(Lc 1,39-45)
Luca 1:39 In quei giorni Maria si mise in viaggio verso la montagna e raggiunse in fretta una città di Giuda.
Luca 1:40 Entrata nella casa di Zaccaria, salutò Elisabetta.
Luca 1:41 Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino le sussultò nel grembo. Elisabetta fu piena di Spirito Santo
Luca 1:42 ed esclamò a gran voce: «Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo!
Luca 1:43 A che debbo che la madre del mio Signore venga a me?
Luca 1:44 Ecco, appena la voce del tuo saluto è giunta ai miei orecchi, il bambino ha esultato di gioia nel mio grembo.
Luca 1:45 E beata colei che ha creduto nell'adempimento delle parole del Signore».
Il brano si apre con un'annotazione di tempo: “In quei giorni”. Sono i giorni che seguono l'annunciazione. In questo contesto Maria viene descritta in una condizione esistenziale decisamente dinamica: “si mise in viaggio”. È l'inizio di una nuova vita causata da una trasformazione avvenuta per opera dello Spirito Santo. È l'inizio di una nuova vita venutasi a creare in lei dopo aver accolto l'annuncio. Maria è colei che inizia un nuovo cammino sotto l'egida dello Spirito, che la spinge “verso la montagna... in una città di Giuda”.
Il verbo, qui tradotto con “si mise in viaggio”, è un aoristo passivo, “eporeuthē”, che dovrebbe essere tradotto con “fu fatta partire”. Si tratta di un passivo teologico, la cui azione rimanda direttamente a Dio, il vero autore della partenza di Maria. Una partenza che dice come la storia della salvezza si sia messa in moto in Maria, sospinta “verso la montagna in una città di Giuda”. Una indicazione così generica che indica come a Luca non interessi soffermarsi sui particolari. Tutto deve incentrarsi su quanto sta per succedere, su quella liturgia di lode e di ringraziamento che costituirà il vero corpus di questo racconto e con il quale il lettore è chiamato ad unirsi alle due donne. Una genericità che richiama da vicino la stessa missione di Abramo: “Il Signore disse ad Abram: Vattene dal tuo paese, dalla tua patria e dalla casa di tuo padre, verso il paese che io ti indicherò” (Gn 12,1). Si tratta di una terra sconosciuta verso la quale Abramo è chiamato ad incamminarsi, lasciandosi guidare da Dio, di volta in volta; senza se e senza ma, senza perché, in piena e totale fiducia in Dio. Per questo Dio lo ricolma della sua benedizione, rendendo feconda la sua discendenza: “Farò di te un grande popolo e ti benedirò, renderò grande il tuo nome e diventerai una benedizione” (Gn 12,2). Similmente ad Abramo, Maria è chiamata ad andare verso una destinazione che le è ignota, verso una terra sconosciuta, che Dio le indicherà. Certo, lei sta andando da Elisabetta, ma inconsapevolmente sta intraprendendo anche la strada che la sta portando verso Gerusalemme; un viaggio verso il compimento di un progetto divino di salvezza. E similmente ad Abramo, anche Maria viene benedetta in modo eccelso da Elisabetta: “Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo” (v. 42).
Non è un caso che il canto del Magnificat inizi con una celebrazione delle grandezze che Dio ha operato in Maria, e termini proprio con quelle che Dio ha compiuto in Abramo: “come aveva promesso ai nostri padri, ad Abramo e alla sua discendenza per sempre” (v. 55). Le promesse fatte ai padri e ad Abramo si stanno ora compiendo in Maria, quelle promesse che Maria celebra in se stessa. Il cammino di Abramo verso quella terra che Dio aveva promesso a lui e alla sua discendenza, termina ora in Maria, che raccoglie il testimone di quelle promesse e, parimenti ad Abramo, ella riprenderà il cammino di Abramo, assieme al suo figlio Gesù, verso la meta del Golgota, dove il Gesù dell'evangelista Giovanni proclamerà che tutto è compiuto (Gv 19,30).
Il v. 40 scandisce due nuovi movimenti di Maria: “Entrata nella casa di Zaccaria” e “salutò Elisabetta”. Il termine casa, in greco, viene reso con due sostantivi: “oîkos” e “oikia”. Il primo indica la casa quale luogo fisico di abitazione; il secondo ha un'accezione figurata ed indica la casa intesa come famiglia, abitanti, familiari, razza, discendenza, casato, stirpe. Nel nostro caso Luca usa il primo termine, “oîkos”, il luogo della dimora di Zaccaria, appartenente alla classe sacerdotale. Zaccaria e la sua casa, quindi, diventano figura dell'antico culto giudaico, giunto ormai al suo pieno compimento. È qui che Zaccaria dimora ed è qui che Maria, la quale porta in se stessa l'erede della Promessa, il vero Agnello di Dio, che va a sostituire gli innumerevoli quanto inefficaci sacrifici di animali; entra, quasi ad assumere in se stessa, sostituendolo efficacemente, l'intero culto giudaico. In questo contesto, il saluto di Maria rivolto ad Elisabetta va ben oltre ad un semplice atto di buon galateo, per assumere la valenza di un annuncio: Maria è colei che porta in se stessa l'Atteso dalle genti. A confermarlo sarà la risposta di Elisabetta e il cantico delle due donne, che duettano tra loro le meraviglie di Dio, che si stanno compiendo in esse.
Il canto di esultanza di Elisabetta va compreso come una sorta di celebrazione liturgica. Lo suggerisce il contesto: quel suo essere ripiena dello Spirito Santo, quel suo gridare a gran voce, il sussulto del bambino nel suo seno, assimilabile ad una sorta di danza gioiosa, lo stesso saluto, che si conclude con una beatitudine. È questo ciò che sta avvenendo nella casa di Zaccaria, che completerà questo grido di esultanza di Elisabetta con il canto del Benedictus, in cui al “Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo” di Elisabetta, farà da eco il “Benedetto il Signore Dio d'Israele, poiché ha visitato e redento il suo popolo, e ha suscitato per noi una salvezza potente nella casa di Davide, suo servo” (vv. 68-69).
Argentino Quintavalle, autore dei libri
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