Nel capitolo sedici del Vangelo di Giovanni, ormai vicino al suo ritorno al Padre, Gesù dice ai suoi discepoli:
«Voi vi rattristerete, ma la vostra tristezza diverrà gioia» (Gv 16,20).
Francesco aveva una geniale capacità ispirata dall’alto, nel trasformare ogni tristezza in gioia, in attesa della beata speranza.
Aveva insegnato, ad esempio, a frate Leone, pecorella di Dio, a trovare perfetta letizia nell’essere respinti e non riconosciuti dagli altri.
Trovava gioia nelle sofferenze al solo pensiero che Gesù le aveva vissute per primo e che quello era un nobile modo di unirsi a Lui.
Provava tristezza per le cattive testimonianze fra i suoi, ma veniva scosso da Dio stesso dinanzi a questo tipo di amarezza, poiché il Signore gli ricordava che tutto era in mano sua.
Le varie malinconie del cammino erano trasformate dal Poverello, per la forza dello Spirito, in opportunità di grazia - pensando al ritorno di Gesù e alla beata unione.
Nelle Fonti, gioiello di testimonianze originali, scopriamo la bellezza di tali dinamiche che la fede in Dio e l’efficacia della Parola elaboravano nel Minimo.
"Un giorno vide un suo compagno con una faccia triste e melanconica. Sopportando la cosa a malincuore, gli disse:
«Il servo di Dio non deve mostrarsi agli altri triste e rabbuiato, ma sempre sereno.
Ai tuoi peccati, riflettici nella tua stanza e alla presenza di Dio piangi e gemi. Ma quando ritorni tra i frati, lascia la tristezza e conformati agli altri».
E, poco dopo:
«Gli avversari della salvezza umana hanno molta invidia di me e, siccome non riescono a turbarmi direttamente, tentano sempre di farlo attraverso i miei compagni».
Amava poi tanto l’uomo pieno di letizia spirituale, che per ammonimento generale fece scrivere in un capitolo queste parole:
«Si guardino i frati di non mostrarsi tristi di fuori e rannuvolati come degli ipocriti, ma si mostrino lieti nel Signore, ilari e convenientemente graziosi» " (FF 712).
E ancora, nella Vita seconda del Celano, troviamo Francesco che istruisce su come comportarsi nei turbamenti:
«Il servo di Dio - spiegava - quando è turbato, come capita, da qualcosa, deve alzarsi subito per pregare, e perseverare davanti al Padre Sommo sino a che gli restituisca la gioia della sua salvezza. Perché se permane nella tristezza, crescerà quel male babilonese e, alla fine, genererà nel cuore una ruggine indelebile, se non verrà tolta con le lacrime» (FF 709).
Francesco, esperto di vita nello Spirito, era solito dire ai suoi:
«I demoni non possono recare danno al servo di Cristo, quando lo vedono santamente giocondo. Se invece l’animo è malinconico, desolato e piangente, con tutta facilità o viene sopraffatto dalla tristezza o è trasportato alle gioie frivole» (FF 709).
In attesa di ricongiungersi al suo Signore, egli voleva vivere ogni cosa in unità di Spirito con Lui, che aveva donato tutto di Sé per ogni creatura.
Giovedì 6.a sett. di Pasqua (Gv 16,16-20).