimensione non puramente terrena delle vicende. In tal guisa, grani divini deposti nel creato e negli accadimenti.
Vediamo in profondità: per questo era considerato Dono che porta a perfezione la virtù teologale della Fede: guida al cuore delle cose e non lascia che giudichiamo banalmente.
Il Consiglio conduce in vetta l’esercizio valutativo della virtù cardinale della Prudenza.
Un tempo i padri spirituali lo associavano alla spiegazione del brano dell’adultera: lei salvata dagli ipocriti e i vecchi marpioni resi immediatamente e finalmente coscienziosi.
Dono che ci fa capire il Disegno della Salvezza e aiuta a decidere per il meglio in situazioni d’impellenza imprevista o pericolo immediato.
È capacità di discernimento contro la precipitazione.
Il Consiglio accentua il dialogo e la sinergia in ordine alla pratica e alle prospettive di realizzazione personale.
Ad es: quante volte siamo stati in ascolto dei consigli di genitori e nonni - per capire il mondo e far tesoro delle loro esperienze e competenze!
Per noi che a fatica scopriamo le cose a portata di mano, tale Dono spalanca la Direzione di Dio: cosa è conveniente in ordine alla nostra maturità e al Fine ultimo.
Il Dono di Scienza porta anch’esso a perfezione la virtù di Fede, in quanto fa comprendere il valore (straordinario) e il limite (così ordinario) delle creature.
La Scienza dall’alto non consente di cadere nel materialismo, né nel disprezzo delle cose mondane - che ultimamente è diniego dell’opera ineffabile e suprema del Creatore.
Dall’indescrivibilmente piccolo della Fisica dei Quanti, all’infinitamente grande della Relatività [e il loro strano universo di mancate correlazioni] sbalordiamo di Dio.
Tutto parla di Lui e può condurci all’Eterno. Tuttavia, nulla lo cattura in modo assoluto.
Conoscere la realtà ad ampio spettro - nonché il contributo vitale di differenti punti di vista e culture - può far capire anche il prossimo.
E induce a comportarsi con competenza fra le cose: del pensiero, della psiche, dell’anima.
L’amore non sorretto da una capacità di versato discernimento non di rado va alla deriva.
Nell’era dei finti intenditori e dirigisti, non c’è forse cosa più devastante d’un impreparato scatenato nell’azione.
Mio padre falegname sapeva che il migliore del suo campo non è l’artigiano che fa più trucioli.
Gli antichi padri spirituali ribadivano volentieri: «per Scientiam homo cognoscit defecus suos et rerum mundanarum».
Lo vediamo negli insegnamenti approssimativi e persino nei parossismi delle teologie divorate dalla vanità: intimistiche e chiuse, o praticone ma esterne; disincarnate, favolistiche, o balorde.
Grazie al Dono di Fortezza, riconoscendoci deboli diamo spazio al vigore di Dio, non solo nelle grandi prove.
L’azione di spillo può sgretolare la nostra vita, più di una sciabolata.
E chi non ha forza interiore è malato, nelle difficoltà conformista; si barcamena e se ne lava le mani.
Il minimalismo attenua, snerva, fa diventare uomini-bonsai, che vegetano a lungo - restando rattrappiti.
Costanza, coraggio e tenacia sono un aiuto alla debolezza; solo con grinta diamo il meglio, anche nella relazione con Dio - perfezionando la stessa virtù cardinale della fortezza.
Il Dono di Pietas - virtù famigliare - infonde alla religione il cuore; il carattere d’intimità e tenerezza.
È sentimento figliale che integra e dirada la paura dello schiavo di fronte al padrone.
Un tempo era considerato Dono che portava in vetta la virtù cardinale della Giustizia [verso Dio] non come dovere di culto, bensì espressione di amicizia.
Riconoscimento della Gratuità ricevuta senza merito: creaturale e redentiva.
Il Timore di Dio guidava infine a perfezione la virtù teologale della Speranza, carattere dell’essere vivente che tutto attende dal Padre.
La Pentecoste era una festa ebraica che celebrava il dono della Legge. Il cambio di passo della Fede l’ha trasformata nel compleanno del popolo che dispiega nella storia il Volto amabile del Signore.
Non per una differente dottrina, ma per l’Azione d’un Motivo e Motore che ci porta, e rinnova il mondo in modo che non t’aspetti.
Magari con virtù passive più che attive. Grazie a un Sapere infuso o innato, spontaneo e naturale, più che artificiale.
Dimorando nella Persona ricondotta alla Sorgente e nella trama del Noi, il Padre non si pronuncia emanando leggi come il Dio-padrone delle religioni antiche.
Piuttosto, si esprime nella creatività polifonica della vita e nell’inedito dell’amore - unico linguaggio convincente, in grado di edificare.
Comprensibile a tutti.
Insomma, nella convivialità delle differenze ciascuno è se stesso, in rapporto di scambio arricchente.
Trasparenza nella carne della condizione celeste.
Così l’Incarnazione continua: riflesso nell’umano dell’unità, verità e intensità d’intesa Padre-Figlio.
Qui anche la polvere può diventare Splendore, perché il complesso delle virtù cardinali individuali e teologali viene sublimato e perfezionato nella Relazione: il Noi dello Spirito.
Tale Eros fondante è tutt’Altro: addirittura in grado di trasmutare la nostra incoerenza in stato energetico per Nuovi Orizzonti.