Apr 23, 2024 Scritto da 

5a Domenica di Pasqua

(Gv 15,1-8)

Giovanni 15:1 «Io sono la vera vite e il Padre mio è il vignaiolo.

Giovanni 15:2 Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo toglie e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto.

Giovanni 15:3 Voi siete già mondi, per la parola che vi ho annunziato.

Giovanni 15:4 Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può far frutto da se stesso se non rimane nella vite, così anche voi se non rimanete in me.

Giovanni 15:5 Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me e io in lui, fa molto frutto, perché senza di me non potete far nulla.

Giovanni 15:6 Chi non rimane in me viene gettato via come il tralcio e si secca, e poi lo raccolgono e lo gettano nel fuoco e lo bruciano.

Giovanni 15:7 Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quel che volete e vi sarà dato.

Giovanni 15:8 In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli.

 

Il v. 1 presenta i due attori principali di quella che potrebbe definirsi, con un termine ebraico, un «mashal», cioè una sorta di riflessione sapienziale che parte dall'esperienza di vita: Gesù, la vera vite, e il Padre, il vignaiolo, in un rapporto in cui Gesù, quale vite, funge da luogo in cui il Padre opera un giudizio posto sui credenti, tutti nati da questa vite, ma solo alcuni se ne rendono degni e sanno fruttificare, mentre altri si limitano a vegetare, disconoscendo la loro origine e quindi distaccandosene.

L'espressione “Io sono”, nel Vangelo di Giovanni, acquista un significato teologico di enorme importanza. È un richiamo al nome e al modo di essere di Yahweh [svelati a Mosè] e definisce la divinità di Gesù, quasi a dire che quel Yahweh che ha incontrato Mosè sul Sinai è ora tornato in mezzo ai suoi nella persona di Gesù. Un “Io sono” che qui è definito quale “vite”, cioè quale luogo unico ed esclusivo da cui vengono generati i tralci, che non solo gli appartengono, ma ne costituiscono una propaggine; da questa vite la linfa vitale divina scorre verso i tralci-credenti. Si tratta di una immagine che definisce l'indefinibile divinità di Yahweh, di cui Gesù diviene il luogo storico del suo disvelarsi agli uomini.

Il v. 2 va a completare l'immagine introdotta dal v. 1 e presenta una nuova figura, quella del tralcio, che per sua natura è stato generato dalla vite ed è ad essa legato, e si nutre della sua stessa vita. Vengono qui presentate due tipologie di tralci: quelli che non portano frutto e quelli che, invece, portano frutto. Anche quest'ultima categoria viene assoggettata alla potatura. Togliere e potare sono due verbi traumatici, a cui tutte e due le tipologie di tralci sono sottoposti; se da un lato essi richiamano l'azione di un giudizio, che viene posto su tutti, dall'altro lascia intravvedere come lo strumento di questa cernita sia il momento della prova, che discriminerà quelli che rimangono e quelli che invece non rimangono, alludendo alla fedeltà o meno provocata dalla persecuzione (Gv 15,18-19).

Il v. 3, riprendendo il tema del mondare, qui inteso nel senso di purificare, aggiunge una nuova nota: la purificazione non avviene soltanto attraverso la prova, ma viene misurata anche sull'accoglienza fedele della parola di Gesù, che possiede in se stessa un potere rigenerativo. Per questo è una parola purificatrice e trasformatrice. Un concetto questo che è espresso efficacemente dalla particella greca “dià” che significa “per mezzo di”, assegnando alla parola il ruolo di strumento attraverso il quale fluisce la vita stessa di Dio. Non è un caso del resto se Giovanni apre il suo Vangelo ponendo nel principio assoluto di Dio proprio la sua Parola (Gv 1,1-2), da cui fluisce poi tutta la vita (Gv 1,3).

Il v. 4 introduce il tema del “rimanere in”, che qui presenta il doppio volto del discepolo in Gesù e di Gesù nel discepolo, aprendo un gioco di reciprocità che si fa comunione di vita, la cui iniziativa è qui in mano al discepolo, perché il rimanere di Gesù nel discepolo è conseguente al rimanere del discepolo in Gesù. Se l'essere tralci non dipende da noi, ma dalla vite, di cui siamo parte, il rimanerci dipende da noi. Il termine "rimanere" non indica "un esserci" effimero, provvisorio, ma persistente e perseverante. Significa dimorare a lungo, sempre. Significa fare di quella vite che è Cristo, la nostra abitazione abituale. Si tratta in ultima analisi di una fedeltà esistenziale a Gesù, che costituisce la “conditio sine qua non” del rimanere di Gesù nel discepolo, così che la vita possa defluire dalla vite al tralcio.

La prima conseguenza del non rimanere o del rimanere è quella del non portare o del portare frutto. Che cosa significa “portare frutto”? Giovanni usa sempre il singolare, “frutto”, e mai il plurale, “frutti”, nel qual caso il lettore sarebbe spinto a pensare che questi siano le opere buone. Ma qui non si parla di comportamenti buoni o cattivi; lo sfondo non è quello morale, ma cristologico, inteso come risposta esistenziale all'essere o non essere in Gesù. Il termine al singolare, “frutto”, riguarda più che le opere una condizione di vita, che il v. 4 definisce come un reciproco “rimanere in”, una compenetrazione tra Gesù e discepolo, che esprime una comunione di vita e tale da farne una sola.

Il “portare frutto”, pertanto, esclude il riferimento alle opere, definendo, invece, una condizione di vita che va a toccare l'ontologia stessa del credente, che è in Gesù con tutto il suo essere ed è a sua volta da lui compenetrato, così che i due diventano una sola cosa, come lo sono la vite e il tralcio, che si nutrono della stessa linfa vitale e in qualche modo si appartengono reciprocamente. Ecco, dunque, che il "rimanere" non è uno statico "essere in qualcosa", ma un dinamico compenetrarsi tra Cristo e noi, così che siamo costituiti come un'unica cosa con e in Cristo; significa essere cristificati. È, in ultima analisi, un riprodurre in noi lo stesso rapporto che esiste tra Cristo e il Padre 

 

 Argentino Quintavalle, autore dei libri 

- Apocalisse commento esegetico 

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78 Ultima modifica il Martedì, 23 Aprile 2024 13:52
Argentino Quintavalle

Argentino Quintavalle è studioso biblico ed esperto in Protestantesimo e Giudaismo. Autore del libro “Apocalisse - commento esegetico” (disponibile su Amazon) e specializzato in catechesi per protestanti che desiderano tornare nella Chiesa Cattolica.

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Familiarity at the human level makes it difficult to go beyond this in order to be open to the divine dimension. That this son of a carpenter was the Son of God was hard for them to believe [Pope Benedict]
La familiarità sul piano umano rende difficile andare al di là e aprirsi alla dimensione divina. Che questo Figlio di un falegname sia Figlio di Dio è difficile crederlo per loro [Papa Benedetto]
Christ reveals his identity of Messiah, Israel's bridegroom, who came for the betrothal with his people. Those who recognize and welcome him are celebrating. However, he will have to be rejected and killed precisely by his own; at that moment, during his Passion and death, the hour of mourning and fasting will come (Pope Benedict)
Cristo rivela la sua identità di Messia, Sposo d'Israele, venuto per le nozze con il suo popolo. Quelli che lo riconoscono e lo accolgono con fede sono in festa. Egli però dovrà essere rifiutato e ucciso proprio dai suoi: in quel momento, durante la sua passione e la sua morte, verrà l'ora del lutto e del digiuno (Papa Benedetto)
Peter, Andrew, James and John are called while they are fishing, while Matthew, while he is collecting tithes. These are unimportant jobs, Chrysostom comments, "because there is nothing more despicable than the tax collector, and nothing more common than fishing" (In Matth. Hom.: PL 57, 363). Jesus' call, therefore, also reaches people of a low social class while they go about their ordinary work [Pope Benedict]
Pietro, Andrea, Giacomo e Giovanni sono chiamati mentre stanno pescando, Matteo appunto mentre riscuote il tributo. Si tratta di lavori di poco conto – commenta il Crisostomo -  “poiché non c'è nulla di più detestabile del gabelliere e nulla di più comune della pesca” (In Matth. Hom.: PL 57, 363). La chiamata di Gesù giunge dunque anche a persone di basso rango sociale, mentre attendono al loro lavoro ordinario [Papa Benedetto]
For the prodigious and instantaneous healing of the paralytic, the apostle St. Matthew is more sober than the other synoptics, St. Mark and St. Luke. These add broader details, including that of the opening of the roof in the environment where Jesus was, to lower the sick man with his lettuce, given the huge crowd that crowded at the entrance. Evident is the hope of the pitiful companions: they almost want to force Jesus to take care of the unexpected guest and to begin a dialogue with him (Pope Paul VI)
Per la prodigiosa ed istantanea guarigione del paralitico, l’apostolo San Matteo è più sobrio degli altri sinottici, San Marco e San Luca. Questi aggiungono più ampi particolari, tra cui quello dell’avvenuta apertura del tetto nell’ambiente ove si trovava Gesù, per calarvi l’infermo col suo lettuccio, data l’enorme folla che faceva ressa all’entrata. Evidente è la speranza dei pietosi accompagnatori: essi vogliono quasi obbligare Gesù ad occuparsi dell’inatteso ospite e ad iniziare un dialogo con lui (Papa Paolo VI)
The invitation given to Thomas is valid for us as well. We, where do we seek the Risen One? In some special event, in some spectacular or amazing religious manifestation, only in our emotions and feelings? [Pope Francis]
L’invito fatto a Tommaso è valido anche per noi. Noi, dove cerchiamo il Risorto? In qualche evento speciale, in qualche manifestazione religiosa spettacolare o eclatante, unicamente nelle nostre emozioni e sensazioni? [Papa Francesco]
His slumber causes us to wake up. Because to be disciples of Jesus, it is not enough to believe God is there, that he exists, but we must put ourselves out there with him; we must also raise our voice with him. Hear this: we must cry out to him. Prayer is often a cry: “Lord, save me!” (Pope Francis)

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don Giuseppe Nespeca

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