Nell’ambito del Natale, ricordarsi di S. Giovanni apostolo è mettere al primo posto la contemplazione del Mistero. Lui che, come sacchetto di mirra sul petto, reclinò il capo su quello di Cristo e, per l’Amore che lo animava, arrivò per primo al sepolcro dell’Amico.
«Ma l’altro discepolo corse più veloce di Pietro e giunse per primo al sepolcro» (Gv 20,4).
Francesco è colui che, per l’Amore che lo infervorava, corse per primo al Presepe; per primo vide i segni e li accolse nel suo cuore.
Senza dare spazio ad una aleatoria contemplazione, il Povero di Assisi per primo, a Greccio, volle vedere tangibilmente gli stenti, i disagi, la penuria del Signore fin dagli inizi della sua parabola umana discesa dal Cielo.
La mistica che lo informava era frutto d’unione intima con Gesù, con il Bambino di Betlemme.
Le Fonti ci ricordano:
“Avendo con la preghiera intima e la frequente contemplazione raggiunta una straordinaria familiarità con Dio, bramava sapere che cosa di lui e in lui potesse essere più gradito all’eterno Re” (FF 479).
Dice il Celano, suo noto biografo:
“Non era tanto un uomo che prega, quanto piuttosto egli stesso tutto trasformato in preghiera vivente” (FF 682).
Già… la stessa orazione, trasferita nello spirito che aveva animato la rappresentazione vivente, palpitante, di Greccio.
La Bellezza che attraversa le vicende narrate dalle Fonti ce ne dà atto:
“Al di sopra di tutte le solennità, celebrava con ineffabile premura il Natale del Bambino Gesù e chiamava festa delle feste il giorno in cui Dio, fatto piccolo infante, aveva succhiato ad un seno umano […]
Questo Nome era per lui dolce come favo di miele in bocca.
Un giorno i frati discutevano assieme se rimaneva l’obbligo di non mangiare carne, dato che il Natale quell’anno cadeva di venerdì.
Francesco rispose a frate Morico:
«Tu pecchi fratello, a chiamare venerdì il giorno in cui è nato per noi il Bambino.
Voglio che in un giorno come questo anche i muri mangino carne, e se questo non è possibile, almeno ne siano spalmati all’esterno»” (FF 787).
“Voleva che in questo giorno i poveri e i mendicanti fossero saziati dai ricchi, e che i buoi e gli asini ricevessero una razione di cibo e di fieno più abbondante del solito.
«Se potrò parlare all’imperatore - diceva - lo supplicherò di emanare un editto generale, per cui tutti quelli che ne hanno possibilità, debbano spargere per le vie frumento e granaglie, affinché in un giorno di tanta solennità gli uccellini e particolarmente le sorelle allodole ne abbiano in abbondanza» (FF 788).
L’Amore rendeva Francesco capace di oltrepassare il consueto, e in grado di tradurre la novità che varcava i confini del già saputo.
Perché l’Amore arriva prima, ha fretta, porta con sé sorella sollecitudine e partorisce l’Inedito.
«Ora, correvano i due insieme, e l’altro discepolo corse avanti più presto di Pietro e venne per primo al sepolcro, e chinatosi vede i panni di lino ravvolti a parte; tuttavia non entrò» (Gv 20,4-5)
Ottava di Natale, s. Giovanni ap. ev. (Gv 20,2-8)







