Ott 7, 2024 Scritto da 

28a Domenica del Tempo Ordinario (B)

(Mc 10,17-30)

 

Marco 10:17 Mentre usciva per mettersi in viaggio, un tale gli corse incontro e, gettandosi in ginocchio davanti a lui, gli domandò: «Maestro buono, che cosa devo fare per avere la vita eterna?».

Marco 10:18 Gesù gli disse: «Perché mi chiami buono? Nessuno è buono, se non Dio solo.

Marco 10:19 Tu conosci i comandamenti: Non uccidere, non commettere adulterio, non rubare, non dire falsa testimonianza, non frodare, onora il padre e la madre».

 

Marco 10:20 Egli allora gli disse: «Maestro, tutte queste cose le ho osservate fin dalla mia giovinezza».

Marco 10:21 Allora Gesù, fissatolo, lo amò e gli disse: «Una cosa sola ti manca: và, vendi quello che hai e dàllo ai poveri e avrai un tesoro in cielo; poi vieni e seguimi».

Marco 10:22 Ma egli, rattristatosi per quelle parole, se ne andò afflitto, poiché aveva molti beni.

 

“Mentre usciva per mettersi in viaggio”. Marco ricorda ai suoi lettori che questo è il viaggio che conduce a Gerusalemme. Ed è proprio su questo viaggio che abbiamo la cornice e la chiave di lettura del racconto.

L'evangelista vuole sottolineare l'importanza del fidarsi di Gesù e del confidare in lui e non nelle proprie ricchezze e, quindi, in se stessi. L'incontro di questo personaggio alla ricerca della via perfetta, lo descrive molto bene: egli corre verso Gesù e si inginocchia davanti a lui, esprimendo in tal modo il suo desiderio di incontro con il Maestro (gli corse incontro) e il suo affidarsi a lui (si getta in ginocchio davanti a Gesù). Si tenga presente che qui tutto avviene sulla strada che porta a Gerusalemme e da lì al Golgota. È questa la via perfetta, la strada maestra che porta alla vita eterna, incomprensibile per chi ripone la fiducia in se stesso e nei propri beni: il fare la volontà del Padre. Da qui la necessità di spogliarsi di se stessi e seguire Gesù, perché è lui la Via che porta al Padre, alla vita eterna, e su questa Via è impressa l'impronta della croce.

La questione su cui gira l'intero racconto è data da una domanda: “Maestro buono, che cosa devo fare per avere la vita eterna?”. Gesù è definito “Maestro buono”, in cui il termine “Maestro” definisce il rapporto che intercorre tra Gesù e questo tale, che si pone in un atteggiamento di discepolo e, quindi, ben disposto ad accogliere l'insegnamento di Gesù, che qui, in modo certamente anomalo nel definire un maestro, viene chiamato “buono”. Un maestro lo si può definire saggio, illuminato, dotto, sapiente, tutti attributi che evidenziano la sua posizione di maestro e ne definiscono la qualità. Non ha molto senso che Gesù venga definito “buono” e Gesù lo rileverà subito come a lui inappropriato, poiché, da buon giudeo, Gesù sa che questo attributo va riferito e riconosciuto pubblicamente soltanto a Dio. Gesù, dunque, rimanda la ricerca di questo ricco a Dio stesso. La chiave che apre alla “vita eterna” appartiene al Padre, ma Gesù può indicare la via maestra dei comandamenti, in cui si rispecchia la volontà stessa di Dio e sono posti a sigillo dell'Alleanza, che sta alla base dell'identità stessa del popolo d'Israele.

La questione posta dal ricco è “che cosa devo fare per avere la vita eterna?”. La questione fa parte del dibattito rabbinico, che va alla continua ricerca di una sofisticata via di perfezione o di un qualche comandamento tale che possa in qualche modo riassumere la foltissima schiera di tutti gli altri comandamenti della Torah, ben 613, che scandivano e tuttora scandiscono il vivere del pio ebreo. La religione ebraica è concepita come una sorta di prassi religiosa, una mera esecuzione di ordini e comandi divini. La Torah, infatti, era colta come espressione della volontà divina, che come tale andava soltanto eseguita e non discussa. A fronte della corretta esecuzione, Dio era tenuto a dare al suo fedele la ricompensa promessa. Si trattava, quindi, di una sorta di rapporto contrattuale, che il pio ebreo aveva stipulato con Dio nell'ambito dell'Alleanza. Entro queste logiche si comprende la richiesta del ricco “cosa devo fare per avere”. Siamo, dunque, ancora nell'ambito di una logica contrattualistica, quella del fare per avere, ma nel contempo lascia intuire il desiderio profondo di aprirsi ad un nuovo rapporto con Dio, capace di superare i vecchi schemi. Ed è proprio questa esigenza di un rinnovamento interiore e di crescita spirituale, che ha indirizzato questo tale verso Gesù.

Con il v. 19 Gesù indica la via maestra, aperta ad ogni pio ebreo e a tutti gli uomini di buona volontà, poiché i comandamenti altro non sono che una legge che è inscritta nella natura stessa dell'uomo e gli indica il cammino da percorre. I comandamenti che Gesù elenca riguardano il solo rapporto con gli altri, omettendo, invece, la prima parte del Decalogo riguardante il rapporto con Dio. Questa scelta di campo operata da Gesù, tuttavia, non esclude i rapporti con Dio, ma li va a completare e ne costituisce la “conditio sine qua non”. Non si può, infatti, amare Dio che non si vede se non si ama il prossimo che si vede. L'amore per Dio passa attraverso quello per il prossimo.

Nell'elencazione dei comandamenti, Marco aggiunge un “Mē aposterēsēs” (non frodare), che di fatto non esiste tra i comandamenti, ma che in realtà sintetizza Es 20,17: “Non desiderare la casa del tuo prossimo. Non desiderare la moglie del tuo prossimo, né il suo schiavo, né la sua schiava, né il suo bue, né il suo asino, né alcuna cosa che appartenga al tuo prossimo”. Il verbo “aposterēō” (frodare), che qui Marco usa al posto del “Non desiderare”, significa oltre che frodare, anche “privare, spogliare, portar via, defraudare, non dare quello che si deve”. Il senso che Marco qui vuole attribuire a quel “non desiderare” originario, è quello di un sottrarre in modo subdolo e ingannevole un bene che appartiene al prossimo. Il perché di questa scelta da parte di Marco, cioè di sostituire il “non desiderare” con “non frodare”, va capita per la platea di lettori a cui Marco destina il suo vangelo: la comunità di Roma, per la quale “desiderare” è un semplice moto dell'animo, mentre per la mentalità e la cultura ebraica il “desiderare” assume aspetti molto più concreti, che è il mettere in atto un comportamento tale da poter sottrarre all'altro, in modo subdolo e ingannevole, il bene “desiderato”. Un concetto che per i Romani meglio si esprimeva con “frodare”.

Il v. 20 riporta la risposta del ricco, che attesta di osservare tali cose fin dalla sua giovinezza. Il riferimento qui è probabilmente al “bar mitzvah” (figlio del comandamento), una cerimonia che viene celebrata all'età di 13 anni per il maschio. È questo il momento in cui il giovane, ormai alle soglie dell'adolescenza, fa la sua entrata ufficiale nella comunità civile e religiosa, assumendo le sue prime responsabilità, partecipando attivamente alla vita religiosa e sociale. Egli può da questo momento essere conteggiato nel “Minian”, il numero minimo di dieci persone perché la preghiera pubblica in sinagoga abbia valenza comunitaria.

La risposta di Gesù si articola in tre momenti che costituiscono una sorta di graduale cammino verso la perfezione spirituale: a) la constatazione che la semplice osservanza della Torah, per quanto perfetta, non soddisfa adeguatamente il bisogno di spiritualità di questo tale: “Una cosa sola ti manca”. Segno evidente che la Legge mosaica non era in grado di dare quella perfezione spirituale capace di creare un'adeguata comunione tra il credente e Dio. b) Il secondo momento crea la condizione per accedere a questa perfezione: liberarsi da ogni vincolo materiale, che lega chi lo possiede al terrestre, impedendogli ogni elevazione spirituale: “vendi quanto hai e dallo ai poveri e avrai un tesoro in cielo”. Non si tratta di un semplice ripudio dei beni terreni, ma di una “distribuzione” degli stessi a chi ne ha bisogno e, quindi, di una sorta di condivisione, che si fa comunione di vita, trasformando in tal modo questa ricchezza materiale e deperibile in una spirituale ed eterna. c) Il terzo elemento, che costituisce la risposta di Gesù, è la sequela: “poi vieni e seguimi”. Il verbo qui usato è “akolouthei”, ed esprime una sequela che si pone a servizio di Gesù. Un verbo tecnico questo, proprio degli gli evangelisti, per definire il rapporto che intercorre tra il discepolo che ha deciso la propria vita per Gesù e Gesù stesso.

Quello della sequela, pertanto, è un percorso graduale, che nasce dal bisogno di perfezione spirituale, per dare un senso più profondo e più vero alla propria vita; da qui la necessità di liberarsi dai vincoli materiali che possono condizionare il cammino di crescita spirituale; ed infine la sequela di Gesù, quale momento culminante di questo percorso di spiritualità, che ha inizio proprio dalla spoliazione di se stessi.

Il v. 22 chiude il racconto sul ricco alla ricerca della via di perfezione con una nota di tristezza che lascia molto amaro in bocca: “rattristatosi per quelle parole, se ne andò afflitto”, perché, commenta l'evangelista, “aveva molti beni”. Una tristezza, dunque, che è legata ai beni, perché sono proprio questi che gli impediscono di accedere a quella perfezione a cui tanto aspirava. Una tristezza che indica la frustrazione di un grande desiderio di Dio. Perché la sequela sia efficace, necessita che il proprio cuore sia completamente libero dalla materialità del vivere, poiché essa non è un percorso di potere e di affermazione personale, ma di spiritualità, che trascendendo la materialità evolve il discepolo verso Dio e lo conduce a lui attraverso il servizio agli altri.

 

 

 Argentino Quintavalle, autore dei libri 

- Apocalisse commento esegetico 

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Argentino Quintavalle

Argentino Quintavalle è studioso biblico ed esperto in Protestantesimo e Giudaismo. Autore del libro “Apocalisse - commento esegetico” (disponibile su Amazon) e specializzato in catechesi per protestanti che desiderano tornare nella Chiesa Cattolica.

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«And therefore, it is rightly stated that he [st Francis of Assisi] is symbolized in the figure of the angel who rises from the east and bears within him the seal of the living God» (FS 1022)
«E perciò, si afferma, a buon diritto, che egli [s. Francesco d’Assisi] viene simboleggiato nella figura dell’angelo che sale dall’oriente e porta in sé il sigillo del Dio vivo» (FF 1022)
This is where the challenge for your life lies! It is here that you can manifest your faith, your hope and your love! [John Paul II at the Tala Leprosarium, Manila]
È qui la sfida per la vostra vita! È qui che potete manifestare la vostra fede, la vostra speranza e il vostro amore! [Giovanni Paolo II al Lebbrosario di Tala, Manila]
The more we do for others, the more we understand and can appropriate the words of Christ: “We are useless servants” (Lk 17:10). We recognize that we are not acting on the basis of any superiority or greater personal efficiency, but because the Lord has graciously enabled us to do so [Pope Benedict, Deus Caritas est n.35]
Quanto più uno s'adopera per gli altri, tanto più capirà e farà sua la parola di Cristo: « Siamo servi inutili » (Lc 17, 10). Egli riconosce infatti di agire non in base ad una superiorità o maggior efficienza personale, ma perché il Signore gliene fa dono [Papa Benedetto, Deus Caritas est n.35]
A mustard seed is tiny, yet Jesus says that faith this size, small but true and sincere, suffices to achieve what is humanly impossible, unthinkable (Pope Francis)
Il seme della senape è piccolissimo, però Gesù dice che basta avere una fede così, piccola, ma vera, sincera, per fare cose umanamente impossibili, impensabili (Papa Francesco)
Hypocrisy: indeed, while they display great piety they are exploiting the poor, imposing obligations that they themselves do not observe (Pope Benedict)
Ipocrisia: essi, infatti, mentre ostentano grande religiosità, sfruttano la povera gente imponendo obblighi che loro stessi non osservano (Papa Benedetto)
Each time we celebrate the dedication of a church, an essential truth is recalled: the physical temple made of brick and mortar is a sign of the living Church serving in history (Pope Francis)
Ogni volta che celebriamo la dedicazione di una chiesa, ci viene richiamata una verità essenziale: il tempio materiale fatto di mattoni è segno della Chiesa viva e operante nella storia (Papa Francesco)
As St. Ambrose put it: You are not making a gift of what is yours to the poor man, but you are giving him back what is his (Pope Paul VI, Populorum Progressio n.23)
Non è del tuo avere, afferma sant’Ambrogio, che tu fai dono al povero; tu non fai che rendergli ciò che gli appartiene (Papa Paolo VI, Populorum Progressio n.23)
Here is the entire Gospel! Here! The whole Gospel, all of Christianity, is here! But make sure that it is not sentiment, it is not being a “do-gooder”! (Pope Francis))
Qui c’è tutto il Vangelo! Qui! Qui c’è tutto il Vangelo, c’è tutto il Cristianesimo! Ma guardate che non è sentimento, non è “buonismo”! (Papa Francesco)
Christianity cannot be, cannot be exempt from the cross; the Christian life cannot even suppose itself without the strong and great weight of duty [Pope Paul VI]
Il Cristianesimo non può essere, non può essere esonerato dalla croce; la vita cristiana non può nemmeno supporsi senza il peso forte e grande del dovere [Papa Paolo VI]
The horizon of friendship to which Jesus introduces us is the whole of humanity [Pope Benedict]
L’orizzonte dell’amicizia in cui Gesù ci introduce è l’umanità intera [Papa Benedetto]

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