(Gv 20,19-31)
Giovanni 20:24 Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Dìdimo, non era con loro quando venne Gesù.
Giovanni 20:25 Gli dissero allora gli altri discepoli: «Abbiamo visto il Signore!». Ma egli disse loro: «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il dito nel posto dei chiodi e non metto la mia mano nel suo costato, non crederò».
Giovanni 20:26 Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c'era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, si fermò in mezzo a loro e disse: «Pace a voi!».
Giovanni 20:27 Poi disse a Tommaso: «Metti qua il tuo dito e guarda le mie mani; stendi la tua mano, e mettila nel mio costato; e non essere più incredulo ma credente!».
Giovanni 20:28 Rispose Tommaso: «Mio Signore e mio Dio!».
Giovanni 20:29 Gesù gli disse: «Perché mi hai veduto, hai creduto: beati quelli che pur non avendo visto crederanno!».
Giovanni 20:30 Molti altri segni fece Gesù in presenza dei suoi discepoli, ma non sono stati scritti in questo libro.
Giovanni 20:31 Questi sono stati scritti, perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome.
Tommaso è un discepolo che nel Vangelo di Giovanni ricopre un ruolo critico all'interno della comunità credente: egli è colui, infatti, che non accetta con facilità la sequela di Gesù e non teme di esternare la sua critica e le sue riserve. Nel racconto della risurrezione di Lazzaro egli è quello che non comprende ciò che sta per accadere e legge il recarsi di Gesù nuovamente in Giudea, presso Lazzaro, come un inutile rischio, al quale controvoglia si associa (Gv 11,7-8.16); e similmente in Gv 14,5, non comprendendo il discorso che Gesù stava facendo, gli chiede di indicargli la via dove si stava incamminando, a lui sconosciuta. Ed ora qui, in modo più palese, egli è colui che si tira fuori dal mazzo; non era infatti presente insieme agli altri all'apparizione di Gesù; egli è colui che non accetta di buon grado una testimonianza, ma preferisce seguire la logica del “prima vedere e toccare e poi credere” (v. 25). Insomma, una figura quella di Tommaso che funge da bastian contrario, uno non facile da convincere.
Egli diviene, quindi, la figura del credente dubbioso e critico, che a fronte di un annuncio o di una testimonianza esprime tutte le sue riserve. L'annuncio, infatti, avviene otto giorni dopo l'evento della risurrezione, un tempo che vede il frapporsi di sette giorni tra la prima e la seconda esperienza del Risorto, in cui il ‘sette’ dice un tempo ormai compiuto, un tempo che vede il compiersi di un annuncio (v. 25a), sul quale il nuovo credente è chiamato a porre la sua fiducia; un annuncio che, invece, spesso si scontra con una critica in cui il vedere e il toccare prendono il posto del credere (v. 25b).
Tommaso, dall'aramaico «tĕ'ōmā» che significa “gemello” e ha il suo corrispondente greco in «dídimos», è presentato come assente dal gruppo dei discepoli alla venuta di Gesù: “non era con loro”. Significativa questa espressione che indica come Tommaso non si allineava perfettamente con il gruppo degli altri discepoli; non era, infatti, con loro. Probabilmente Giovanni ha voluto fare di questo discepolo la metafora di quei credenti la cui fede è critica, e che non accettano passivamente i dettami della fede.
L'annuncio che viene fatto dal gruppo dei discepoli, testimoni dell'evento del Risorto è molto esplicito: “Abbiamo visto il Signore”. Il verbo vedere è espresso in greco con “horaō”, il verbo del vedere superiore, designa l'esperienza della fede compiuta, che sa andare oltre alle apparenze e sa cogliere il Mistero. Qui il verbo è posto significativamente al perfetto indicativo: “heōrákamen”, che dice come uno stato presente di fede sia conseguente ad un'azione passata. La fede nel Risorto, che qui viene dunque annunciata a Tommaso da parte dei discepoli, si radica nella loro stessa esperienza dell'evento della risurrezione. E ciò che qui i discepoli hanno visto non è Gesù, ma “il Signore”, termine con cui nella chiesa primitiva veniva chiamato il Risorto, per indicare la sua signoria universale. È quindi un Gesù trasformato. Ed è proprio a questa particolare visione di fede che Tommaso si oppone.
Il v. 25a, infatti, si apre con un'espressione avversativa molto forte: “ho dé”, “ma egli”, cioè Tommaso si contrappone agli altri discepoli. Una contrapposizione che assume toni molto duri: «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il dito nel posto dei chiodi e non metto la mia mano nel suo costato, non crederò». Il verbo qui tradotto con “metto” è reso in greco con “bállō”, che letteralmente significa “spingo dentro”, che dice tutta la durezza dell'espressione. Non si tratta di un semplice toccare, ma di immergere la mano, quasi a voler verificare la consistenza di quel corpo; mentre quell'insistere sul vedere e sul mettere il dito e la mano dice tutta la durezza e la resistenza della sua incredulità di fronte ad un evento soltanto annunciato.
A questo punto l'evangelista ci dice che “venne Gesù” (v. 26), che però non è un “venne” ma un “viene” (“erchetai”), presente indicativo, per indicare la persistenza di questa venuta, che continua nel tempo. L'invito che il Signore fa a Tommaso di “non essere incredulo, ma credente” dice come l'esperienza del Risorto non passa più attraverso i sensi del vedere e del toccare, ma attraverso la fede. Si rende pertanto necessario un nuovo modo di approccio con Gesù, che richiede un passaggio, una conversione che va dall'incredulità al credere. Un cambio quindi di indirizzo esistenziale, che chiama il credente a sublimare la sua conoscenza dei sensi in conoscenza dello spirito.
Il v. 28 riporta la risposta di Tommaso ed attesta la sua profonda trasformazione interiore: da una mente razionalistica, a una mente mistica, capace ora di vedere veramente Gesù quale suo Signore e suo Dio, al di là dei sensi. Finalmente anche questo discepolo, emblema della difficoltà del credere, entra in perfetta comunione con il gruppo dei discepoli e condivide con loro la comune esperienza e conoscenza del Risorto.
Il v. 29 chiude il racconto di Tommaso con una sorta di promemoria lasciato ai futuri credenti: “Perché mi hai veduto, hai creduto; beati quelli che pur non avendo visto crederanno”. La beatitudine è riservata a quei credenti la cui fede poggia sull'Annuncio e non sul vedere e toccare.
Argentino Quintavalle, autore dei libri
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