Lug 9, 2025 Scritto da 

15a Domenica T.O. (anno C) 

15a Domenica Tempo Ordinario (anno C) [13 Luglio 2025]

Dio ci benedica e la Vergine ci protegga. Viviamo l’estate lasciandoci accompagnare e guidare dalla Parola di Dio.

 

*Prima Lettura dal Libro del Deuteronomio (30,10-14)

 Il libro del Deuteronomio contiene l’ultimo discorso di Mosè, una sorta di suo testamento spirituale anche se di sicuro non è stato scritto da Mosè, visto che si ripete spesso: “Mosè ha detto…Mosè ha fatto”. L’autore poi è molto solenne nel ricordare il contributo maggiore di Mosè: aver fatto uscire Israele dall’Egitto e aver concluso l’Alleanza con Dio sul Sinai. In questa Alleanza, Dio si impegna a a proteggere il suo popolo per sempre e il popolo promette di rispettare la sua Legge, riconoscendo in essa la migliore garanzia della libertà ritrovata. Israele s’impegna, ma non si mostra spesso fedele. Quando il regno del Nord, annientato dagli Assiri, scompare dalla carta geografica, l’autore invita gli abitanti del regno del Sud, imparando da tale disfatta, ad ascoltare la voce del Signore, a osservare i suoi comandi e decreti scritti nella Torah. Non sono infatti né difficili da capire né da mettere in pratica: “Questo comando che oggi ti ordino non è troppo alto per te né troppo lontano da te” (v.11).

Una domanda: Se osservare la Legge non è difficile perché non si mettono in pratica i comandamenti di Dio? Per Mosè la ragione sta nel fatto che Israele è “un popolo di dura cervice”: ha provocato l’ira del Signore nel deserto e poi è stato ribelle al Signore dal giorno in cui è uscito dall’Egitto fino al suo arrivo della terra promessa (Cf. Dt 9,6-7). L’espressione “dura cervice” evoca un animale che si rifiuta di piegare il collo sotto il giogo e l’Alleanza tra Dio e il suo popolo era paragonata a un giogo di aratura. Per raccomandare l’obbedienza alla Legge, Ben Sira, scrive: “Mettete il vostro collo sotto il giogo e ricevete l’istruzione” (Sir 51,26). Mentre Geremia, rimprovera a Israele le sue infedeltà alla Legge: “Da tempo tu hai spezzato il tuo giogo, hai rotto i tuoi legami” (Ger 2,20; 5,5). E Gesù: “Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me… Sì, il mio giogo è dolce e il mio carico leggero” (Mt 11,29-30). Questa frase trova proprio qui, nel nostro testo del Deuteronomio, le sue radici: “Questo comando che oggi ti ordino non è troppo alto per te né troppo lontano da te”(v11) . Sia nel Deuteronomio come nel vangelo emerge il messaggio positivo della Bibbia: la Legge divina è alla nostra portata e il male non è irrimediabile per cui se l’umanità cammina verso la salvezza, che consiste nell’amare Dio e il prossimo, sperimenta la felicità. Eppure l’esperienza dimostra che la pratica di una vita conforme al progetto di Dio è impossibile per l’uomo quando si affida solo alle proprie forze. Ma se questo è impossibile agli uomini, tutto è invece possibile a Dio (Cf Mt 19,26) che, come leggiamo in questo testo, trasforma la nostra “dura cervice” e cambia il nostro cuore: egli “circonciderà il tuo cuore e il cuore della tua discendenza, perché tu ami il Signore tuo Dio con tutto il cuore e con tutta l’anima, e viva” (Dt 30,6). Per circoncisione del cuore si intende l’adesione di tutto il nostro essere alla volontà di Dio, possibile, come annotano i profeti specialmente Geremia ed Ezechiele,  solamente grazie a un intervento diretto di Dio: “Metterò la mia legge dentro di loro, la scriverò sul loro cuore. Io sarò il loro Dio ed essi saranno il mio popolo”(Ger 31,33).

 

*Salmo responsoriale 18/19

L’obbedienza alla Legge è un cammino verso la vera Terra Promessa e questo salmo sembra una litania in onore della Legge: “la Legge del Signore”, ”i precetti del Signore», “il comando del Signore”, “i giudizi del Signore”. Il Signore ha scelto il suo popolo, lo ha liberato e gli ha proposto la sua Alleanza per accompagnarlo lungo tutta la sua esistenza, educandolo con l’osservanza della Torah. Non bisogna dimenticare che, prima di ogni altra cosa, il popolo ebraico ha fatto l’esperienza di essere stato liberato dal suo Dio. La Legge e i comandamenti si collocano dunque nella prospettiva dell’uscita dall’Egitto: sono un’impresa di liberazione da tutte le catene che impediscono all’uomo di essere felice e si tratta di un’Alleanza eterna. Il libro del Deuteronomio insiste su questo punto: “Ascolta dunque, Israele, osserva e metti in pratica ciò che ti renderà felice” (Dt 6,3). E il nostro salmo fa eco: “I precetti del Signore sono retti, fanno gioire il cuore”. La grande certezza acquisita dagli uomini della Bibbia è che Dio vuole la felicità dell’uomo e gli offre un mezzo molto semplice perché basta ascoltare la sua Parola scritta nella Legge: “Il comando del Signore è limpido, illumina gli occhi”. Il cammino è tracciato, i comandamenti sono come segnali stradali che indicano eventuali pericoli e la Legge è il nostro maestro: del resto la radice della parola Torah in ebraico significa prima di tutto insegnare. Non c’è altra esigenza e non c’è nemmeno un’altra via per essere felici: “I giudizi del Signore sono tutti giusti, più preziosi dell’oro, più dolci del miele”. Se per noi, come per il salmista, l’oro è un metallo al tempo stesso incorruttibile e prezioso, quindi desiderabile, il miele invece non evoca per noi ciò che rappresentava per un abitante della Palestina. Quando Dio chiama Mosè e gli affida la missione di liberare il suo popolo, gli promette: “Io vi farò salire dalla miseria d’Egitto… verso un paese dove scorre latte e miele” (Es 3,17). Quest’espressione, molto antica, caratterizza l’abbondanza e la dolcezza. Il miele, ovviamente, si trova anche altrove persino nel deserto dove Giovanni Battista si nutriva di locuste e miele selvatico (Cf Mt 3,4), ma resta comunque una rarità e proprio questo rende meravigliosa la Terra Promessa dove la presenza del miele indica la dolcezza dell’azione di Dio, che ha preso l’iniziativa di salvare il suo popolo, semplicemente per amore. Per questo d’ora in poi non si parlerà più delle cipolle d’Egitto, ma del miele di Canaan e Israele è certo che Dio lo salverà perché, come inizia il salmo,  “la Legge del Signore è perfetta, rinfranca l’anima, la testimonianza del Signore è stabile, rende saggio il semplice”.

 

*Seconda Lettura dalla Lettera di san Paolo apostolo ai Colossesi (1,15-20)

Comincio parafrasando l’ultima frase, che forse per noi è la più difficile: Dio ha giudicato bene che tutto, per mezzo di Cristo, gli sia finalmente riconciliato, facendo la pace per tutti gli esseri sulla terra e nel cielo mediante il sangue della sua croce (vv19-20). Paolo qui paragona la morte di Cristo a un sacrificio come quelli che si offrivano abitualmente nel tempio di Gerusalemme. In particolare, esistevano dei sacrifici chiamati “sacrifici di comunione” o “sacrifici di pace”. Paolo sa bene che quanti hanno condannato Gesù non avevano di certo l’intenzione di offrire un sacrificio sia perché i sacrifici umani non esistevano più in Israele, sia perché Gesù è stato condannato a morte come un malfattore ed è stato giustiziato fuori dalla città di Gerusalemme. Paolo qui contempla una cosa inaudita: nella sua grazia, Dio ha trasformato l’orribile passione inflitta al suo Figlio dagli uomini in un’opera di pace. In altre parole, l’odio umano che uccide il Cristo, in un misterioso rovesciamento ad opera della grazia divina, diventa strumento di riconciliazione e di pacificazione perché finalmente conosciamo Dio così com’è: Dio è puro amore e perdono.  Questa scoperta può trasformare i nostri cuori di pietra in cuori di carne (cf. Ezechiele), se lasciamo agire in noi il suo Spirito. In questa lettera ai Colossesi troviamo la stessa meditazione che troviamo nel vangelo di Giovanni ispirata dalle parole del profeta Zaccaria: “Riverserò sulla casa di Davide e sugli abitanti di Gerusalemme uno spirito di grazia e di supplica. Guarderanno a me, a colui che hanno trafitto… piangeranno per lui amaramente» (Zc 12,10). Quando contempliamo la croce, da questa contemplazione può nascere la nostra conversione e riconciliazione. Nel Cristo in croce contempliamo l’uomo così come Dio lo ha voluto e scopriamo nel Gesù trafitto l’uomo giusto per eccellenza, l’uomo perfetto immagine di Dio. Per questo Paolo parla di pienezza, nel senso di compimento: “E’ piaciuto a Dio che abiti in lui tutta la pienezza”. Riprendiamo ora l’inizio del testo: “Cristo Gesù è immagine del Dio invisibile, primogenito di tutta la creazione, perché in lui furono create tutte le cose nei cieli e sulla terra, quelle visibili e quelle invisibili… Tutte le cose sono state create per mezzo di lui e in vista di lui”. In Gesù contempliamo Dio stesso; in Gesù Cristo, Dio si lascia vedere o, per dirlo in un altro modo, Gesù è la visibilità del Padre: “Chi ha visto me ha visto il Padre”, dice lui stesso nel vangelo di Giovanni (Gv 14,9). Contemplando il Cristo, contempliamo l’uomo, contemplando il Cristo, contempliamo Dio. Resta ancora un versetto fondamentale: “Egli è anche il capo del corpo, della Chiesa. Egli è principio, primogenito di quelli che risorgono dai morti, perché sia lui ad avere il primato su tutte le cose” (v.18). Questo è forse il testo del Nuovo Testamento, dove si dice il più chiaramente possibile, che siamo il Corpo di Cristo, cioè è il capo di un grande corpo di cui noi siamo le membra. Se altrove aveva già detto che siamo tutti membra di un unico corpo (Rm 12,4-5) e (1 Cor 12,12), qui lo precisa chiaramente: “Il Cristo è il capo del corpo, che è Chiesa” (come anche in Ef 1,22; 4,15; 5,23) e tocca a noi fare in modo che questo Corpo cresca in maniera armoniosa. 

 

*Dal Vangelo secondo Luca (10,25-37)

Un dottore della Legge pone a Gesù due domande impegnative: “Maestro, che cosa devo fare per ereditare la vita eterna?” e, ancor più impegnativa, “E chi è il mio prossimo? La risposta che riceve è esigente. Partendo infatti dalle sue domande, Gesù lo conduce al cuore stesso di Dio e colloca tale percorso in un contesto concreto e familiare ai suoi ascoltatori: la strada di trenta chilometri che separa Gerusalemme da Gerico, una strada in pieno deserto, che all’epoca era davvero un luogo di agguati per cui il racconto dell’assalto e della cura del ferito suonava estremamente verosimile. Scendeva un uomo da Gerusalemme a Gerico è cadde nelle mani dei briganti, che lo derubano e lo lasciano mezzo morto. Alla sua disgrazia fisica e morale si aggiunge anche un’esclusione di tipo religioso perché toccato da “impuri”, diventa egli stesso impuro. Questa è la ragione dell’apparente indifferenza, anzi della repulsione del sacerdote e del levita, preoccupati di preservare la propria integrità rituale. Un samaritano, invece, non si pone questi scrupoli. Questa scena sul ciglio della strada esprime in immagini ciò che Gesù stesso ha fatto tante volte quando guariva anche di sabato, quando si chinava sui lebbrosi, quando accoglieva i peccatori, citando più volte il profeta Osea: “Voglio l’amore e non il sacrificio, la conoscenza di Dio più degli olocausti” (Os 6,6). Alla prima domanda del dottore della Legge Gesù risponde a sua volta come i rabbini con una domanda: “Nella Legge, cosa vi è scritto? Come leggi?”e l’interlocutore recita con entusiasmo: “Amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuore, con tutta l’anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente, e il tuo prossimo come te stesso”. “Hai risposto bene”, replica Gesù, perché la sola cosa che conta per Israele, è la fedeltà a questo duplice amore. Il segreto di questa conoscenza, che l’intera Bibbia ci rivela, è che Dio è “misericordioso” (letteralmente in ebraico: “le sue viscere fremono”). Non è un caso se Luca utilizza la stessa espressione per descrivere l’emozione di Gesù alla vista della vedova di Nain che portava il figlio unico al cimitero (Lc 7) o per raccontare la commozione del Padre al ritorno del figlio prodigo (Lc 15). Anche il buon samaritano quando vide l’uomo ferito, “ne ebbe compassione” (si commosse nelle viscere). Anche se è misericordioso per i giudei resta solo un samaritano, cioè uno dei meno raccomandabili dato che giudei e samaritani erano nemici: i giudei disprezzavano i samaritani perché eretici (un disprezzo antico: nel libro del Siracide si cita tra i popoli detestabili «il popolo stolto che abita in Sichem» (Sir 50,26)), mentre i samaritani non perdonavano ai giudei la distruzione del loro santuario sul monte Garizim (nel 129 a.C.). Eppure, quest’uomo disprezzato è dichiarato da Gesù più vicino a Dio dei dignitari e dei servitori del Tempio, che passarono oltre senza fermarsi. La “compassione nelle viscere” del samaritano — miscredente agli occhi dei giudei — diventa “immagine di Dio” e Gesù propone un rovesciamento di prospettiva. Alla domanda “chi è il mio prossimo?”, non risponde con una “definizione” di prossimo (in definizione c’è la anche parola latina “finis” che significa limite), ma ne fa una questione di cuore. Attenzione al vocabolario: la parola “prossimo” fa intendere che ci siano anche dei lontani. E allora, alla domanda: “Chi è dunque il mio prossimo?” il Signore risponde: Spetta a te decidere fino a dove vuoi tu farti prossimo. E propone come esempio proprio il samaritano semplicemente  perché è capace di compassione. E chiude Gesù: “Va’, e anche tu fa’ lo stesso”. Non è un semplice consiglio. Al dottore della Legge aveva già detto prima: “Fa’ questo e vivrai” e ora Luca evidenzia l’esigenza di coerenza tra parole e fatti: è bello parlare come un libro (è il caso del dottore della Legge), ma non basta perché Gesù diceva: “Mia madre e i miei fratelli sono coloro che ascoltano la parola di Dio e la mettono in pratica» (Lc 8,21). In definitiva Gesù ci provoca a un amore senza confini!

NOTA La domanda «Qual è il più grande comandamento?» compare anche nei vangeli di Matteo e Marco, mentre la parabola del buon Samaritano è propria di Luca. È interessante anche osservare che la presentazione così positiva di un samaritano (Lc 10) segue immediatamente il rifiuto di un villaggio samaritano di accogliere Gesù e i suoi discepoli in cammino verso Gerusalemme (Lc 9). Gesù rifiuta ogni tipo di generalizzazione e questa parabola evidenzia, in fondo, una questione di scelte prioritarie nella nostra vita.

+Giovanni D’Ercole

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don Giuseppe Nespeca

Giuseppe Nespeca è architetto e sacerdote. Cultore della Sacra scrittura è autore della raccolta "Due Fuochi due Vie - Religione e Fede, Vangeli e Tao"; coautore del libro "Dialogo e Solstizio".

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The saints: they are our precursors, they are our brothers, they are our friends, they are our examples, they are our lawyers. Let us honour them, let us invoke them and try to imitate them a little (Pope Paul VI)
I santi: sono i precursori nostri, sono i fratelli, sono gli amici, sono gli esempi, sono gli avvocati nostri. Onoriamoli, invochiamoli e cerchiamo di imitarli un po’ (Papa Paolo VI)
Man rightly fears falling victim to an oppression that will deprive him of his interior freedom, of the possibility of expressing the truth of which he is convinced, of the faith that he professes, of the ability to obey the voice of conscience that tells him the right path to follow [Dives in Misericordia, n.11]
L'uomo ha giustamente paura di restar vittima di una oppressione che lo privi della libertà interiore, della possibilità di esternare la verità di cui è convinto, della fede che professa, della facoltà di obbedire alla voce della coscienza che gli indica la retta via da seguire [Dives in Misericordia, n.11]
We find ourselves, so to speak, roped to Jesus Christ together with him on the ascent towards God's heights (Pope Benedict)
Ci troviamo, per così dire, in una cordata con Gesù Cristo – insieme con Lui nella salita verso le altezze di Dio (Papa Benedetto)
Church is a «sign». That is, those who looks at it with a clear eye, those who observes it, those who studies it realise that it represents a fact, a singular phenomenon; they see that it has a «meaning» (Pope Paul VI)
La Chiesa è un «segno». Cioè chi la guarda con occhio limpido, chi la osserva, chi la studia si accorge ch’essa rappresenta un fatto, un fenomeno singolare; vede ch’essa ha un «significato» (Papa Paolo VI)
Let us look at them together, not only because they are always placed next to each other in the lists of the Twelve (cf. Mt 10: 3, 4; Mk 3: 18; Lk 6: 15; Acts 1: 13), but also because there is very little information about them, apart from the fact that the New Testament Canon preserves one Letter attributed to Jude Thaddaeus [Pope Benedict]
Li consideriamo insieme, non solo perché nelle liste dei Dodici sono sempre riportati l'uno accanto all'altro (cfr Mt 10,4; Mc 3,18; Lc 6,15; At 1,13), ma anche perché le notizie che li riguardano non sono molte, a parte il fatto che il Canone neotestamentario conserva una lettera attribuita a Giuda Taddeo [Papa Benedetto]
Bernard of Clairvaux coined the marvellous expression: Impassibilis est Deus, sed non incompassibilis - God cannot suffer, but he can suffer with (Spe Salvi, n.39)
Bernardo di Chiaravalle ha coniato la meravigliosa espressione: Impassibilis est Deus, sed non incompassibilis – Dio non può patire, ma può compatire (Spe Salvi, n.39)
Pride compromises every good deed, empties prayer, creates distance from God and from others. If God prefers humility it is not to dishearten us: rather, humility is the necessary condition to be raised (Pope Francis)
La superbia compromette ogni azione buona, svuota la preghiera, allontana da Dio e dagli altri. Se Dio predilige l’umiltà non è per avvilirci: l’umiltà è piuttosto condizione necessaria per essere rialzati (Papa Francesco)
A “year” of grace: the period of Christ’s ministry, the time of the Church before his glorious return, an interval of our life (Pope Francis)
Un “anno” di grazia: il tempo del ministero di Cristo, il tempo della Chiesa prima del suo ritorno glorioso, il tempo della nostra vita (Papa Francesco)
The Church, having before her eyes the picture of the generation to which we belong, shares the uneasiness of so many of the people of our time (Dives in Misericordia n.12)

Due Fuochi due Vie - Vol. 1 Due Fuochi due Vie - Vol. 2 Due Fuochi due Vie - Vol. 3 Due Fuochi due Vie - Vol. 4 Due Fuochi due Vie - Vol. 5 Dialogo e Solstizio I fiammiferi di Maria

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