Gesù nel Vangelo odierno narra parabole sul Regno di Dio, prendendo lo spunto dagli elementi della natura: granello di senape e lievito.
Con agganci naturali e reali spiega la fisionomia del Regno.
San Francesco e santa Chiara d’Assisi sono stati due granelli di senapa che crescendo nell’umiltà e nascondimento sono divenuti alberi talmente grandi che sui loro rami hanno trovato riparo tante creature.
Nello specifico, di Chiara così parla la Bolla papale di canonizzazione ‘Clara Claris praeclara’:
«Questo fu l’albero alto, proteso verso il cielo, dai rami dilatati, che nel campo della Chiesa produsse soavi frutti […] e alla cui ombra piacevole e amèna molte seguaci accorsero da ogni parte, e tuttora accorrono per gustarne i frutti» (FF 3294).
Il Regno di Dio trova sviluppo in queste singolari metafore di cui il Povero d’Assisi e Chiara reclusa sono testimonianze plastiche e concrete.
Ma come Gesù, anche san Francesco parlava ai suoi frati in parabole. Le Fonti lo attestano in vari passi.
Quando voleva far intendere loro il cammino che li attendeva per accogliere il Regno di Dio, richiamava alla mente varie parabole, attraversate da un sapiente tessuto evangelico.
Ne ricordiamo una fra le tante, con le quali annunciava la Parola che il Signore gli affidava.
Presentandosi al Papa, Gesù gli aveva fatto comprendere come doveva esprimersi.
"Egli, infatti, raccontò al Pontefice come Dio gliel’aveva suggerita, la parabola di un ricco re che con gran gioia aveva sposato una donna bella e povera e ne aveva avuto dei figli che avevano la stessa fisionomia del re, loro padre e che, perciò, vennero allevati alla mensa stessa del re.
Diede, poi, l’interpretazione della parabola, giungendo a questa conclusione:
«Non c’è da temere che muoiano di fame i figli ed eredi dell’eterno Re; perché essi, a somiglianza di Cristo, sono nati da una madre povera, per virtù dello Spirito Santo; e sono stati generati, per virtù dello spirito di povertà, in una religione poverella.
Se, infatti, il Re del cielo promette ai suoi imitatori il Regno eterno, quanto più provvederà per loro quelle cose che elargisce senza distinzione ai buoni e ai cattivi».
Il Vicario di Cristo ascoltò attentamente questa parabola e la sua interpretazione e, pieno di meraviglia, riconobbe senza ombra di dubbio che, in quell’uomo, aveva parlato Cristo.
Ma si sentì rassicurato anche da una visione da lui avuta in quella circostanza, nella quale lo Spirito di Dio gli aveva mostrato la missione a cui Francesco era destinato.
Infatti, come egli raccontò, in sogno vedeva che la Basilica del Laterano ormai stava per rovinare e che, un uomo poverello, piccolo e di aspetto spregevole, la sosteneva, mettendoci sotto le spalle, perché non cadesse.
«Veramente - concluse il Pontefice - questi è colui che con la sua opera e la sua dottrina sosterrà la Chiesa di Cristo» (FF 1064).
"Contando sulla grazia divina e sulla autorità autorità papale, pieno di fiducia, Francesco si diresse verso la valle Spoletana, pronto a praticare e insegnare il Vangelo" (FF 1065).
Anche queste parabole sono la narrazione dell’avvento del Regno di Dio, della sua espansione nel chicco di senapa di Francesco e di Chiara, e i loro incredibili sviluppi.
Francesco fu figlio della Parola, del buon Seme, impegnato a vivere secondo Dio e portando frutto.
In lui il granello seminato cresceva e si moltiplicava, dando germogli di carità, elargiti nel cammino della vita.
Nato e generato in una religione poverella, il Piccolo di Dio spesso istruiva i suoi frati a non essere servitori della gramigna seminata nel mondo dal maligno, a non seguire le sue logiche perverse e antievangeliche.
Raccomandava loro di vivere la Parola seminata da Cristo.
Leggiamo nei suoi scritti:
«Tutti quelli e quelle che […] camminano dietro la cattiva concupiscenza […] e non osservano quelle cose che hanno promesso al Signore e servono […] alle sollecitudini del mondo e alle preoccupazioni di questa vita: costoro sono prigionieri del diavolo, del quale sono figli e fanno le opere; sono ciechi, poiché non vedono la vera luce, il Signore nostro Gesù Cristo.
Non hanno la Sapienza spirituale, poiché non posseggono il Figlio di Dio, che è la vera sapienza del Padre (FF 178/4).
Altresì, come ebbe a spiegare al Sommo Pontefice da cui si recò per l’approvazione della Regola, i figli di Dio non hanno da temere:
«Non c’è da temere che muoiano di fame i figli ed eredi dell’Eterno Re; perché essi, a somiglianza di Cristo, sono nati da una madre povera, per virtù dello Spirito Santo e sono stati generati, per virtù dello spirito di povertà, in una religione poverella.
Se, infatti, il Re del Cielo promette ai suoi imitatori il Regno Eterno, quanto più provvederà per loro quelle cose che elargisce senza distinzione ai buoni e ai cattivi» (FF 1064).
11.a Domenica T.O. (B) (Mc 4,26-34)