Mag 10, 2024 Scritto da 

Increduli Andate

Mc 16,15-20 (9-20)

 

La notizia impensabile del contrario, e l'incredulità degli Apostoli

(Mc 16,9-15)

 

«Come è universale la grande Via! Può stare a sinistra come a destra» [Tao Tê Ching (xxxiv)].

 

Malgrado le difficoltà a credere, i discepoli vengono costituiti araldi della Notizia di Dio.

Lieta Novella favorevole all’umanità che intende viaggiare verso se stessa - senza più il bagaglio dei soverchianti accumuli della tradizione, o il condizionamento delle mode.

Gesù fa emergere il portato delle capacità trasmutative già in dote a ciascuno, per la comunione con Dio e i fratelli, nel cammino della vita e nel senso di rinascita che vi si annida.

La sua Persona e vicenda c’insegna che tutto ciò si sviluppa dopo un dolore, i travagli, esperienze di rifiuto, pensieri di fallimento e morte... [per noi oggi, anche in riferimento a nuovi assetti, o crisi globali, guerra, emergenza sanitaria].

In tale ottica che pare rovesciata, la sua proposta soppianta il giogo oppressivo delle perfezioni esterne predicate dalla religione; sostituite da nostre semplici virtù famigliari, colte dal di dentro.

Non: fare proseliti, allestire, combattere, bensì ‘accogliere’. Non: ‘obbedire’ a Dio, ma ‘somigliare’ a Lui essendo se stessi; così via.

 

La Chiesa non avrebbe dovuto diventare una comunione etica di eroi e santi, ma di peccatori e indecisi.

Infatti, la vicenda degli apostoli increduli ci conforta: siamo già abilitati, e con attitudine alla pienezza. Ma nel suo capovolgimento.

È la risurrezione che ci manda fra gli uomini, appunto da rigenerare; proprio come noi.

Quindi la condizione di “apostolo” intreccia le proprie radici nel poco a poco dell’esistenza concreta.

Non è sottoposta alla solita trafila dottrinale, morale, devota, delle cose grandi; non tarda più ad essere assunta.

Malgrado il credere in sé rimanga fragile, facciamo di continuo esperienza di rigenerazione dalle nostre macerie - nel migliore dei casi continuando a far nascere ancora l’intero organismo dello spirito, e l’universo interiore.

Tutto ciò plasma una coscienza d’inadeguatezza differente: quella nella Fede - solo positiva, che capisce i fratelli e sa giustificare le resistenze all’Annuncio.

Infatti è nel recupero delle sorprese, dei lati opposti e delle contraddizioni che siamo diventati - nel proprio - esperti della difficoltà.

In tal guisa, più in grado di percepire i disagi; perfino il sentirsi svuotati - come stato energetico preparatorio.

Poi abbiamo imparato l’ascolto delle emozioni: anche il sentirci travolti - perfino nelle idee.

Nonché la necessità di cogliere o perdersi nei dolori, perfino insopportabili.

E non temere la solitudine, chiave d’accesso ai tesori della propria eccentricità e Chiamata per Nome.

 

Insomma, al fine di una realizzazione vocazionale, ciascuno è già perfetto.

Nel suo portato d’energie difformi, deve solo imparare a incontrare i lati di sé cui ancora non ha dato spazio.

Come se dentro di noi avessimo una molteplicità di ‘volti’ - spesso tutti da scoprire, dietro un qualche guscio che resiste.

Sono energie plasmabili, potenze, altri assetti; occasioni che completano, e guidano infallibilmente alla fioritura personale e sociale.

Qui passiamo dall’esperienza di morte-risurrezione alla vera testimonianza, nella spontanea franchezza d’essere stati abilitati come evangelizzatori.

Cosa che ci sorprende. Ma adesso il Messaggio fa corpo con noi stessi.

Richiamo di pace, però esplosivo - incredibile, e lo si vede più dai limiti (ora nulla da temere) che dalla capacità di allestire cattedre e vetrine.

Dopo Cristo non bisogna più “migliorare” secondo accezione comune.

Non v’è attesa e proposito à la page, o che guardino e si abbeverino alla fonte del passato. Essi che poi ci ricollocano nella medesima situazione prevedibile di sempre.

Per i malfermi discepoli, la religione era la negazione di se stessi nel profondo.

Viceversa, la vocazione diveniva lo sviluppo di ciò che ognuno era nell’intimo, e che non si era dato: la strada della realizzazione di sé nel contributo ai fratelli.

Unica arma convincente, la genuinità: franchezza che arde dentro per farci santuari inconsapevoli e incompleti, eppur viventi.

Sola via per incontrare le anime.

 

Le chiese di prima generazione erano piccole realtà sperdute nell’immensità dell’impero. Comunità minimali «in mezzo» alla vastità di un mondo segnato da princìpi differenti.

Fraternità popolari animate da una passione che le rendevano testimonianza visibile e Manifestazione della vita del Risorto.

Lo spirito delle origini era l’unica prova e possibilità di riconoscimento del Cristo.

Poi per difendersi dalle critiche iniziarono a spuntare le liste di “apparizioni”, ma solo a partire dalla seconda generazione di credenti.

Oggi non appare più? No, ancora si Manifesta nel suo popolo.

Questa è tutta la partita.

La difficoltà ad accettare i segnali che convincono della Presenza di Gesù e del suo stesso Spirito possono essere superati.

Non con l’organizzazione, che affievolisce l’unicità. Qui non si vive. Non col perfezionismo, che boicotta l’espressione delle nostre qualità.

Ma grazie alla convivialità delle differenze, e annunciando «a tutti» la «buona notizia» (v.15) che il Signore oltrepassa l’esperienza di quanto è già risaputo.

«Andate»: se non si fa Esodo, non si scatena lo Spirito. Non ci si deve perdere nella ricerca del consenso esterno.

È all’interno di un Cammino non selettivo che impariamo a trasformare i nostri disagi in risorse preziose per affrontare futuro.

La Lieta Novella da annunciare, appunto, è: il Padre è amabile; vuole prendersi cura.

Esatto contrario di ciò che predicavano le false guide sia del giudaismo che di qualsiasi cultura dell’impero.

Non un Dio sanguisuga che spersonalizza; viceversa, un Padre che dona.

Non il Dio della religione, che aspetta per la resa dei conti. Perché accentua le trasmutazioni.

Egli è Radice dell’essere e Relazione fondante. Dono che incessantemente Viene per attivare l’esuberanza di fioriture.

Non un grigio Legislatore e compassato Giudice, il quale impone norme o mette in castigo - per tenere tutti sotto controllo.

L’Eterno invita e trasmette la sua stessa eccedenza - persino discorde - per fondersi, e dilatare aspetti, risorse, volti difformi. Possibilità di realizzazione di ciascuno.

Impensabile, prima di Gesù.

 

 

Per interiorizzare e vivere il messaggio:

 

Come superi il dubbio, ripiegandoti? Cosa annunci con la tua vita? Essa oltrepassa l’esperienza diretta? Conosci realtà che manifestano il Risorto? Come additi sentieri esuberanti di speranza? Oppure sei selettivo e taci?

 

 

Andate in tutto il mondo e proclamate, insieme con Lui

(Mc 16,15-20)

 

L’appendice di Mc (16,9-20) presenta alcune manifestazioni del Risorto e l’assunzione in cielo.

È la cosiddetta Ascensione (v.19) ossia la Pasqua del Cristo secondo la categoria semitica dell’intronizzazione regale.

Il testo riflette un ambiente carismatico che fa pensare a una comunità assai primitiva, meno configurata che in altri Vangeli [meno articolata in: responsabili, mansioni, discepolato,  segni liturgici, e disciplina]

Le premesse al brano odierno non sono totalmente edificanti: Gesù rimprovera gli Undici per non aver creduto.

Essi hanno storicamente opposto una pervicace resistenza, perché coltivavano attese contrarie.

Mc insiste.

La trasmissione della Fede passa sì per delle figure particolari e profetiche. Si diffonde attraverso fraternità molto ridotte e dotate di sensibilità particolari. Ma anche i testimoni meno critici non devono scoraggiare.

L’adesione al Risorto è stata incerta perfino da parte di coloro che lo hanno conosciuto personalmente e vissuto con lui.

Malgrado ciò, Dio considera colpevole solo l’ostinazione.

Il Messaggio da annunciare e cui aderire in prima persona è talmente inusuale che in un primo tempo può creare ritrosie e scetticismo - come è stato addirittura fra gli apostoli, leaders della Chiesa nascente.

Anche loro erano dei deboli e incerti che sono stati resi convinti, più forti e decisi, per Dono; nell’esperienza di comunione interpersonale, descritta in filigrana nello stesso mandato (vv.17-18).

La condivisione all’interno di una fraternità vitale ha prodotto però nuove percezioni - più radicate nell’essere - e un afflato crescente.

Così sull’onda come di una catena energetica, ogni Seme è divenuto consapevolezza che via via ha imparato a corrispondere alla sua chiamata e non lasciarsi disturbare da veleni.

Tale riconoscimento della Presenza divina nel suo nuovo Volto si è rivelata e riversata su emarginati e malati - i minimi e imperfetti prima considerati nelle religioni puniti dalla sorte o addirittura maledetti da Dio.

L’atmosfera di amicizia e comprensione che aveva soppiantato l’antagonismo sociale e spirituale, e il sentirsi accolti anche in condizioni precarie, ha favorito ogni cura, qualsiasi espressione di gratuità.

Cristo ha così continuato a dispiegare la sua opera nella storia, rendendosi vivo nel popolo umano e divino che lo attesta. Suo influsso e trionfo - che ovunque si fa vittorioso sui germi di morte.

Suo unico “potere”.

 

In ogni persona o gruppo vi sono accadimenti decisivi, tappe di rigenerazione e nuova nascita.

Mc tenta di descrivere il cambiamento di Presenza di Gesù, che continua a guidare i discepoli passo passo anche nelle prime titubanze successive alla sua morte ingloriosa.

La missione sembrava non precisamente definita [come viceversa nelle ideologie religiose] e superiore alle forze in campo.

Con la sua ispirazione e forza, Cristo ha voluto rimanere per sempre presente nei suoi discepoli, manifestandosi vivo nei segni citati dal testo.

Non sono prodigi dimostrativi - sebbene dalla fine del II sec. la smania apologetica ha voluto imporsi nella narrazione di fede, e anche noi l’abbiamo purtroppo ereditata.

L’Annuncio è accompagnato dal linguaggio nuovo dell’amore e dalle sue meraviglie, le quali però non sono prove, bensì un lieto messaggio:

Lo Spirito del Cristo vivente nella Chiesa va realizzando un altro regno.

 

Anche l’affermazione del v.19 è teologica. L’immagine richiama gli usi delle corti orientali.

Qui è utile per esprimere il giudizio inverso di Dio sulla sconfitta terrena del Figlio - e dei suoi.

Poi, il versetto conclusivo del Vangelo secondo Mc testimonia finalmente la convinzione dei discepoli di avere accanto il Signore, di non essere soli e orfani.

 

In tal guisa e nello Spirito di disinteresse autentico, la Risurrezione è diventata un fatto che attraversa il tempo, fino a oggi.

Mistero intimo e Meraviglia, nostro ‘respiro’ e slancio - affinché il mondo sia un luogo favorevole alla vita piena di tutti.

 

 

Umili per cose grandi: salus animarum vs salus idearum

 

Magnanimità nell’umiltà. È lo stile di vita del cristiano che voglia realmente essere testimone del vangelo sino agli orizzonti estremi del mondo. I contorni di questo modo d’essere «missionari nella Chiesa» sono stati tratteggiati da Papa Francesco, questa mattina, giovedì 25 aprile, durante l’ormai consueta celebrazione della messa nella cappella della Domus Sanctae Marthae […]

Come sempre il Pontefice ha commentato le letture del giorno, tratte dalla prima lettera di san Pietro (5, 5-14) e dal vangelo di Marco (16, 15-20). «Gesù, prima di salire al cielo, invia gli apostoli a evangelizzare, a predicare il regno. Li invia fino alla fine del mondo. “Andate in tutto il mondo”» ha esordito. E ha poi sottolineato l’universalità della missione della Chiesa, rimarcando il fatto che Gesù non dice agli apostoli di andare a Gerusalemme o nella Galilea, ma li invia in tutto il mondo. Dunque, apre un orizzonte grande. Da ciò si può capire la vera dimensione della «missionarietà della Chiesa», che va avanti predicando «a tutto il mondo. Ma — ha avvertito il Papa — non va avanti da sola; va con Gesù».

Dunque gli apostoli partirono e predicarono dappertutto. Ma «il Signore — ha precisato — agiva insieme con loro. Il Signore lavora con tutti quelli che predicano il Vangelo. Questa è la magnanimità che i cristiani devono avere. Un cristiano pusillanime non si capisce. È propria della vocazione cristiana questa magnanimità: sempre di più, sempre di più, sempre di più; sempre avanti».

Tuttavia — ha avvertito — può anche capitare qualcosa «che non sia tanto cristiana». A quel punto, «come dobbiamo andare avanti? qual è lo stile che Gesù vuole per i suoi discepoli nella predicazione del Vangelo, in questa missionarietà?» si è chiesto il Pontefice. E ha indicato la risposta nel testo di san Pietro, il quale «ci spiega un po’ questo stile: “Carissimi rivestitevi di umiltà, gli uni verso gli altri, perché Dio resiste ai superbi ma dà grazia agli umili”. Lo stile della predicazione evangelica va su questo atteggiamento, l’umiltà, il servizio, la carità, l’amore fraterno».

Il Papa ha poi immaginato la possibile obiezione di un cristiano dinanzi al Signore che propone questo stile: «“Ma Signore, noi dobbiamo conquistare il mondo!”». E ha mostrato cosa ci sia di sbagliato in questo atteggiamento: «Questa parola, “conquistare”, non va. Noi dobbiamo predicare nel mondo. Il cristiano non deve essere come i soldati che quando vincono la battaglia fanno piazza pulita, di tutto».

A questo punto Papa Francesco ha fatto riferimento a un testo medioevale nel quale si narra che i cristiani, dopo aver vinto una battaglia e conquistata una città, misero in fila tutti i pagani e li schierarono tra il battistero e la spada, imponendogli di scegliere: l’acqua, cioè il battesimo, o l’arma, cioè la morte. E ha affermato: «Non è questo lo stile del cristiano. Il suo stile è quello di Gesù, umile».

Il cristiano — ha spiegato — «predica, annuncia il Vangelo con la sua testimonianza più che con le parole. Mi diceva un vescovo saggio, d’Italia, pochi giorni fa: “Alle volte noi facciamo confusione e pensiamo che la nostra predicazione evangelica deve essere una salus idearum e non una salus animarum, la salute delle idee e non la salute delle anime. Ma come si arriva alla salute delle anime? Con l’umiltà, con la carità. San Tommaso ha una frase bellissima su questo: “È come andare verso quell’orizzonte che non finisce mai perché è sempre un orizzonte”. E allora come procedere con questo atteggiamento cristiano? Lui dice non spaventarsi delle cose grandi. Andare avanti, tenendo conto anche delle piccole cose. Questo è divino. È come una tensione fra il grande e il piccolo; tutte e due, questo è cristiano. La missionarietà cristiana, la predica del Vangelo della Chiesa, va per questa strada».

La conferma sta proprio nel vangelo di Marco. Il Papa lo ha notato: «Non si può procedere in altro modo. E nel Vangelo, alla fine, c’è una frase bellissima quando dice che Gesù agiva insieme con loro e “confermava la parola con i segni che l’accompagnavano”. Quando noi andiamo con questa magnanimità e anche con questa umiltà, quando noi non ci spaventiamo delle cose grandi, di questo orizzonte, ma prendiamo anche le cose piccole, come l’umiltà e la carità quotidiana, il Signore conferma la Parola e andiamo avanti. Il trionfo della Chiesa è la risurrezione di Gesù. C’è la croce prima».

«Chiediamo oggi al Signore — ha concluso — di diventare missionari nella Chiesa, apostoli nella Chiesa ma con questo spirito: una grande magnanimità e anche una grande umiltà».

(Papa Francesco, omelia s. Marta, in L’Osservatore Romano 26/04/2013)

 

 

La Vittoria del Risorto è il suo Popolo, nella cura del creato

 

[Vangelo della Conversione di s. Paolo]

(Mc 16,15-18)

 

Paolo - che siamo noi - riesce a sganciarsi da pastoie d’asservimento a una religione antiquata e selettiva. Scopre la gioia di vivere.

La severa tradizione viene soppiantata, assieme a tutto il suo portato di falso e vuoto ideale di perfezione (individualista o di cerchia).

Vede le opportunità, appieno. Incontra e intuisce il meglio, che lo persuade a lanciarsi nel rischio della vita di Fede.

Riconosce l’Amore che ben dispone, umanizza, convince intimamente perché recupera, reintegra e fa conviviali le differenze e i propri stessi opposti.

Qui scopre l’autentico tratto divino. Qualità che surclassa le norme di purità farisaiche - solo sterilizzanti - cui aveva precipitosamente aderito.

Tutto ciò lo smonta, gli fa sperimentare un altro Regno, il quale trasmette una diversa Visione - senza più condizioni d’indefettibilità impossibili.

Il vissuto fraterno degli intimi al Signore lo costringe: sente di dover crollare dall’empireo in cui si era posto.

Cade non da cavallo, ma dai piedistalli artificiosi della credenza ereditata - che non lo incoraggiava a crescere, da dentro.

Sperimenta le dinamiche attive d’una grazia che non sovrasta; immeritata e preveniente - che fa il primo passo.

La riscontra fin nella propria vita intima lacerata, e nel carattere attento, ospitale, delle prime comunità: ne rimane affascinato.

 

Certo, l’improvvisa “conversione” può incidere a sua volta in modo altrettanto radicale, appassionato… e opposto alle scelte “inamidate”.

Il senso eccessivo, da capogiro - forse diversamente unilaterale, da “riformatori” - può essere tipico dei capovolgimenti dal precedente conformismo ingessato.

E può di nuovo diventare a senso unico.

Ma effettivamente, come segno della sua Presenza, Gesù ha lasciato uno spirito libero.

Non passerelle vintage, né sagre, o festival. Neppure fantasie di un mondo astratto e cerebrale, disincarnato.

Non un’ideologia fissa, e neppure una reliquia - o luoghi e tempi particolarmente dedicati.

In tale franchezza, che scatena lo Spirito, oggi ci riconosciamo tutti.

Segnatamente: nello spirito dell’Esodo e nell’afflato avventuroso dell’Apostolo delle genti, che ovunque e a chiunque proponeva il Risorto.

Questi è davvero Vivente nell’opera del suo Popolo che evangelizza senza posa né steccato (v.15) - ma nella misura in cui esso balza dall’idolo della distinzione alla convivialità delle differenze.

Dalle contrapposizioni e rovesciamenti, alla Comunione. La quale non è un torrente in piena, né attitudine urlata, perché fa spazio a migliore comprensione, valorizzando altri punti di vista.

 

Il compito appare grandioso e sembrerebbe superiore alle nostre forze, ma intanto possiamo dare inizio a un’atmosfera nuova vivendo in modo meno distratto; appunto, annunciando «a ogni creatura» (v.15).

L’espressione contiene l’invito a spalancare gli orizzonti di salvezza anche a tutto il creato - di cui non siamo i padroni.

Dopo decenni di saccheggio del territorio e proprio mentre il mondo delle devozioni è andato avanti indifferente, forse iniziamo a capire che Dio c’interpella a essere custodi, non predatori.

[Chiamati a una qualità di relazione totalmente differente da quella opportunista che abbiamo avuto sotto gli occhi e forse contribuito a perpetrare - proprio mentre le chiese erano ancora zeppe, assopendo le coscienze, nonché molte energie vitali].

Insomma, il Risorto attiva un modo, un luogo e tempo nuovi: sia per incontrare noi stessi e le persone, che piante e animali.

 

L’Annuncio della Salvezza che siamo invitati a proclamare continua con altri «segni» e messaggi assai pratici, i quali però nulla hanno a che fare con la competizione nei confronti di maghi e indovini (vv.17-18).

Purtroppo, il senso di queste righe interpretate a orecchio rischia di chiudere le folle in quel fraintendimento che può insinuare tutto un modo di pensare e uno stile ancorati allo strazio della spiritualità convenzionale, vuota di contenuto e incisività.

Siamo infatti ancora appassionatissimi della ricerca di visioni, prodigi dimostrativi e fenomeni da religione-spettacolo.

Abbiamo alle spalle un corposo filone storico che a partire dal secondo secolo ha voluto imporre una concezione apologetica dei “miracoli”: colpi di folgore assolutamente dozzinali e oggi motivo di giusto rifiuto.

In sostanza, la “predicazione del Vangelo” non tratta di cose arcigne, o di eccezionalità (pur qua e là plausibili).

È piuttosto un’opera di umanizzazione a maglie larghe, grazie alla quale le persone abbandonano l’aspetto aggressivo e pericoloso della loro natura.

Questo avviene sino a oggi, in favore dell’incontro e del dialogo.

Le forze di autodistruzione e morte vengono scacciate - non per prodigio puntuale, fulmineo, bensì a motivo d’un processo di assimilazione di contenuti, amicizia forte, esodo, e realizzazione.

 

Spesso l’accompagnamento spirituale della Parola e di una comunità autentica aiutano le persone a liberarsi dalle ossessioni d’indegnità che bloccano la vita - quindi a scoprire lati della personalità e potenze inespresse.

A commento del Tao Tê Ching (XLVII), il maestro Ho-shang Kung scrive: «Il santo [...] dalla propria persona conosce la persona altrui, dalla propria famiglia conosce la famiglia altrui: da queste egli guarda il mondo».

Sboccia in tale clima un linguaggio completamente nuovo: quello dell’accoglienza e Ascolto sensibili, primo passo per una nuova comunicazione.

Essa ad es. consente di spostare lo sguardo, di acquisire saperi,  conoscere chi non immaginavamo, frequentare altre regioni e culture; così via.

I «veleni» - anche quelli che non è facile identificare - vengono resi innocui, non perché ci si passa sopra e si fa finta che non esistano. Non siamo chiamati a essere dissociati.

Semplicemente, si prende atto del proprio carattere vocazionale e delle variegate inclinazioni altrui. Niente di ciò che è umano è solo «letale» (v.18).

 

Così - lasciando che ciascuno segua la propria natura - si diventa reciprocamente tolleranti e più ricchi, migliorando la convivenza; senza isterismi o forme di maniera.

Su tale onda vitale, ovunque può apparire un’attenzione impareggiabile ai deboli, malati, emarginati.

Attitudine naturale sapiente di attenzione agli ultimi, non più forzata e faticosa o imposta, bensì spontanea e schietta.

Con estrema naturalezza, proprio i malfermi sono ora messi in grado di farsi centro della famiglia, di comitive, dei gruppi, dell'attività ministeriale.

Istituzione a servizio, la nuova Chiesa; che via via espunge il modello dirigista dei grandi e autosufficienti.

In tal guisa, il nostro dna divino si manifesta quando realizziamo recuperi impossibili.

Insomma, siamo portatori di una forza in grado di ricreare donne e uomini - persino disperati che hanno smarrito energie e la stima di sé.

 

Fin dai primordi, con stile pratico, di fatto ecumenico e interreligioso, nessuna appartenenza denominazionale particolare è stata in grado di annientare lo spirito di convegno e convivenza, innato nell’umanità in ricerca.

In concreto, la proposta del Signore ha sempre lasciato spazio agli apporti singolari, alle potenze e immagini anche istintive, alle lotte interiori - non denigrate in partenza come nelle religioni.

Il Risorto si è manifestato ed espresso attraverso la Missione della sua Comunità amabile, luogo favorevole allo scambio dei doni; alla composizione delle distanze, alla felicità profonda.

Questo è stato il suo modo proprio di rivelare al mondo l’Amore del Padre - senza eccesso di proclami - e rimanerci accanto.

 

 

Per interiorizzare e vivere il messaggio:

 

Quali sono i segnali di nuova vita che hai potuto e voluto ricevere, assimilare, mettere in atto, e più ti corrispondono?

 

 

Oltrepassare i confini culturali e religiosi

 

«Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo ad ogni creatura» (Mc 16,15); «fate discepoli i popoli tutti», dice il Signore (Mt 28,19). Con queste parole Gesù invia gli Apostoli a tutte le creature, perché giunga dovunque l’azione salvifica di Dio. Ma se guardiamo al momento dell’ascensione di Gesù al Cielo, narrata negli Atti degli Apostoli, vediamo che i discepoli sono ancora chiusi nella loro visione, pensano alla restaurazione di un nuovo regno davidico, e domandano al Signore: «è questo il tempo nel quale ricostituirai il regno per Israele?» (At 1,6). E come risponde Gesù? Risponde aprendo i loro orizzonti e donando loro la promessa e un compito: promette che saranno ricolmi della potenza dello Spirito Santo e conferisce loro l’incarico di testimoniarlo in tutto il mondo oltrepassando i confini culturali e religiosi entro cui erano abituati a pensare e a vivere, per aprirsi al Regno universale di Dio. E agli inizi del cammino della Chiesa, gli Apostoli e i discepoli partono senza alcuna sicurezza umana, ma con l’unica forza dello Spirito Santo, del Vangelo e della fede. È il fermento che si sparge nel mondo, entra nelle diverse vicende e nei molteplici contesti culturali e sociali, ma rimane un’unica Chiesa. Intorno agli Apostoli fioriscono le comunità cristiane, ma esse sono «la» Chiesa, che, a Gerusalemme, ad Antiochia o a Roma, è sempre la stessa, una e universale. E quando gli Apostoli parlano di Chiesa, non parlano di una propria comunità, parlano della Chiesa di Cristo, e insistono su questa identità unica, universale e totale della Catholica, che si realizza in ogni Chiesa locale. La Chiesa è una, santa, cattolica e apostolica, riflette in se stessa la sorgente della sua vita e del suo cammino: l’unità e la comunione della Trinità.

(Papa Benedetto, allocuzione al concistoro 24 novembre 2012)

 

Fede non quieta.

Trasmessa non per convincere ma per offrire un Tesoro

 

San Marco, uno dei quattro evangelisti, è molto vicino all’apostolo Pietro. Il Vangelo di Marco è stato il primo a essere scritto. È semplice, uno stile semplice, molto vicino […]

E nel Vangelo che abbiamo letto adesso - che è la fine del Vangelo di Marco - c’è l’invio del Signore. Il Signore si è rivelato come salvatore, come il Figlio unico di Dio; si è rivelato a tutto Israele, al popolo, specialmente con più dettagli agli apostoli, ai discepoli. Questo è il congedo del Signore, il Signore se ne va: partì e «fu elevato in cielo e sedette alla destra di Dio» (Mc 16,19). Ma prima di partire, quando apparve agli Undici, disse loro: «Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo ad ogni creatura» (Mc 16,15). C’è la missionarietà della fede. La fede, o è missionaria o non è fede. La fede non è una cosa soltanto per me, perché io cresca con la fede: questa è un’eresia gnostica. La fede ti porta sempre a uscire da te. Uscire. La trasmissione della fede; la fede va trasmessa, va offerta, soprattutto con la testimonianza: “Andate, che la gente veda come vivete” (cfr v. 15).

Qualcuno mi diceva, un prete europeo, di una città europea: “C’è tanta incredulità, tanto agnosticismo nelle nostre città, perché i cristiani non hanno fede. Se l’avessero, sicuramente la darebbero alla gente”. Manca la missionarietà. Perché alla radice manca la convinzione: “Sì, io sono cristiano, sono cattolico…”. Come se fosse un atteggiamento sociale. Nella carta d’identità ti chiami così e così… e “sono cristiano”. È un dato della carta d’identità. Questa non è fede! Questa è una cosa culturale. La fede necessariamente ti porta fuori, ti porta a darla: perché la fede essenzialmente va trasmessa. Non è quieta. “Ah, Lei vuol dire, padre, che tutti dobbiamo essere missionari e andare nei Paesi lontani?”. No, questa è una parte della missionarietà. Questo vuol dire che se tu hai fede necessariamente devi uscire da te, e far vedere socialmente la fede. La fede è sociale, è per tutti: “Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo ad ogni creatura” (v. 15). E questo non vuol dire fare proselitismo, come se io fossi una squadra di calcio che fa proselitismo, o fossi una società di beneficenza. No, la fede è: “niente proselitismo”. È far vedere la rivelazione, perché lo Spirito Santo possa agire nella gente attraverso la testimonianza: come testimone, con servizio. Il servizio è un modo di vivere. Se io dico che sono cristiano e vivo come un pagano, non va! Questo non convince nessuno. Se io dico che sono cristiano e vivo da cristiano, questo attira. È la testimonianza.

Una volta, in Polonia, uno studente universitario mi ha domandato: “Nell’università io ho tanti compagni atei. Cosa devo dire loro per convincerli?” – “Niente, caro, niente! L’ultima cosa che tu devi fare è dire qualcosa. Incomincia a vivere, e loro, vedendo la tua testimonianza, ti domanderanno: ‘Ma perché tu vivi così?’”. La fede va trasmessa: non per convincere ma per offrire un tesoro. “È lì, vedete?”. E questa è anche l’umiltà della quale parlava San Pietro nella Prima Lettura: «Carissimi, rivestitevi tutti di umiltà gli uni verso gli altri, perché Dio resiste ai superbi, ma dà grazia agli umili» (1Pt 5,5). Quante volte nella Chiesa, nella storia, sono nati movimenti, aggregazioni, di uomini o donne che volevano convincere della fede, convertire… Veri “proselitisti”. E come sono finiti? Nella corruzione.

È così tenero questo passo del Vangelo! Ma dov’è la sicurezza? Come posso essere sicuro che uscendo da me sarò fecondo nella trasmissione della fede? «Proclamate il Vangelo ad ogni creatura» (Mc 16,15), farete meraviglie (cfr vv. 17-18). E il Signore sarà con noi fino alla fine del mondo. Ci accompagna. Nella trasmissione della fede, c’è sempre il Signore con noi. Nella trasmissione dell’ideologia ci saranno i maestri, ma quando io ho un atteggiamento di fede che va trasmessa, c’è il Signore lì che mi accompagna. Mai, nella trasmissione della fede, sono solo. È il Signore con me che trasmette la fede. Lo ha promesso: “Io sarò con voi tutti i giorni fino alla fine del mondo” (cfr Mt 28,20).

Preghiamo il Signore perché ci aiuti a vivere la nostra fede così: la fede da porte aperte, una fede trasparente, non “proselitista”, ma che faccia vedere: “Io sono così”. E con questa sana curiosità, aiuti la gente a ricevere questo messaggio che li salverà.

(Papa Francesco, s. Marta omelia 25 aprile 2020)

 

 

Riassumendo, per interiorizzare e vivere il messaggio:

 

Come superi il dubbio, ripiegandoti? Cosa annunci con la tua vita? Essa oltrepassa l’esperienza diretta? Conosci realtà che manifestano il Risorto? Come additi sentieri esuberanti di speranza? Oppure sei selettivo e taci?

Quali prodigi di salvezza hai avuto in dono? Quali recuperi inspiegabili hai operato con Gesù? Oltre le incertezze, intravedi il Signore che costruisce il suo regno? Qual è il suo modo diverso di esserti vicino?

Quali sono i segnali di nuova vita che hai potuto ricevere, assimilare, mettere in atto, e più ti corrispondono?

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don Giuseppe Nespeca

Giuseppe Nespeca è architetto e sacerdote. Cultore della Sacra scrittura è autore della raccolta "Due Fuochi due Vie - Religione e Fede, Vangeli e Tao"; coautore del libro "Dialogo e Solstizio".

Familiarity at the human level makes it difficult to go beyond this in order to be open to the divine dimension. That this son of a carpenter was the Son of God was hard for them to believe [Pope Benedict]
La familiarità sul piano umano rende difficile andare al di là e aprirsi alla dimensione divina. Che questo Figlio di un falegname sia Figlio di Dio è difficile crederlo per loro [Papa Benedetto]
Christ reveals his identity of Messiah, Israel's bridegroom, who came for the betrothal with his people. Those who recognize and welcome him are celebrating. However, he will have to be rejected and killed precisely by his own; at that moment, during his Passion and death, the hour of mourning and fasting will come (Pope Benedict)
Cristo rivela la sua identità di Messia, Sposo d'Israele, venuto per le nozze con il suo popolo. Quelli che lo riconoscono e lo accolgono con fede sono in festa. Egli però dovrà essere rifiutato e ucciso proprio dai suoi: in quel momento, durante la sua passione e la sua morte, verrà l'ora del lutto e del digiuno (Papa Benedetto)
Peter, Andrew, James and John are called while they are fishing, while Matthew, while he is collecting tithes. These are unimportant jobs, Chrysostom comments, "because there is nothing more despicable than the tax collector, and nothing more common than fishing" (In Matth. Hom.: PL 57, 363). Jesus' call, therefore, also reaches people of a low social class while they go about their ordinary work [Pope Benedict]
Pietro, Andrea, Giacomo e Giovanni sono chiamati mentre stanno pescando, Matteo appunto mentre riscuote il tributo. Si tratta di lavori di poco conto – commenta il Crisostomo -  “poiché non c'è nulla di più detestabile del gabelliere e nulla di più comune della pesca” (In Matth. Hom.: PL 57, 363). La chiamata di Gesù giunge dunque anche a persone di basso rango sociale, mentre attendono al loro lavoro ordinario [Papa Benedetto]
For the prodigious and instantaneous healing of the paralytic, the apostle St. Matthew is more sober than the other synoptics, St. Mark and St. Luke. These add broader details, including that of the opening of the roof in the environment where Jesus was, to lower the sick man with his lettuce, given the huge crowd that crowded at the entrance. Evident is the hope of the pitiful companions: they almost want to force Jesus to take care of the unexpected guest and to begin a dialogue with him (Pope Paul VI)
Per la prodigiosa ed istantanea guarigione del paralitico, l’apostolo San Matteo è più sobrio degli altri sinottici, San Marco e San Luca. Questi aggiungono più ampi particolari, tra cui quello dell’avvenuta apertura del tetto nell’ambiente ove si trovava Gesù, per calarvi l’infermo col suo lettuccio, data l’enorme folla che faceva ressa all’entrata. Evidente è la speranza dei pietosi accompagnatori: essi vogliono quasi obbligare Gesù ad occuparsi dell’inatteso ospite e ad iniziare un dialogo con lui (Papa Paolo VI)
The invitation given to Thomas is valid for us as well. We, where do we seek the Risen One? In some special event, in some spectacular or amazing religious manifestation, only in our emotions and feelings? [Pope Francis]
L’invito fatto a Tommaso è valido anche per noi. Noi, dove cerchiamo il Risorto? In qualche evento speciale, in qualche manifestazione religiosa spettacolare o eclatante, unicamente nelle nostre emozioni e sensazioni? [Papa Francesco]
His slumber causes us to wake up. Because to be disciples of Jesus, it is not enough to believe God is there, that he exists, but we must put ourselves out there with him; we must also raise our voice with him. Hear this: we must cry out to him. Prayer is often a cry: “Lord, save me!” (Pope Francis)

Due Fuochi due Vie - Vol. 1 Due Fuochi due Vie - Vol. 2 Due Fuochi due Vie - Vol. 3 Due Fuochi due Vie - Vol. 4 Due Fuochi due Vie - Vol. 5 Dialogo e Solstizio I fiammiferi di Maria

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