Set 3, 2025 Scritto da 

23a Domenica T.O. (C)

XXIII Domenica Tempo Ordinario (anno C)  [7 settembre 2025]

 

Dio ci benedica e la Vergine ci protegga! In questa domenica Gesù nel vangelo sviluppa il “principio di precauzione” che è sancito anche dall’art.191 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea (TFUE). Questo prova che la Parola di Dio è sapienza divina che, come cogliamo nella prima lettura e nel salmo responsoriale, illumina ogni umana scelta e decisione.  Saggezza che è sempre segreto di vera felicità.

 

*Prima Lettura dal libro della Sapienza (9, 13-18)

La Sapienza, nel senso biblico, è in qualche modo l’arte di vivere. Israele, come tutti i popoli vicini, sviluppò un’ampia riflessione su questo tema a partire dal regno di Salomone e il suo contributo in questo campo è del tutto originale. Si riassume in due punti: anzitutto per la Bibbia solo Dio conosce i segreti della felicità e se l’uomo pretende di scoprirli da solo percorre false piste, come è chiara la lezione del giardino dell’Eden. In secondo luogo Dio solo rivela al suo popolo e a tutta l’umanità il segreto della felicità: ecco il messaggio di questo testo che è anzitutto una lezione di umiltà. Già Isaia aveva affermato che i pensieri e le vie di Dio sono diversi dai nostri (cf. Is 55,8) e il libro della Sapienza, scritto molto tempo dopo con uno stile ben diverso, ripete: “Quale uomo può scoprire il volere di Dio? Chi può immaginare che cosa vuole il  Signore?” (v.13). Non riusciamo ad avere la minima idea di ciò che Dio pensa e conosciamo solo quanto Egli ha comunicato attraverso i suoi profeti. Giobbe aveva chiesto dove cercare la sapienza perché non esiste sulla terra dei viventi e Dio solo sa dove si trova (cf. Gb 28,12-13.23); poco dopo Dio ricorda a Giobbe i suoi limiti (cc. 38–41) e, alla fine della dimostrazione, Giobbe si inchina e ammette di aver parlato senza capire  le meraviglie che “sono al di sopra di me e che non conoscevo” (Gb 42,3). Nel libro della Sapienza la discussione sulle conoscenze umane si sviluppa tra i più intellettuali che esistevano ad Alessandria, quando erano assai sviluppate le discipline scientifiche e filosofiche ed era celebre la Biblioteca di Alessandria. A tali sapienti l’autore ricorda i limiti del sapere umano: “I ragionamenti dei mortali sono timidi e incerte le nostre riflessioni” (v.14). E ancora: “A stento immaginiamo le cose della terra, scopriamo con fatica quelle a portata di mano; ma chi ha investigato le cose del cielo? (v.16). L’autore non vuol dire che se riusciamo a scoprire la terra, potremo capire le cose celesti, ma afferma che non esiste soltanto una questione di livello di conoscenze, come se l’uomo potesse scoprire i misteri di Dio con il ragionamento e le ricerche, ma è questione di natura: noi siamo solo uomini, e tra Dio e noi vi è un abisso essendo Dio il Totalmente Altro e i suoi pensieri sono al di là della nostra portata. Sta qui la seconda lezione del testo: se riconosciamo la nostra impotenza Dio stesso ci rivela ciò che da soli non possiamo scoprire facendoci dono del suo Spirito (cf.1,9). Le altre letture di questa domenica indicano i comportamenti nuovi ispirati dallo Spirito che abita in noi. Ancora una osservazione: Al v. 14 “un corpo corruttibile appesantisce l’anima e la tenda d’argilla opprime una mente piena di preoccupazioni” appare una concezione dell’uomo non abituale nella Bibbia, che solitamente insiste sull’unità dell’essere umano, mentre qui è descritto come un essere composto da uno spirito immateriale e un involucro materiale che lo contiene. Il libro della Sapienza, scritto in ambiente greco, utilizza questo vocabolario per non scandalizzare i suoi lettori greci, ma di certo non vuole descrivere un dualismo dell’essere umano: presenta piuttosto il combattimento interiore che si svolge in ciascuno di noi e che san Paolo descrive così: «Io non compio il bene che voglio, ma il male che non voglio» (Rm 7,19). In definitiva, questo testo porta un contributo originale a una grande duplice scoperta biblica: Dio è insieme il Totalmente Altro e il Totalmente Vicino. Dio è il Totalmente Altro: “Qual uomo può conoscere il volere di Dio? Chi può immaginare che cosa vuole il Signore?”(v. 13). Allo stesso tempo, Egli si fa il Totalmente Vicino  dando all’uomo la sapienza e il suo santo spirito (v.17). E così gli uomini furono istruiti in ciò che è a Dio gradito e furono salvati per mezzo della sapienza (cf.v.18).

 

*Salmo responsoriale (89/90,3-4,5-6,12-13,14.17)

La prima lettura, tratta dal libro della Sapienza, trova un’eco in questo salmo che offre una magnifica definizione della sapienza: “Insegnaci a contare i nostri giorni e acquisteremo un cuore saggio” (v.12). Questi versetti danno un’idea dell’atmosfera generale e suona del tutto insolita un’espressione: “Ritorna, Signore, fino a quando? Abbi pietà dei tuoi servi” (v.13). E’ come se si dicesse: ‘in questo momento siamo infelici, siamo puniti per le nostre colpe; perdonaci e togli la punizione”, quindi una formula tipica di una liturgia penitenziale nel contesto di una cerimonia penitenziale nel tempio di Gerusalemme. Perché Israele chiede perdono? I primi versetti suggeriscono la risposta: “Tu fai ritornare l’uomo in polvere, quando dici: Ritornate, figli dell’uomo”( v.3).  Il problema è che la nostra condizione di peccatori è legata ad Adamo e l’intero salmo medita sul racconto della colpa di Adamo nel libro della Genesi. All’inizio Dio e l’uomo si trovavano faccia a faccia: Dio, creatore e l’uomo sua creatura uscita dalla polvere. Il secondo versetto (qui assente) del salmo dice appunto: “Prima che nascessero i monti e la terra e il mondo fossero generati, da sempre e per sempre tu sei, o Dio”. Di fronte a Lui, noi siamo soltanto un pugno di polvere nelle sue mani. Eppure l’uomo ha osato sfidare Dio e non gli resta che meditare sulla sua vera condizione: “Gli anni della nostra vita sono settanta, ottanta per i più robusti  e il loro agitarsi  è fatica e delusione; passano presto e noi voliamo via” (v.10).  E noi siamo veramente piccoli: “Mille anni ai tuoi occhi, mille anni sono come il giorno di ieri che è passato, come un turno di veglia nella notte” (v.4) come san Pietro commenterà: “Una cosa non sfugga mai a voi, carissimi: davanti al Signore un giorno è come mille anni e mille anni come un giorno solo” (2 Pt 3,8). Dopo la presa di coscienza viene la supplica: “Insegnaci a contare i nostri giorni e acquisteremo un cuore saggio. Ritorna, Signore: fino a quando? Abbi pietà dei tuoi servi. Saziaci al mattino con il tuo amore: esulteremo e gioiremo per tutti i nostri giorni» (vv. 12-14). Vera sapienza è stare piccoli davanti a Dio e il salmo paragona la vita umana all’erba che “al mattino fiorisce e germoglia, alla sera è falciata e secca” (v.6). Quante volte davanti a una morte improvvisa capita di dire che siamo proprio nulla! Non si tratta di umiliarsi, ma di essere realisti e restare sereni nelle mani di Dio. “Saziaci al mattino con il tuo amore: esulteremo e gioiremo per tutti i nostri giorni” (v.14): questa è l’esperienza del credente, consapevole della propria piccolezza e fiducioso tra le mani di Dio al quale possiamo chiedere che “si manifesti ai tuoi servi la tua opera e il tuo splendore ai loro figli. Sia su di noi la bontà del Signore nostro Dio” (vv. 16-17a). Ancora più audace l’ultimo versetto del salmo che ripete due volte “Rendi salda per noi l’opera delle nostre mani” (v.17). Forse il salmista si riferiva alla ricostruzione del tempio di Gerusalemme, dopo l’esilio babilonese, in mezzo a ogni genere di opposizione. Più in generale, esprime però l’opera comune di Dio e dell’uomo nel compimento della creazione: l’uomo lavora nella creazione, ma è Do a dare all’opera umana stabilità ed efficacia. 

 

*Seconda Lettura dalla lettera di san Paolo apostolo a Filemone ( 9b-10.12-17)

Nelle domeniche passate abbiamo letto brani della lettera di Paolo ai Colossesi; oggi invece Paolo, mentre si trova in prigione, scrive a Filemone, un cristiano di Colossi (in Turchia) ed è una lettera personale, piena di diplomazia, su un argomento molto delicato. Filemone aveva probabilmente diversi schiavi, anche se la storia non lo specifica, e uno si chiama Onesimo. Un bel giorno, Onesimo fuggì, cosa totalmente proibita e severamente punita dal diritto romano perché lo schiavo apparteneva al padrone come un oggetto e non era libero di disporre di sé. Durante la sua fuga Onesimo incontra Paolo, si converte e si mette al servizio dell’apostolo. Situazione complicata: se Paolo tratteneva Onesimo si rendeva complice dell’abbandono di posto e ciò non piaceva a Filemone. Se invece Paolo lo rimandava, lo schiavo avrebbe corso seri rischi dato che Paolo riconosce più avanti nella lettera che Onesimo era debitore verso il suo padrone. Decide comunque di rimandare Onesimo con una richiesta di perdono in cui dispiega tutte le sue risorse persuasive per convincere Filemone: “Io, Paolo, così come sono, vecchio e, ora anche prigioniero a causa di Cristo Gesù ti prego per Onesimo, figlio mio” (vv.9-10). Precisa che lo vorrebbe trattenere ma sa che la decisione finale spetta a Filemone (vv12-14) e allora non intende forzare la mano a Filemone, sa però bene cosa vuole ottenere e lo rivela gradualmente. Chiede anzitutto di perdonare Onesimo per la fuga e, più che il semplice perdono, Paolo suggerisce una vera conversione: Onesimo è battezzato e quindi è ora un fratello per Filemone cristiano, suo ex padrone: “Per questo forse è stato separato da te per un momento: perché tu lo riavessi per sempre, non più però come schiavo, ma, molto più che schiavo, come fratello carissimo”(vv.15-16). Paolo si spinge oltre: “Se dunque tu mi consideri amico, accoglilo come me stesso”(v.17).

 

*Dal Vangelo secondo Luca (14,25-33)

La fine illumina tutto il discorso: sottolineando la totalità (la rinuncia a tuti i suoi averi v.33) Luca ripropone la sua teologia della povertà come radicale sequela di Cristo. Cominciamo dalla frase che riguarda i legami familiari (v.26):  Gesù non dice di considerarli come nulla perché sarebbe contrario a tutto il suo insegnamento sull’amore e al comandamento “Onora tuo padre e tua madre”. Vuol dire, piuttosto, che questi legami sono buoni, però non devono diventare ostacoli che impediscono di seguire Cristo perché il legame che ci unisce a Cristo mediante il Battesimo è più forte di qualsiasi altro legame terreno. La difficoltà di questo Vangelo è altrove: a prima vista non si vede bene il nesso tra le diverse parti. Gesù dice: “Se uno viene a me e non mi ama (nel linguaggio semitico orientale “odiare” vale anche per amare meno)  più di  suo padre, sua madre… non può essere mio discepolo” (v.26), frase che ritroviamo in eco (in inclusione) nell’ultima: “Chiunque di voi non rinuncia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo”. Tra queste due affermazioni ci sono due brevi parabole: quella dell’uomo che vuole costruire una torre e quella del re che parte in guerra. La loro lezione è simile: chi vuole costruire una torre deve prima calcolare la spesa per non imbarcarsi in un’impresa insensata; allo stesso modo, il re che pensa di affrontare una guerra occorre che valuti in anticipo le proprie forze. La saggezza consiste nell’adeguare le proprie ambizioni alle proprie possibilità: verità valida in ogni ambito. Quanti progetti falliscono perché iniziati troppo in fretta senza riflettere, prevedere e calcolare i rischi: questa è la saggezza elementare, il segreto del successo. Governare infatti è prevedere e forse si diventa adulti proprio il giorno in cui si impara finalmente a calcolare le conseguenze delle proprie azioni. Ma questo non sembra in contraddizione con il messaggio delle frasi che aprono e chiudono il discorso di Gesù? Queste sembrano parlare un linguaggio tutt’altro che prudente e misurato: anzitutto per essere discepolo di Cristo bisogna preferirlo a chiunque altro e seguirlo con tutto se stesso, eppure, la saggezza e persino la giustizia chiedono di rispettare i legami naturali con la famiglia e l’ambiente. La seconda esigenza è portare con decisione la propria croce, accettando il rischio della persecuzione e terza condizione: rinunciare a tutti i propri beni. In sintesi, lasciare per Cristo ogni sicurezza affettiva e materiale. Ma tutto questo è prudente? Non sembra lontano dai calcoli aritmetici delle due brevi parabole? Eppure è chiaro che Gesù non si diverte a coltivare il paradosso e non si contraddice. Sta quindi a noi comprendere il suo messaggio e come le due brevi parabole illuminino le scelte che dobbiamo fare per seguirlo. A ben vedere Gesù dice sempre la stessa cosa: Prima di lanciarsi in un’impresa: si tratti di seguirlo, o di costruire una torre, oppure di partire in guerra, invita a fare bene i conti e a non sbagliare. Chi costruisce una torre calcola il costo; chi parte in guerra valuta il numero di uomini e di armi e chi segue Cristo deve fare anch’egli i suoi conti, che però sono di altro genere: deve rinunciare a ciò che può ostacolarlo e così mettere al servizio del Regno tutte le sue ricchezze, anche affettive e materiali. E soprattutto, deve contare sulla potenza dello Spirito che “continua la sua opera nel mondo e porta a compimento ogni santificazione”, come dice la quarta preghiera eucaristica. Anche qui si tratta di un rischio calcolato: per seguire Gesù, egli ci indica i rischi — saper lasciare tutto, accettare l’incomprensione e talvolta la persecuzione, rinunciare alla resa immediata. Per essere cristiani, il vero calcolo, la vera saggezza, è non contare su nessuna delle nostre sicurezze terrene; è come se ci dicesse: Accetta di non avere sicurezze: ti basta la mia grazia!. Già la prima lettura, tratta dal libro della Sapienza, lo affermava chiaramente: la sapienza di Dio non è quella degli uomini; ciò che agli occhi degli uomini appare follia è la sola vera sapienza davanti a Dio. Con lui, si è sempre nella logica del chicco di grano: accetta di morire sotto terra ma solo così può germogliare e dare frutto. Beati coloro che sanno  liberarsi dalle false precauzioni per prepararsi a passare per la porta stretta di cui parlava il vangelo alla ventunesima domenica (Lc 13,24). 

NOTA Gesù sviluppa qui il “principio di precauzione” che è sancito anche dall’art.191 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea (TFUE). Nelle due parabole è evidente: bisogna sedersi per calcolare rischi e spese, adottando misure preventive - anche in assenza di prove scientifiche complete. Nel caso del discepolo i dati del calcolo sono completamente diversi: Gesù vuole che valutiamo bene che l’unica nostra ricchezza è in lui e l’unica nostra forza è la sua grazia. E persino la valutazione di rischi e obiettivi ci sfugge: come dice il libro della Sapienza, nella prima lettura: “Quale uomo può conoscere il volere di Dio? Chi può immaginare che cosa vuole il Signore? I ragionamenti dei mortali sono timidi e incerte le nostre riflessioni».

+ Giovanni D’Ercole

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don Giuseppe Nespeca

Giuseppe Nespeca è architetto e sacerdote. Cultore della Sacra scrittura è autore della raccolta "Due Fuochi due Vie - Religione e Fede, Vangeli e Tao"; coautore del libro "Dialogo e Solstizio".

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Gospels make their way, advance and free, making us understand the enormous difference between any creed and the proposal of Jesus. Even within us, the life of Faith embraces all our sides and admits many things. Thus we become more complete and emancipate ourselves, reversing positions.
I Vangeli si fanno largo, avanzano e liberano, facendo comprendere l’enorme differenza tra credo qualsiasi e proposta di Gesù. Anche dentro di noi, la vita di Fede abbraccia tutti i nostri lati e ammette tante cose. Così diventiamo più completi e ci emancipiamo, ribaltando posizioni
We cannot draw energy from a severe setting, contrary to the flowering of our precious uniqueness. New eyes are transmitted only by the one who is Friend. And Christ does it not when we are well placed or when we equip ourselves strongly - remaining in a managerial attitude - but in total listening
Non possiamo trarre energia da un’impostazione severa, contraria alla fioritura della nostra preziosa unicità. Gli occhi nuovi sono trasmessi solo da colui che è Amico. E Cristo lo fa non quando ci collochiamo bene o attrezziamo forte - permanendo in atteggiamento dirigista - bensì nell’ascolto totale
The Evangelists Matthew and Luke (cf. Mt 11:25-30 and Lk 10:21-22) have handed down to us a “jewel” of Jesus’ prayer that is often called the Cry of Exultation or the Cry of Messianic Exultation. It is a prayer of thanksgiving and praise [Pope Benedict]
Gli evangelisti Matteo e Luca (cfr Mt 11,25-30 e Lc 10,21-22) ci hanno tramandato un «gioiello» della preghiera di Gesù, che spesso viene chiamato Inno di giubilo o Inno di giubilo messianico. Si tratta di una preghiera di riconoscenza e di lode [Papa Benedetto]
The human race – every one of us – is the sheep lost in the desert which no longer knows the way. The Son of God will not let this happen; he cannot abandon humanity in so wretched a condition. He leaps to his feet and abandons the glory of heaven, in order to go in search of the sheep and pursue it, all the way to the Cross. He takes it upon his shoulders and carries our humanity (Pope Benedict)
L’umanità – noi tutti - è la pecora smarrita che, nel deserto, non trova più la strada. Il Figlio di Dio non tollera questo; Egli non può abbandonare l’umanità in una simile miserevole condizione. Balza in piedi, abbandona la gloria del cielo, per ritrovare la pecorella e inseguirla, fin sulla croce. La carica sulle sue spalle, porta la nostra umanità (Papa Benedetto)
"Too bad! What a pity!" “Sin! What a shame!” - it is said of a missed opportunity: it is the bending of the unicum that we are inside, which every day surrenders its exceptionality to the normalizing and prim outline of common opinion. Divine Appeal of every moment directed Mary's dreams and her innate knowledge - antechamber of her trust, elsewhere
“Peccato!” - si dice di una occasione persa: è la flessione dell’unicum che siamo dentro, che tutti i giorni cede la sua eccezionalità al contorno normalizzante e affettato dell’opinione comune. L’appello divino d’ogni istante orientava altrove i sogni di Maria e il suo sapere innato - anticamera della fiducia
It is a question of leaving behind the comfortable but misleading ways of the idols of this world: success at all costs; power to the detriment of the weak; the desire for wealth; pleasure at any price. And instead, preparing the way of the Lord: this does not take away our freedom (Pope Francis)
Si tratta di lasciare le strade, comode ma fuorvianti, degli idoli di questo mondo [...] E di aprire invece la strada al Signore che viene: Egli non toglie la nostra libertà (Papa Francesco)

Due Fuochi due Vie - Vol. 1 Due Fuochi due Vie - Vol. 2 Due Fuochi due Vie - Vol. 3 Due Fuochi due Vie - Vol. 4 Due Fuochi due Vie - Vol. 5 Dialogo e Solstizio I fiammiferi di Maria

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