don Giuseppe Nespeca

don Giuseppe Nespeca

Giuseppe Nespeca è architetto e sacerdote. Cultore della Sacra scrittura è autore della raccolta "Due Fuochi due Vie - Religione e Fede, Vangeli e Tao"; coautore del libro "Dialogo e Solstizio".

Lunedì, 16 Settembre 2024 14:49

Vincere la Gara

Lunedì, 16 Settembre 2024 05:46

Nostalgie e Desiderio: convulsioni a muso duro

(Lc 9,51-56)

 

Gesù intende operare un bel graffio controcorrente - e per farlo deve battersi: non gli bastava fare carriera “pettinando” le pecore.

Comprende che sono i tornanti e le crisi senza stabilità che producono il Risultato di Dio - quando scende in campo la tenacia della Fede.

Il giovane Rabbi lascia la sua regione per confrontarsi severamente e senza compromessi con la realtà consolidata della città santa - eterno intreccio d’interessi.

Sarà una lotta all’ultimo sangue, perché la posta in gioco è la felicità della gente.

Indurisce il volto senza buonismi [v.51 cf. testo greco] e va, ben sapendo quale crudele impegno si accollava.

Nessuno con la “testa sulle spalle” avrebbe avuto il fegato di esporsi a quel mortale pericolo.

L’opposizione del potere che vuole perpetuarsi è feroce, ma il Figlio di Dio non si lascia schiacciare dalle prudenze.

Il clima con cui inizia il suo Esodo è già pesante, ma non desiste.

Il Signore ancora manda messaggeri [Angeli] «davanti al suo volto» (v.52). Non rinuncia a diffondere l’onda vitale della sua proposta.

Infatti Egli valutava le relazioni spirituali “stabili” del suo tempo assai ambigue: esse accendevano i conflitti interiori - sebbene come oggi spegnessero quelli esterni, smussandoli (solo per un po’).

E nella Persona del Cristo, ‘Apostolo’ è chi tira la situazione in direzione opposta a quella consuetudinaria o fascinosa, disincarnata, sofisticata; comunque esterna.

Creando lo scompiglio che risolve i veri problemi, il Maestro in primis si distacca dal qualunquismo.

Non perché il conflitto si potrà poi “ricondurre”, “gestire”, “aggiustare” - con un diverso vincitore (vv.54-55).

A viso aperto, proprio i bisticci che esplodono serviranno a diradare le nebbie, accendere le anime, generare differenti sentieri (v.56).

Quindi - anche d’improvviso - si creerà la possibilità di mettere insieme forze nuove, risorse inedite e consapevolezze antiche.

 

Il Padre si serve di vie traverse, che s’intersecano e sovrappongono. Per una Genesi di Felicità a tutti i costi, anche a muso duro.

Lasciando uscir fuori il nostro carattere grintoso - non solo nei casi estremi - il Timoniere dell’anima, l’Amico irriducibile, potrà guidare la rotta personale e il viaggio di tutti. Favorendo il raggiungimento di obbiettivi caparbi e liberanti.

Se viceversa la storia fosse già stata scritta e in tal guisa la via permanesse esteriore, le esperienze sarebbero sempre quelle.

La vita non partorirebbe altre forme; solo riduzioni.

E le domesticazioni forzate possono sottrarci la ricchezza celata, rubando il destino personale: questo il vero errore da evitare!

Altrimenti, smarrita l’energia-Persona che porta a destinazione, l’Unicità impallidirebbe nelle mediazioni che ci tengono in ostaggio.

 

 

Per interiorizzare e vivere il messaggio:

 

Qual è lo stile della tua testimonianza? Sei indignato, irascibile e furente, o semplicemente deciso?

 

 

[Martedì 26.a sett. T.O.  1 ottobre 2024]

Lunedì, 16 Settembre 2024 05:43

Nostalgie e Desiderio: convulsioni a muso duro

Lc 9,51-56 (51-62)

 

Gesù intende operare un bel graffio controcorrente - e per farlo deve battersi: non gli bastava fare carriera “pettinando” le pecore.

Comprende che sono i tornanti e le crisi senza stabilità che producono il Risultato di Dio - quando scende in campo la tenacia della Fede.

Il giovane Rabbi lascia la sua regione per confrontarsi severamente e senza compromessi con la realtà consolidata della città santa - eterno intreccio d’interessi.

Sarà una lotta all’ultimo sangue, perché la posta in gioco è la felicità della gente.

Indurisce il volto senza buonismi [v.51 cf. testo greco] e va, ben sapendo quale crudele impegno si accollava.

Nessuno con la “testa sulle spalle” avrebbe avuto il fegato di esporsi a quel mortale pericolo.

 

L’opposizione del potere religioso e culturale che vuole perpetuare il mondo antico è feroce, ma il Figlio di Dio non si lascia schiacciare dal modo di concepire dominante e corrivo, né dalle prudenze.

Il clima con cui inizia il suo Esodo è già pesante, ma non desiste.

Ciò significa che anche noi dobbiamo amare i nostri lati spigolosi e irremovibili. Essi scenderanno in campo a momento opportuno, quando sarà necessario de-cidere.

Nella franchezza, non ci mancherà occasione di fare tagli seri - ad es. col malcostume “bancario” (o qualunquista) coperto di ostentazioni; con le buone maniere della devozione ufficiale [organiche a perpetuarne il sistema ambiguo], così via.

Il Signore ancora manda messaggeri [Angeli] «davanti al suo volto» (v.52). Non rinuncia a diffondere l’onda vitale della sua proposta.

Divino Volto, eccolo in parte ostile; più che risoluto, per uno scontro con quell’istituzione che degradava l'umanità.

Infatti Egli valutava le relazioni spirituali “stabili” del suo tempo assai ambigue: esse accendevano i conflitti interiori - sebbene (come oggi) spegnessero quelli esterni, smussandoli (solo per un po’).

 

Nella Persona del Cristo, Apostolo è chi tira la situazione in direzione opposta a quella consuetudinaria o fascinosa, disincarnata, sofisticata; comunque esterna.

Creando lo scompiglio che risolve i veri problemi, il Maestro in primis si distacca dal qualunquismo.

Non perché il conflitto si potrà poi “ricondurre”, “gestire”, “aggiustare” - con un diverso vincitore (vv.54-55).

Dio non ha bisogno di riaffermarsi, neppure attraverso un leader che faccia sfumare lo stile del vecchio Tempio, sostituendo un metodo di governo con un altro - più o meno purificato e convincente.

Gesù non si presenta al mondo e al cuore di ciascuno come semplice Profeta.

Non vuole rabberciare il ritorno al culto, né la pratica dell’antica religione. Neppure intende tenersi a distanza di sicurezza, lanciando narrazioni a effetto, ammodernate, futuribili, “à la page”.

Sa che solo a viso aperto, proprio i bisticci che esplodono serviranno a diradare le nebbie: accendere le anime, generare differenti sentieri (v.56).

Quindi - anche d’improvviso - si creerà la possibilità di mettere insieme forze nuove, risorse inedite, e - perché no - perfino consapevolezze antiche.

 

Insomma, le mistiche soporifere, da ignavia non militante (distaccate dal perdere e perdersi che ci rigenera) sono false.

Non corrispondono ai Vangeli e non preparano la Venuta del Signore, ossia altri territori da esplorare.

Chi continua a venerare sicurezze, punti di riferimento o nuovi manierismi [in sé pur plausibili (vv.57-62)] non fa che gestire un mondo di morti.

Chi accoglie Cristo deve aprirsi a una Novità che non sa, interna ed esterna; in grado di far emergere aspetti cui ancora non si è dato spazio.

Passando, Gesù viene rifiutato (v.53) proprio perché falsamente annunciato dai suoi. Ancora intimi senza respiro.

Il nuovo Maestro ha una Visione pratica che non riflette uno qualsiasi dei culti arcaici, ma li soppianta.

In tal guisa, Egli sconvolge tutta una impostazione falsamente identitaria: commemorativa e nostalgica, o senza spina dorsale.

 

È l’unico episodio di Lc in cui i samaritani (sinonimo di «eretici») dribblano il Figlio di Dio. Un fallimento completo.

Ciò proprio perché i “messaggeri” che aveva inviato a disporre i cuori lo avevano predicato come Messia nazionalista e trionfatore, non servitore.

Inoltre, in Lui c’è qualcosa di radicalmente insolito - che non si può discutere o combattere in modo ordinario, dottrinale, consueto.

Il Maestro non va in qualche cittadella “santa” a sterilizzare o perpetuare l’antica ideologia settaria e intollerante. Ma a rifiutarla.

Egli incenerisce (vv.54-55) e annienta le configurazioni acclamate, non i popoli allontanati dai recinti (venerandi, fondamentalisti, o ipocriti e scapicollo solo fantasiosi).

Il Signore non procede verso il grande Tempio per scansare le ostilità con una sua proposta perbene, che poi avrebbe fatto ingoiare tutto a tutti.

Il giovane Rabbi non ha mai amato quel tipo di elucubrazioni o attendismo e rimpianto di pii desideri e buone intenzioni che fa deperire l’anima (generazione dopo generazione).

Chi arando un terreno si volge indietro non traccia un solco diritto (v.62).

In modo assai deciso il Maestro si mette nei guai per denunciare quel mondo di schiavitù, deviante e ideologico; incapace di sviluppo.

 

Le nostre alternative al suo atteggiamento spericolato hanno portato ulteriore scollamento tra segni e vita.

Non facciamoci illusione di tappe o domicili intermedi, nidi accalorati e tranquilli (v.58) di pallida consolazione.

La Fede interpella il coraggio, sino alla violenza verso il proprio spontaneo lasciar correre i fastidi e le cose grandi, che tormenterebbero l’irenismo sociale [del posto fisso] con disagi e appelli contromano.

Seccature che però sorprendono e guidano la vita Altrove.

Sollecitazioni per l’Esodo; un nuovo inizio colmo di Desiderio; un differente sapere interno che accende l’esterno; una tolleranza nella diversità vitale dei caratteri.

Invece del solletico di besciamelle, maritozzi con panna, morbide caramelle e manufatti di pasticceria zucchero-e-miele, tutti piacevoli, Dio agisce attraverso convulsioni.

Il Padre si serve di vie traverse, che s’intersecano e sovrappongono. Per una Genesi di Felicità a tutti i costi, anche a muso duro.

Lasciando uscir fuori il nostro carattere grintoso - non solo nei casi estremi - il Timoniere dell’anima, l’Amico irriducibile, potrà guidare la rotta personale e il viaggio di tutti.

Favorendo il raggiungimento di obbiettivi caparbi e liberanti.

 

Per quanto si possa venire condizionati da aspettative circostanti, prima o poi ci si rende conto che il proprio cuore batte altrove, rispetto alle convenzioni.

Non vuole più sottostare; inizia a deviare dall’idea trasmessa d’integrità o cinismo sociale (ed ecclesiale) - che fa rima col perbenismo locale.

Questo capita ad es. anche ai preti, quando si accorgono di essere entrati in un ingranaggio che sacralizza le abitudini e non le fa crescere. O quando avvertono di essere divenuti il perno di pratiche effimere, e ansiogene, invece che liberanti.

Impiegato stagnante e non pastore, situazionalista opportuno e silente invece che missionario; corifeo d’una situazione ereditata col compito di tenere buono il campanile…

In provincia, collocato anche in trincea, ma solo per fare da filtro - a tutela di seccature e affari “centrali”, rispetto a esigenze o pressioni di periferia.

Coglie allora che sta smarrendo se stesso, la propria identità di carattere - il motivo per cui è al mondo.

 

Malgrado le sicurezze materiali, in coscienza sente giungere angosce e frustrazioni (crisi del “personaggio” a modo: segno inequivocabile che non è quella la strada).

Il tedio o l’avversione si affacciano nel suo cuore affinché riazzeri gli stessi malesseri, e si affidi a una solidità ben differente dall’eredità; dallo stallo e retorica delle forze in campo.

C’è un modo diverso di sentirsi vicino alle persone, come Gesù: essere se stessi, affinché anche gli altri siano; avviando tutti su sentieri di libertà interiore.

Libertà che sostiene l’essenza particolare, facendo argine alle modalità costituite, e alla realtà pressante - solo da confermare, anzi benedire (al massimo, riconfezionare).

La Comunione sarà qui una convivialità delle differenze, resa autentica da forze innate.

È lo spazio concesso al Mistero che ci rende indipendenti e fraterni - perché ora deriviamo la nostra attrazione dalla Fonte comune, nascosta ma abbondante.

E quanto avviene ci muove, ma non opprime più, né distrugge la Visione vivente dinanzi agli occhi di ciascuno.

L’obbedienza dell’anima sposa non manca, però diventa relazione immediata col Signore che chiama e guida alla vita piena. Aiutando a riconoscere ciò che istintivamente corrisponde, e distinguendo ciò che non è importante e va lasciato cadere.

Lo sguardo interiore e il Cristo dentro sosterrà, affinché diventiamo autonomi ed elaboriamo un cielo nuovo - i cui lineamenti abbiamo percepito sin dall’inizio. Essi che ci hanno portato a non agire per conservare il mondo antico.

La nostra Eco innata costituirà un tale Richiamo da assumere un potere decisivo su calcoli, timori, angherie, amarezze, persecuzioni.

Il risultato sarà felicemente educativo, anche in favore degli avversari, i quali inizieranno almeno a presumere il senso del nostro andare nel mondo.

A mani aperte - non piene.

 

«Guai a voi, pettinatori di pecore» - direbbe il Pontefice, che volentieri ha aggiunto nei confronti di alcuni responsabili: «Siate padri, non padroni, né prìncipi». E neppure «amministratori di cordate»!

Calcolo e buonsenso porterebbero verso la direzione più sicura e sperimentata, ma il Fuoco vocazionale dentro incessantemente potrà recuperare le istanze del Nucleo ideale. 

Troppo disordine? Come ha ribadito Papa Francesco: «per lo Spirito, il disordine è un bel segno».

L’anima lacerata, che non si riconosce più, se troppo mortificata da banalità accomodanti e mezze scelte, poi ci attacca. Ed essa stessa estremizza le sofferenze.

Lo squilibrio che ne consegue è indizio del riemergere inconscio della voglia di recuperare l’autentica Chiamata; opposta al quietismo programmato.

In tale palude di sommarietà ci siamo forse lasciati trascinare per convenienza - e quest’ultima ci ha spostati da noi stessi, nonché dallo stupore della nostra Opera personale.

La somiglianza a moduli e costumi - anche di banale miglioramento concordato - diventa la prigione del disegno Creatore. Egli voleva condurci verso Lui, in noi stessi.

Viceversa, il ruolo ci ha addomesticati secondo matrici da assorbire acriticamente, sino a far ammalare la nostra essenza.

 

Lo sgomento allora è un allarme: siamo entrati nel “ruolo”. Il batticuore ci provoca; l’affanno viene per riaverci; il panico attacca affinché destiamo.

L’anima vuole così realizzare il nostro Sogno sopito e soffocato. Desiderio che ci cambierebbe la vita.

Esso in noi pretende che scardiniamo le porte serrate della “mansione” - la quale preclude l’unica Felicità: sentirsi stabiliti nel proprio Centro.

Ogni schema (acquisito o alla moda) infastidisce i mondi da scoprire, deforma l’immagine della nostra destinazione; violenta il viaggio verso la dimora ch’è nostra, per farla diventare “uguale”, quindi fittizia.

Allora un carattere squilibrato, introverso, irascibile e pauroso incontra forse meglio di altri i sogni che non sapeva, le immagini-guida che nascondono un compito altrove configurato, e il meglio di sé, del Mistero stesso.

Risanare, “mettere le cose a posto” e “ottimizzare” sono i tipici luoghi comuni di un mondo stagnante. Così il non confrontarsi; riparare ed equilibrare.

Bisogna invece Rinascere, non tornare come prima, nella comune resilienza.

L’attenzione deve andare sull’energia che ci partorisce di nuovo, sulla strada sconosciuta che si spalanca e non avevamo pensato.

 

Nessuno ci rovina, sebbene ne avesse l’intenzione.

Piuttosto, siamo sollecitati a tirar fuori le risorse celate, scoperchiando il mondo ancora nascosto.

Aprendo una storia tutta singolare, che cambierà l’esistenza abitudinaria.

Una mente tranquilla non proietta oltre, perché ama la ripetizione e le finte sicurezze d’un tempo.

L’idea non duale non ci lascia scoprire le forze interiori. L’anima invece vuol dare origine, esprimere la sua potenza creativa.

Le situazioni inaudite e le relazioni impreviste la pongono sotto assedio, ma in uno stato di gestazione - non prima “segnata”.

Chi non abbandona la strada già battuta, chi non se la mette alle spalle (anche cogliendo l’occasione di condizioni avverse come la crisi globale) si costringe in una catena causa-effetto la quale non fa balzi esponenziali.

Se la storia è già stata scritta e la via permane esteriore, le esperienze sono sempre quelle.

 

La vita non partorisce altre forme; solo riduzioni.

 

 

Per interiorizzare e vivere il messaggio:

 

Qual è lo stile della tua testimonianza?

Sei indignato, irascibile e furente, o semplicemente deciso?

Lunedì, 16 Settembre 2024 05:39

Libertà

Le Letture bibliche […] ci invitano a meditare su un tema affascinante, che si può riassumere così: libertà e sequela di Cristo. L'evangelista Luca narra che Gesù, "mentre stavano compiendosi i giorni in cui sarebbe stato tolto dal mondo, si diresse decisamente verso Gerusalemme" (Lc 9, 51). Nell'espressione "decisamente" possiamo intravedere la libertà di Cristo. Egli infatti sa che a Gerusalemme lo attende la morte di croce, ma in obbedienza alla volontà del Padre offre se stesso per amore. È in questa sua obbedienza al Padre che Gesù realizza la propria libertà come consapevole scelta motivata dall'amore. Chi è libero più di Lui che è l'Onnipotente? Egli però non ha vissuto la sua libertà come arbitrio o come dominio. L'ha vissuta come servizio. In questo modo ha "riempito" di contenuto la libertà, che altrimenti rimarrebbe "vuota" possibilità di fare o di non fare qualcosa. Come la vita stessa dell'uomo, la libertà trae senso dall'amore. Chi infatti è più libero? Chi si riserva tutte le possibilità per paura di perderle, oppure chi si spende "decisamente" nel servizio e così si ritrova pieno di vita per l'amore che ha donato e ricevuto?

L’apostolo Paolo, scrivendo ai cristiani della Galazia, nell’attuale Turchia, dice: "Voi, fratelli, siete stati chiamati a libertà. Purché questa libertà non divenga un pretesto per vivere secondo la carne, ma mediante la carità siate a servizio gli uni degli altri" (Gal 5,13). Vivere secondo la carne significa seguire la tendenza egoistica della natura umana. Vivere secondo lo Spirito invece è lasciarsi guidare nelle intenzioni e nelle opere dall’amore di Dio, che Cristo ci ha donato. La libertà cristiana è dunque tutt’altro che arbitrarietà; è sequela di Cristo nel dono di sé sino al sacrificio della Croce. Può sembrare un paradosso, ma il culmine della sua libertà il Signore l’ha vissuto sulla croce, come vertice dell’amore. Quando sul Calvario gli gridavano: "Se sei il Figlio di Dio, scendi dalla croce!", egli dimostrò la sua libertà di Figlio proprio rimanendo su quel patibolo per compiere fino in fondo la volontà misericordiosa del Padre. Questa esperienza l’hanno condivisa tanti altri testimoni della verità: uomini e donne che hanno dimostrato di rimanere liberi anche in una cella di prigione e sotto le minacce della tortura. "La verità vi farà liberi". Chi appartiene alla verità, non sarà mai schiavo di nessun potere, ma saprà sempre liberamente farsi servo dei fratelli.

Guardiamo a Maria Santissima. Umile ancella del Signore, la Vergine è modello di persona spirituale, pienamente libera perché immacolata, immune dal peccato e tutta santa, dedita al servizio di Dio e del prossimo. Con la sua materna premura ci aiuti a seguire Gesù, per conoscere la verità e vivere la libertà nell’amore.

[Papa Benedetto, Angelus 1 luglio 2007]

La rivelazione cristiana parla di un compimento che l'uomo è chiamato a realizzare nel corso di un'unica esistenza sulla terra. Questo compimento del proprio destino l'uomo lo raggiunge nel dono sincero di sé, un dono che è reso possibile soltanto nell'incontro con Dio. È in Dio, pertanto, che l'uomo trova la piena realizzazione di sé: questa è la verità rivelata da Cristo. L'uomo compie se stesso in Dio, che gli è venuto incontro mediante l'eterno suo Figlio. Grazie alla venuta di Dio sulla terra, il tempo umano, iniziato nella creazione, ha raggiunto la sua pienezza. « La pienezza del tempo », infatti, è soltanto l'eternità, anzi Colui che è eterno, cioè Dio. Entrare nella « pienezza del tempo » significa dunque raggiungere il termine del tempo ed uscire dai suoi confini, per trovarne il compimento nell'eternità di Dio.

[Papa Giovanni Paolo II, Tertio Millennio Adveniente n.9]

Nel Vangelo di oggi (cfr Lc 9,51-62), San Luca dà inizio al racconto dell’ultimo viaggio di Gesù verso Gerusalemme, che si chiuderà al capitolo 19. È una lunga marcia non solo geografica e spaziale, ma spirituale e teologica verso il compimento della missione del Messia. La decisione di Gesù è radicale e totale, e quanti lo seguono sono chiamati a misurarsi con essa. L’Evangelista ci presenta oggi tre personaggi – tre casi di vocazione, potremmo dire – che mettono in luce quanto è richiesto a chi vuole seguire Gesù fino in fondo, totalmente.

Il primo personaggio Gli promette: «Ti seguirò dovunque tu vada» (v. 57). Generoso! Ma Gesù risponde che il Figlio dell’uomo, a differenza delle volpi che hanno le tane e degli uccelli che hanno i nidi, «non ha dove posare il capo» (v. 58). La povertà assoluta di Gesù. Gesù, infatti, ha lasciato la casa paterna e ha rinunciato ad ogni sicurezza per annunciare il Regno di Dio alle pecore perdute del suo popolo. Così Gesù ha indicato a noi suoi discepoli che la nostra missione nel mondo non può essere statica, ma è itinerante. Il cristiano è un itinerante. La Chiesa per sua natura è in movimento, non se ne sta sedentaria e tranquilla nel proprio recinto. È aperta ai più vasti orizzonti, inviata - la Chiesa è inviata! -  a portare il Vangelo per le strade e raggiungere le periferie umane ed esistenziali. Questo è il primo personaggio.

Il secondo personaggio che Gesù incontra riceve direttamente da Lui la chiamata, però risponde: «Signore, permettimi di andare prima a seppellire mio padre» (v. 59). È una richiesta legittima, fondata sul comandamento di onorare il padre e la madre (cfr Es 20,12). Tuttavia Gesù replica: «Lascia che i morti seppelliscano i loro morti» (v. 60). Con queste parole, volutamente provocatorie, Egli intende affermare il primato della sequela e dell’annuncio del Regno di Dio, anche sulle realtà più importanti, come la famiglia. L’urgenza di comunicare il Vangelo, che spezza la catena della morte e inaugura la vita eterna, non ammette ritardi, ma richiede prontezza e disponibilità. Dunque, la Chiesa è itinerante, e qui la Chiesa è decisa, agisce in fretta, sul momento, senza aspettare.

Il terzo personaggio vuole anch’egli seguire Gesù ma a una condizione: lo farà dopo essere andato a congedarsi dai parenti. E questo si sente dire dal Maestro: «Nessuno che mette mano all’aratro e poi si volge indietro, è adatto per il regno di Dio» (v. 62). La sequela di Gesù esclude rimpianti e sguardi all’indietro, ma richiede la virtù della decisione.

La Chiesa, per seguire Gesù, è itinerante, agisce subito, in fretta, e decisa. Il valore di queste condizioni poste da Gesù – itineranza, prontezza e decisione – non sta in una serie di “no” detti a cose buone e importanti della vita. L’accento, piuttosto, va posto sull’obiettivo principale: diventare discepolo di Cristo! Una scelta libera e consapevole, fatta per amore, per ricambiare la grazia inestimabile di Dio, e non fatta come un modo per promuovere sé stessi. È triste questo! Guai a coloro che pensano di seguire Gesù per promuoversi, cioè per fare carriera, per sentirsi importanti o acquisire un posto di prestigio. Gesù ci vuole appassionati di Lui e del Vangelo. Una passione del cuore che si traduce in gesti concreti di prossimità, di vicinanza ai fratelli più bisognosi di accoglienza e di cura. Proprio come Lui stesso ha vissuto.

La Vergine Maria, icona della Chiesa in cammino, ci aiuti a seguire con gioia il Signore Gesù e ad annunciare ai fratelli, con rinnovato amore, la Buona Notizia della salvezza.

[Papa Francesco, Angelus 30 giugno 2019]

Domenica, 15 Settembre 2024 18:54

Grandezza nella piccolezza

Iniziati, cerchie, pregiudizi, o strade diverse

(Lc 9,46-50)

 

La Redenzione presenta due aspetti essenziali: Dono della Chiamata e capacità di accogliere la Proposta.

Di onda in onda ciò realizza una nuova Creazione della persona, della fraternità, della Chiesa, e del mondo.

Così la Fede: relazione di accoglienza e incisività, che si riverbera; sempre giovane. Tale l’infanzia spirituale.

È per questo motivo che il testo greco parla di garzone di bottega, il servetto di casa [«paidìon»: vv.47-48] come modello del discepolo vicino al Signore - pronto a scattare di fronte a ogni richiesta di vita. 

Grandezza nella piccolezza.

Ma in questo passo Lc congiunge a quella del servitore anche un’idea di “primo periodo” tipica di coloro che si presentano alla soglia delle comunità: «mikròi» [v.48: incipienti e malfermi].

Spesso coloro che hanno meno energia.

Però, invece d’un incondizionato benvenuto, questi ultimi sentono la diffidenza dei veterani, i quali disdegnano il dialogo e confronto; sempre guardinghi sulle novità - e il pericolo di poter  essere messi “in ombra”.

La vita inedita che potrebbe sorgere viene subito soffocata o incasellata da sedicenti esperti (v.49), trascurando e smorzando il rinnovato Dono di Dio all’assemblea.

Insomma, evitando di cronicizzare gli assetti, la Comunità deve tornare al suo Principio immediato e spontaneo.

Al «seguire insieme con noi» [invece che seguire personalmente Lui, v.49] si contrappone la ricchezza semplice dell’infanzia spirituale e del servizio, nella coesistenza e condivisione più ampie.

Conosciamo anche in noi stessi le smanie di dominio; ma chi si fa «minimo», «servetto», «senza voce», lascia vasto spazio alla forza e all’opera tollerante - trasmutativa - della vita.

Il Nuovo irraggia l’imprevedibile divino e umano. E l’audacia del pudore che ascolta e ha rispetto della propria anima e del fratello come dono-proposta, può far ritrovare ciascuno, dall’intimo.

Pura freschezza che evoca la gioia della Grazia; che mantiene uno sguardo chiaro su tutto - anche sulle astuzie altrui, perché anch’esse possono farci prendere direzioni differenti.

Il posto d’onore è tanto ambito, ma chi resta senza pretese può assai meglio farsi disponibile a una condizione impareggiabile, e alla fraternità che rispetta la vocazione di ciascuno.

In tal guisa, evitiamo di punteggiare il presente in Cristo di modelli (vv.49-50) perché nel seguire il Signore non tutti camminano nello stesso modo.

La marea che Viene vuol trascinarci sul territorio della crescita senza mortificazione: dentro, esiste ed è eloquente un tempo e uno spazio segreti, che ci abitano.

Essi risuonano in sintonia coi Vangeli. Non c’è da “rimettersi al passo” di sempre, né solo trovare una via d’uscita.

Arrendiamoci all’istinto giovane e creativo. Sarebbe il viaggio della Gioia: nella nuova realtà e Bellezza eminente, dal disagio.

 

 

Per interiorizzare e vivere il messaggio:

 

Cosa alimenta il tuo desiderio di Dio, di giovinezza, dei fratelli?

 

 

[Lunedì 26.a sett. T.O.  30 settembre 2024]

Domenica, 15 Settembre 2024 18:50

Grandezza nella piccolezza

Iniziati, cerchie, pregiudizi, e strade diverse - dal “vuoto”

(Lc 9,46-50)

 

Secondo il Tao Tê Ching (LXXXI) «Il santo non accumula; più ha fatto per gli altri, più possiede; più ha dato agli altri, più abbonda».

La Redenzione presenta due aspetti essenziali: Dono della Chiamata e capacità di accogliere la Proposta.

Di onda in onda ciò realizza una nuova Creazione della persona, della fraternità, della Chiesa, e del mondo.

Così la Fede: relazione di accoglienza e incisività che si riverbera, sempre giovane. Tale l’infanzia spirituale.

È per questo motivo che il testo greco parla di garzone di bottega, il servetto di casa [«paidìon»: vv.47-48] come modello del discepolo vicino al Signore - pronto a scattare di fronte a ogni richiesta di vita.

Grandezza nella piccolezza.

Ma in questo passo Lc congiunge a quella del servitore anche un’idea di “primo periodo” tipica di coloro che si presentano alla soglia delle comunità: «mikròi» [v.48: incipienti e malfermi]. Spesso coloro che hanno meno energia.

Però, invece d’un incondizionato benvenuto, questi ultimi sentono la diffidenza dei veterani, i quali disdegnano il dialogo e confronto; sempre guardinghi sulle novità - e il pericolo di poter  essere messi “in ombra”.

La vita inedita che potrebbe sorge viene subito soffocata o incasellata da sedicenti esperti (v.49), trascurando e smorzando il rinnovato Dono di Dio all’assemblea.

Insomma, la Comunità deve tornare al suo Principio immediato e spontaneo: l’amore fraterno e universale - riattualizzato dal bussare alla porta delle chiese dei poco importanti in società.

Ma spesso si va come in guerra, perché i primi della classe pretendono di essere solo serviti e riveriti - dai nuovi e da chi è destinato a sforzi, obblighi... e formulazione di propositi impersonali.

Altro che accoglienza totale: il piccolo è considerato usurpatore di proprietà privata - lui che invero farebbe diventare “grandi” gli attori della santità finalmente somiglianti al Padre.

I responsabili sul territorio continuano invece a inaridire le cose e le situazioni, e irrigidire tutti entro forme immobili.

Anche l'attività missionaria degli estranei al gruppo ufficiale viene denigrata, subisce derisioni e conosce ostacoli artificiosi che tentano di cronicizzare gli assetti.

Così l’evangelizzazione viene soppesata: non servizio al Signore e ai fratelli, ma territorio di conquista per sentirsi protagonisti - e i molti concorrenti sembrano pericolosi... all’autoaffermazione.

A tali dovizie del «seguire insieme con noi» (v.49) invece che seguire personalmente Lui, si contrappone la ricchezza semplice dell’infanzia spirituale e del servizio nella coesistenza e condivisione più ampie.

Conosciamo anche in noi stessi le manie di dominio che travalicano l’umiltà, le ansie d’imprese memorabili e gesta importanti che riteniamo di fatto più significative della comprensione e della fluidità.

Ma chi si fa «minimo» lascia vasto spazio alla forza e all’opera tollerante e trasmutativa della vita.

Percepisce l’interno di sé e prende atto delle cose nuove, per esistere davvero e non sentirsi orfano - anzi, sbaragliare le situazioni e portare l’attenzione su altre dimensioni.

L’audacia del pudore che ascolta e ha rispetto della propria anima e del fratello come dono e proposta, può far ritrovare dentro ciascuno il «servetto» e il «senza voce» che attende di essere richiamato in vita.

Pura freschezza che evoca la gioia della Grazia; che mantiene uno sguardo chiaro su tutto, anche sulle astuzie decisioniste altrui, perché anch’esse possono farci prendere direzioni differenti.

Il posto d’onore è tanto ambito, ma chi resta senza pretese può assai meglio essere se stesso e farsi disponibile a una condizione d’altro Regno - alla fraternità che rispetta la vocazione impareggiabile di ciascuno.

Non dobbiamo punteggiare il presente in Cristo di modelli, perché nel seguire il Signore non tutti camminano nello stesso modo. E il nuovo irraggia l’imprevedibile.

 

 

 

Semplicità e sconvolgimenti: Rinascita senza mortificazione

 

Non si tratta di trovare scuse per giustificare la pigrizia nella ricerca e nell’esodo spirituale: piccoli, spontanei e naturali - ma ricchi dentro - si diventa, abbassandosi dal proprio personaggio.

È l’arte di rendere densa e complessa la vita, poliedrica e vasta, semplificando poi, senza disperdere.

Spesso basta solo osservare in maniera singolare e personale, o posare lo sguardo in diverso luogo, per trovare mille sbocchi inattesi e auto-rigeneranti.

Infatti, la soluzione delle complicazioni che soffocano l’anima e l’esperienza della pienezza di essere che cerchiamo, è insita nella nostra stessa domanda.

Non di rado appartiene alle precomprensioni più che alla realtà o alla marea che viene, la quale vuole trascinarci sul territorio della crescita - semplicemente, col suo ritmo.

Siamo obnubilati dai pensieri. Ma esiste un sapere innato che veglia sulla nostra unicità e non intossica l’anima.

Esiste ed è eloquente dentro, un tempo e uno spazio segreti, che ci abitano: essi risuonano in sintonia coi Vangeli.

Non c’è da “rimettersi al passo” di sempre, né solo trovare una via d’uscita.

Se ci arrendiamo a tale istinto giovane e creativo, più sapiente, confortato dalla Parola, il Nucleo dell’essere scenderà in campo con le sue energie primordiali.

Virtù che ricreano la terra come il mitico Bimbo del mondo: un piccolo Gesù - dentro e fuori di noi.

Così si annienta anche il disastro della crisi globale, e si risorge: ciascuno a modo proprio (che non è “suo” nel senso dell’arbitrio).

E quando nei casi particolari saremo capaci di accogliere gli accadimenti come una Chiamata a uscire dalle gabbie affinché percepiamo l’Altrove, troveremo un risultato intimo.

La spina nel fianco sbroglierà e rilancerà la via speciale; accentuerà le possibilità di scambio di doni inediti, non stereotipi - senza neppure provare stanchezza, e le sottili insoddisfazioni che conosciamo.

 

Proiettati totalmente nei problemi esterni, sovraccarichiamo la mente e lo spirito di aspettative indotte da paradigmi culturali in voga [antiquati o disincarnati che siano] o cui siamo abituati.

Così l’esistenza ridiventa subito conformista, stagnante nei soliti mezzi e mète, priva di nuovi picchi o relazioni autentiche e vitalità impensate.

Il diktat dell’obbiettivo indotto dai ruoli che immaginavamo acquisiti ci sfibra, e l’idea istituita di perfezione sterilizza l’humus - impoverisce dentro.

Il riduzionismo in atto mette fra parentesi le esigenze effettive.

L’unilateralità poi lascia prevalere i modi di essere, i ruoli già espressi; inaridisce i rapporti, rendendo di nuovo torbidi gli ambienti (tutti impermeabili e consolidati).

Le idee fisse condizionano la vita e non lasciano che l’organismo interiore - psichico e spirituale - possa nutrirsi di verità trasparenti, non pregiudicate; e sensazioni sincere, che vorrebbero donarci respiro.

Liberarci da soliti modi di scendere in campo, da giudizi e convinzioni apodittiche, consentirebbe viceversa di spezzare le catene che trattengono le facoltà luminose e arcobaleno.

Nonché la capacità di corrispondere all’inedita Chiamata personale, spalancando altre visuali.

 

Il “vuoto” propugnato dal Tao somiglia solo a orecchio al “vuoto” di altre sapienze orientali, decisamente più spersonalizzanti.

L’insegnamento orientale della Via non smarrisce il senso di rilievo ed eccezionalità del singolo seme.

Anzi, ne rispetta appieno la vocazione propulsiva. Rimanendo se stessi, non solo malgrado - ma a motivo - dell’abisso obbligatorio che abbiamo attraversato.

Minimizzando i propositi di riedizione dell’antico maquillage - e tutti i convincimenti non epocali, che non ci chiamano, e neppure vorremmo - sgombriamo l'anima dalle zavorre.

In ta guisa faremo affiorare il suo peso specifico eccezionale e il carattere irripetibile, per alleggerirla e colmarla solo di quanto serve, onde attivare i nuovi sentieri che ci attendono.

Il rallentamento e il lasciar scorrere che Lao Tse propugna non guida all’insignificante appiattimento delle differenze, ma a dilatare i tempi sacri e naturali dell’azione sapiente, e apprezzarne il valore.

Tappe e traguardi che non ci corrispondono, non daranno appagamento.

Gli artifizi costringono infatti ad amplificare i rapporti -ma solo per coprire il problema con se stessi, o addirittura di coppia, di gruppo, movimento, comunità, ambiente di lavoro.

Mentre desideriamo rivestire [e non deporre] di senso di permanenza il personaggio di prima - cliché che non ci corrisponde - giriamo a vuoto. Ci carichiamo di attese fuori scala, d’inutile stress che non fa spazio all’amore [amicizia con cui s’incontra se stessi, le cose, sorelle e fratelli, i tanti eventi].

 

La Sapienza naturale, gli accadimenti anche amareggianti, e la Bibbia, ci ricordano che il volto... ogni percorso, il nome, e il ritmo, sono solo nostri.

Anche la sintesi lo è: ciascuno è chiamato a scrivere la sua eccentrica lieta notizia a favore della donna e dell’uomo di ogni tempo (Gv 20,30-31).

Nota bene: la Fraternità non è livellamento:

«Ma ci sono molte altre cose che Gesù ha fatto, le quali se fossero scritte una per una, penso che neppure il mondo stesso potrebbe contenere i libri che si dovrebbero scrivere» (Gv 21,25).

 

Sarebbe il viaggio della Gioia: nella nuova realtà e Bellezza eminente, dal disagio.

 

 

Per interiorizzare e vivere il messaggio:

 

Cosa alimenta il tuo desiderio di Dio e dei fratelli?

Domenica, 15 Settembre 2024 18:44

Piccoli: Segno di Dio

Il segno di Dio è la semplicità. Il segno di Dio è il bambino. Il segno di Dio è che Egli si fa piccolo per noi. È questo il suo modo di regnare. Egli non viene con potenza e grandiosità esterne. Egli viene come bambino – inerme e bisognoso del nostro aiuto. Non vuole sopraffarci con la forza. Ci toglie la paura della sua grandezza. Egli chiede il nostro amore: perciò si fa bambino. Nient'altro vuole da noi se non il nostro amore, mediante il quale impariamo spontaneamente ad entrare nei suoi sentimenti, nel suo pensiero e nella sua volontà – impariamo a vivere con Lui e a praticare con Lui anche l'umiltà della rinuncia che fa parte dell'essenza dell'amore. Dio si è fatto piccolo affinché noi potessimo comprenderLo, accoglierLo, amarLo. I Padri della Chiesa, nella loro traduzione greca dell'Antico Testamento, trovavano una parola del profeta Isaia che anche Paolo cita per mostrare come le vie nuove di Dio fossero già preannunciate nell'Antico Testamento. Lì si leggeva: "Dio ha reso breve la sua Parola, l'ha abbreviata" (Is 10,23; Rom 9,28). I Padri lo interpretavano in un duplice senso. Il Figlio stesso è la Parola, il Logos; la Parola eterna si è fatta piccola – così piccola da entrare in una mangiatoia. Si è fatta bambino, affinché la Parola diventi per noi afferrabile. Così Dio ci insegna ad amare i piccoli. Ci insegna così ad amare i deboli. Ci insegna in questo modo il rispetto di fronte ai bambini. Il bambino di Betlemme dirige il nostro sguardo verso tutti i bambini sofferenti ed abusati nel mondo, i nati come i non nati. Verso i bambini che, come soldati, vengono introdotti in un mondo di violenza; verso i bambini che devono mendicare; verso i bambini che soffrono la miseria e la fame; verso i bambini che non sperimentano nessun amore. In tutti loro è il bambino di Betlemme che ci chiama in causa; ci chiama in causa il Dio che si è fatto piccolo. Preghiamo in questa notte, affinché il fulgore dell’amore di Dio accarezzi tutti questi bambini, e chiediamo a Dio di aiutarci a fare la nostra parte perché sia rispettata la dignità dei bambini; che per tutti sorga la luce dell’amore, di cui l’uomo ha più bisogno che non delle cose materiali necessarie per vivere.

[Papa Benedetto, omelia di Natale 24 dicembre 2006]

1. Le difficoltà che talora accompagnano lo sviluppo dell’evangelizzazione pongono in luce un problema delicato la cui soluzione non va cercata in termini puramente storici o sociologici: il problema della salvezza di coloro che non appartengono visibilmente alla Chiesa. Non ci è data la possibilità di scrutare il mistero dell’azione divina nelle menti e nei cuori, per valutare la potenza della grazia di Cristo nel prendere possesso, in vita e in morte, di quanti “il Padre gli ha dato”, e che Egli stesso ha proclamato di non voler “perdere”. Lo sentiamo ripetere in una delle letture evangeliche proposte per la Messa dei defunti (cf. Gv 6, 39-40).

Ma, come ho scritto nell’Enciclica Redemptoris Missio, non si può limitare il dono della salvezza “a coloro che, in modo esplicito, credono in Dio e sono entrati nella Chiesa. Se è destinata a tutti la salvezza deve essere messa in concreto a disposizione di tutti”. E, ammettendo che è concretamente impossibile per tanta gente accedere al messaggio cristiano, ho aggiunto: “Molti uomini non hanno la possibilità di conoscere o di accettare la rivelazione del Vangelo di entrare nella Chiesa. Essi vivono in condizioni socio-culturali che non lo permettono, e spesso sono stati educati in altre tradizioni religiose” (Redemptoris Missio, 10).

Dobbiamo riconoscere che per quanto rientra nelle umane capacità di previsione e di conoscenza questa impossibilità pratica sembrerebbe destinata a durare ancora a lungo forse anche fino al compimento finale dell’opera di evangelizzazione. Gesù stesso ha ammonito che solo il Padre conosce “i tempi e i momenti” da lui fissati per l’instaurazione del suo Regno nel mondo (cf. At 1, 7).

2. Quanto sopra ho detto non giustifica però la posizione relativistica di chi ritiene che in qualsiasi religione si possa trovare una via di salvezza, anche indipendentemente dalla fede in Cristo Redentore, e che su questa ambigua concezione debba basarsi il dialogo interreligioso. Non è qui la soluzione conforme al Vangelo del problema della salvezza di chi non professa il Credo cristiano. Dobbiamo invece sostenere che la strada della salvezza passa sempre per Cristo, e che quindi spetta alla Chiesa e ai suoi missionari il compito di farlo conoscere ed amare in ogni tempo, in ogni luogo e in ogni cultura. Al di fuori di Cristo non “vi è salvezza”. Come proclamava Pietro davanti al Sinedrio, fin dall’inizio della predicazione apostolica: “Non vi è altro nome dato agli uomini sotto il cielo nel quale sia stabilito che possiamo essere salvati” (At 4, 12).

Anche per coloro che senza loro colpa non conoscono Cristo e non si riconoscono cristiani, il piano divino ha predisposto una via di salvezza. Come leggiamo nel Decreto conciliare sull’attività missionaria Ad Gentes, noi crediamo che “Dio, attraverso le vie che lui solo conosce può portare gli uomini che senza loro colpa ignorano il Vangelo” alla fede necessaria alla salvezza (Ad Gentes, 7). Certo, la condizione “senza loro colpa” non può essere verificata né apprezzata da una valutazione umana, ma deve essere lasciata unicamente al giudizio divino. Per questo nella Costituzione Gaudium et Spes il Concilio dichiara che nel cuore di ogni uomo di buona volontà “opera invisibilmente la grazia”, e che “lo Spirito Santo dà a tutti la possibilità di venire in contatto, nel modo che Dio conosce, col Mistero pasquale” (Gaudium et Spes, 22).

3. E importante sottolineare che la via della salvezza percorsa da quanti ignorano il Vangelo non è una via fuori di Cristo e della Chiesa. La volontà salvifica universale è legata all’unica mediazione di Cristo. Lo afferma la Prima Lettera a Timoteo: “Dio nostro Salvatore, il quale vuole che tutti gli uomini siano salvati e arrivino alla conoscenza della verità. Uno solo, infatti, è Dio, e uno solo il mediatore fra Dio e gli uomini, l’uomo Cristo Gesù, che ha dato se stesso in riscatto per tutti” (1 Tm 2, 3-6). Lo proclama Pietro quando dice che “in nessun altro c’è salvezza”, e chiama Gesù “testata d’angolo” (At 4,11-12), ponendo in evidenza il ruolo necessario di Cristo a fondamento della Chiesa.

Questa affermazione della “unicità” del Salvatore trae la sua origine dalle stesse parole del Signore, il quale afferma di essere venuto “per dare la propria vita in riscatto per molti” (Mc 10, 45), cioè per l’umanità, come spiega San Paolo quando scrive: “Uno è morto per tutti” (2 Cor 5, 14 cf. Rm 5, 18). Cristo ha ottenuto la salvezza universale con il dono della propria vita: nessun altro mediatore è stato stabilito da Dio come Salvatore. Il valore unico del sacrificio della Croce deve essere sempre riconosciuto nel destino di ogni uomo.

4. E siccome Cristo opera la salvezza mediante il suo mistico Corpo, che è la Chiesa, la via di salvezza è essenzialmente legata alla Chiesa. L’assioma extra Ecclesiam nulla salus – “fuori della Chiesa non c’è salvezza” –, enunciato da San Cipriano (Epist 73,21: PL 1123 AB), appartiene alla tradizione cristiana ed è stato inserito nel Concilio Lateranense IV (Denz.-S. 802), nella bolla Unam Sanctam di Bonifacio VIII (Denz.-S. 870) e nel Concilio di Firenze (Decretum pro Jacobitis, Denz.-S. 1351).

L’assioma significa che per quanti non ignorano che la Chiesa è stata fondata da Dio per mezzo di Gesù Cristo come necessaria c’è l’obbligo di entrare e di perseverare in essa al fine di ottenere la salvezza (cf. Lumen Gentium, 14). Per coloro che invece non hanno ricevuto l’annunzio del Vangelo, come ho scritto nell’Enciclica Redemptoris Missio, la salvezza è accessibile attraverso vie misteriose in quanto la grazia divina viene loro conferita in virtù del sacrificio redentore di Cristo, senza adesione esterna alla Chiesa ma sempre, tuttavia, in relazione con essa (cf. Redemptoris Missio, 10). Si tratta di una “misteriosa relazione”: misteriosa per coloro che la ricevono, perché essi non conoscono la Chiesa e anzi, talvolta, esternamente la respingono; misteriosa anche in se stessa perché legata al mistero salvifico della grazia, che comporta un riferimento essenziale alla Chiesa fondata dal Salvatore.

La grazia salvifica, per operare, richiede un’adesione, una cooperazione, un sì alla divina donazione: e tale adesione è, almeno implicitamente, orientata verso Cristo e la Chiesa. Perciò si può dire anche sine Ecclesia nulla salus – “senza la Chiesa non c’è salvezza” –: l’adesione alla Chiesa-Corpo mistico di Cristo, per quanto implicita è appunto misteriosa, costituisce una condizione essenziale per la salvezza.

5. Le religioni possono esercitare un influsso positivo sul destino di chi ne fa parte e ne segue le indicazioni con sincerità di spirito. Ma se l’azione decisiva per la salvezza è opera dello Spirito Santo dobbiamo tener presente che l’uomo riceve soltanto da Cristo, mediante lo Spirito Santo, la sua salvezza. Essa ha inizio già nella vita terrena, che la grazia, accettata e corrisposta, rende fruttuosa, in senso evangelico, per la terra e per il cielo.

Di qui l’importanza del ruolo indispensabile della Chiesa, la quale “non è fine a se stessa ma fervidamente sollecita di essere tutta di Cristo, in Cristo e per Cristo, e tutta degli uomini, fra gli uomini e per gli uomini”. Un ruolo che non è dunque “ecclesiocentrico” come a volte si è detto: la Chiesa non esiste infatti né lavora per se stessa, ma è al servizio di una umanità chiamata alla filiazione divina in Cristo (cf. Redemptoris Missio, 19). Essa esercita perciò una mediazione implicita anche nei confronti di quanti ignorano il Vangelo.

Ciò non deve però portare alla conclusione che la sua attività missionaria sia in tali circostanze meno necessaria. Tutt’altro. In effetti chi ignora Cristo, pur senza sua colpa, viene a trovarsi in una condizione di oscurità e di carestia spirituale con riflessi negativi spesso anche sul piano culturale e morale. L’azione missionaria della Chiesa può procurargli le condizioni di pieno sviluppo della grazia salvatrice di Cristo, proponendo l’adesione piena e consapevole al messaggio della fede e la partecipazione attiva alla vita ecclesiale nei sacramenti.

Questa è la linea teologica tratta dalla tradizione cristiana. Il magistero della Chiesa l’ha seguita nella dottrina e nella prassi come via segnata da Cristo stesso per gli Apostoli e per i missionari di tutti i tempi.

[Papa Giovanni Paolo II, Udienza Generale 31 maggio 1995]

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The Sadducees, addressing Jesus for a purely theoretical "case", at the same time attack the Pharisees' primitive conception of life after the resurrection of the bodies; they in fact insinuate that faith in the resurrection of the bodies leads to admitting polyandry, contrary to the law of God (Pope John Paul II)
I Sadducei, rivolgendosi a Gesù per un "caso" puramente teorico, attaccano al tempo stesso la primitiva concezione dei Farisei sulla vita dopo la risurrezione dei corpi; insinuano infatti che la fede nella risurrezione dei corpi conduce ad ammettere la poliandria, contrastante con la legge di Dio (Papa Giovanni Paolo II)
Are we disposed to let ourselves be ceaselessly purified by the Lord, letting Him expel from us and the Church all that is contrary to Him? (Pope Benedict)
Siamo disposti a lasciarci sempre di nuovo purificare dal Signore, permettendoGli di cacciare da noi e dalla Chiesa tutto ciò che Gli è contrario? (Papa Benedetto)
Jesus makes memory and remembers the whole history of the people, of his people. And he recalls the rejection of his people to the love of the Father (Pope Francis)
Gesù fa memoria e ricorda tutta la storia del popolo, del suo popolo. E ricorda il rifiuto del suo popolo all’amore del Padre (Papa Francesco)
Today, as yesterday, the Church needs you and turns to you. The Church tells you with our voice: don’t let such a fruitful alliance break! Do not refuse to put your talents at the service of divine truth! Do not close your spirit to the breath of the Holy Spirit! (Pope Paul VI)
Oggi come ieri la Chiesa ha bisogno di voi e si rivolge a voi. Essa vi dice con la nostra voce: non lasciate che si rompa un’alleanza tanto feconda! Non rifiutate di mettere il vostro talento al servizio della verità divina! Non chiudete il vostro spirito al soffio dello Spirito Santo! (Papa Paolo VI)
Sometimes we try to correct or convert a sinner by scolding him, by pointing out his mistakes and wrongful behaviour. Jesus’ attitude toward Zacchaeus shows us another way: that of showing those who err their value, the value that God continues to see in spite of everything (Pope Francis)
A volte noi cerchiamo di correggere o convertire un peccatore rimproverandolo, rinfacciandogli i suoi sbagli e il suo comportamento ingiusto. L’atteggiamento di Gesù con Zaccheo ci indica un’altra strada: quella di mostrare a chi sbaglia il suo valore, quel valore che continua a vedere malgrado tutto (Papa Francesco)
Deus dilexit mundum! God observes the depths of the human heart, which, even under the surface of sin and disorder, still possesses a wonderful richness of love; Jesus with his gaze draws it out, makes it overflow from the oppressed soul. To Jesus, therefore, nothing escapes of what is in men, of their total reality, in which good and evil are (Pope Paul VI)
Deus dilexit mundum! Iddio osserva le profondità del cuore umano, che, anche sotto la superficie del peccato e del disordine, possiede ancora una ricchezza meravigliosa di amore; Gesù col suo sguardo la trae fuori, la fa straripare dall’anima oppressa. A Gesù, dunque, nulla sfugge di quanto è negli uomini, della loro totale realtà, in cui sono il bene e il male (Papa Paolo VI)
People dragged by chaotic thrusts can also be wrong, but the man of Faith perceives external turmoil as opportunities
Un popolo trascinato da spinte caotiche può anche sbagliare, ma l’uomo di Fede percepisce gli scompigli esterni quali opportunità

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