2. Cari fratelli e sorelle! Anche noi, in questa ora, preghiamo il Signore: “Resta con noi perché si fa sera e il giorno già volge al declino” (Lc 24, 29). Questo invito che i discepoli di Emmaus rivolgono al Signore guidi la nostra odierna liturgia festiva; infatti, il Vangelo di questa terza domenica di Pasqua ci conduce sulla via di Emmaus. Questo luogo ha una grande importanza nel contesto degli avvenimenti pasquali: è un luogo d’incontro con Cristo, un luogo dell’apparizione del Signore risorto.
Nell’interpretazione dei popoli veterotestamentari, la festa pasquale ricorda il “passaggio” del Signore, l’esodo degli Israeliti dalla “casa della servitù” dell’Egitto sulla via della terra promessa. Dio stesso guida, libera e salva il suo popolo. All’inizio di quest’esodo vi era stato il segno dell’agnello: il suo sangue avrebbe contraddistinto le case degli Israeliti ed avrebbe salvato i loro abitanti dalla punizione della morte; la sua carne rifocillò gli Israeliti nell’ultima cena prima della partenza.
Animati da questa fede del loro popolo, i due discepoli di Emmaus avevano partecipato alla festa pasquale degli Ebrei di Gerusalemme, ed avevano anche visto la crocifissione di Gesù Cristo. Quando, sulla strada del ritorno, era apparso loro il Signore senza che lo riconoscessero immediatamente, egli spiegò loro in quale modo la festa pasquale della nuova alleanza fosse stata preannunciata negli avvenimenti dell’Antico Testamento; e precisamente nell’esodo dalla servitù verso la libertà. Quest’esodo si compie ora nel passaggio dalla morte alla vita, dal peccato all’amicizia con Dio. E questo nuovamente avviene con l’ausilio di un agnello: l’Agnello di Dio, che toglie i peccati del mondo, Gesù Cristo, il nostro Redentore. Di lui e del suo destino parlano già Mosè ed i profeti, addirittura l’“intera Scrittura”. Per questo il Signore risorto poté domandare a buon diritto: “Non bisognava che il Cristo sopportasse queste sofferenze per entrare nella sua gloria?” (Lc 24, 25s.).
3. In effetti, molte affermazioni contenute nell’Antico Testamento predicono gli eventi dell’Ultima Cena e del Golgota. Questi annunci, però, non si sarebbero adempiuti se gli avvenimenti pasquali non si fossero svolti nei tempi e nei modi prestabiliti da Dio a Gerusalemme. E nonostante tutto ciò, i discepoli di Gesù non hanno riconosciuto l’evento così drammatico e toccante, vissuto con il loro Maestro durante la festa di Pasqua degli Ebrei, immediatamente nel suo vero significato e nella sua più profonda verità. Riuscì loro difficile “credere alla parola dei profeti” (Lc 24, 25s.). Questa verità era così difficile da riconoscere per loro, che erano abituati ad un’altra comprensione delle sacre Scritture. Per quale motivo il Messia avrebbe dovuto soffrire, essere condannato e morire sulla croce, essere disprezzato e schernito come un reietto? Così, in un primo momento, sono come accecati, scoraggiati e tristi, come paralizzati.
Per l’uomo è e rimarrà sempre incomprensibile perché la via della salvezza debba passare attraverso la sofferenza. Per questo l’incontro sulla via da Gerusalemme ad Emmaus è così significativo; non solo in relazione agli eventi pasquali di allora, ma per sempre, per tutti i tempi - anche per noi. Su questa via i discepoli hanno imparato da Gesù un nuovo modo di leggere le sacre Scritture ed a scoprire in esse una testimonianza profetica su di lui, una predizione su di lui, sul suo messaggio e sulla sua missione di salvezza. Attraverso questo insegnamento i discepoli vengono istruiti dal Signore stesso per diventare suoi testimoni. Così Pietro, nella liturgia odierna, rende testimonianza della risurrezione del Signore da questa nuova, più profonda comprensione dell’evento pasquale davanti agli uomini. In questa luce di Cristo, del Risorto, egli comprende ed annuncia anche il salmo di Davide: “Perché tu non abbandonerai l’anima mia negli inferi” (At 2, 27).
Quando Gesù rivela ai due discepoli sulla via di Emmaus il vero senso della sacra Scrittura, gli apostoli che sono a Gerusalemme già sanno, che questo salmo si è realizzato concretamente: “Davvero il Signore è risorto ed è apparso a Simone” (Lc 24, 26).
4. L’incontro sulla via di Emmaus ha una grande importanza anche perché in questo modo Gesù ha sottolineato ai suoi discepoli, dopo la sua morte sulla croce, che egli rimane con loro. Egli è con loro nonostante o proprio a causa del venerdì, di passione e rimarrà per sempre con la sua Chiesa secondo la sua promessa: “Non vi lascerò orfani tornerò da voi” (Gv 14, 18).
Cristo non è solamente colui che è stato, ma molto di più colui che è. Egli fu presente sulla via per Emmaus, ed egli è anche presente su tutte le vie del mondo, per le quali camminano, attraverso le generazioni ed i secoli, i suoi discepoli.
5. Cari fratelli e sorelle! Dall’incontro con il Signore risorto sulla via di Emmaus, nuova luce è scesa per i due discepoli sulle sacre Scritture e sugli avvenimenti del Calvario, nuova luce scese nel buio della loro stessa vita. Luce scende anche sulla storia e sui destini dell’umanità e della Chiesa, e quindi anche sulla Chiesa di Augusta. Cristo ha dimostrato come il Messia “dovesse” soffrire, per poter compiere la sua missione salvifica. Non è forse vero che proprio in questa luce riusciamo a vedere ed a comprendere, a volte, il buio e le sofferenze che i discepoli di Cristo e la Chiesa hanno affrontato nel loro cammino attraverso la storia? Attraverso di essa spesso si riesce a riconoscere, nelle prove e nelle sofferenze, la mano buona e premurosa di Dio, che attraverso l’esperienza della croce ci porta alla salvezza ed alla resurrezione.
[Papa Giovanni Paolo II, omelia in Augusta 3 maggio 1987]