don Giuseppe Nespeca

don Giuseppe Nespeca

Giuseppe Nespeca è architetto e sacerdote. Cultore della Sacra scrittura è autore della raccolta "Due Fuochi due Vie - Religione e Fede, Vangeli e Tao"; coautore del libro "Dialogo e Solstizio".

Lunedì, 15 Settembre 2025 02:36

Madre e fratelli

16. È significativo che Dio abbia permesso che il secondo Sinodo per l’Africa fosse celebrato subito dopo quello che è stato dedicato alla Parola di Dio nella vita e nella missione della Chiesa. Quel Sinodo ha richiamato l’imperativo dovere del discepolo di comprendere Cristo che chiama attraverso la sua Parola. Per mezzo di essa, i fedeli imparano ad ascoltare Cristo e a lasciarsi orientare dallo Spirito Santo che ci rivela il senso di tutte le cose (cfr Gv 16,13). Infatti, « la lettura e la meditazione della Parola di Dio ci radicano più profondamente in Cristo e orientano il nostro ministero di servitori della riconciliazione, della giustizia e della pace ».[19] Come ricordava quel Sinodo, « per diventare suoi fratelli e sue sorelle bisogna essere “coloro che ascoltano la Parola di Dio e la mettono in pratica” (Lc 8,21). L’ascoltare autentico è obbedire e operare; è far sbocciare nella vita la giustizia e l’amore, è offrire nell’esistenza e nella società una testimonianza nella linea dell’appello dei profeti, che costantemente univa Parola di Dio e vita, fede e rettitudine, culto e impegno sociale ».[20] Ascoltare e meditare la Parola di Dio significa desiderare che essa penetri e formi la nostra vita per riconciliarci con Dio, per permettere a Dio di condurci ad una riconciliazione con il prossimo, via necessaria per la costruzione di una comunità di persone e di popoli. Sui nostri volti e nelle nostre vite, la Parola di Dio prenda veramente carne!

[Papa Benedetto, Africae munus]

Lunedì, 15 Settembre 2025 02:33

Maria durante tutta la vita

La Chiesa ha costantemente riconosciuto Maria santa ed immune da ogni peccato o imperfezione morale. Il Concilio di Trento esprime tale convinzione affermando che nessuno "può evitare, nella sua vita intera, ogni peccato anche veniale, se non in virtù di un privilegio speciale, come la Chiesa ritiene nei riguardi della beata Vergine" (DS 1573). La possibilità di peccare non risparmia neppure il cristiano trasformato e rinnovato dalla grazia. Questa infatti non preserva da ogni peccato per tutta la vita, a meno che, come afferma il Concilio tridentino, uno speciale privilegio assicuri tale immunità dal peccato. È quanto è avvenuto in Maria.

Il Concilio tridentino non ha voluto definire questo privilegio, ha però dichiarato che la Chiesa lo afferma con vigore: "Tenet", cioè lo ritiene fermamente. Si tratta di una scelta che, lungi dal relegare tale verità tra le pie credenze o le opinioni devozionali, ne conferma il carattere di solida dottrina, ben presente nella fede del Popolo di Dio. Del resto, tale convinzione si fonda sulla grazia attribuita a Maria dall’angelo, al momento dell’Annunciazione. Chiamandola "piena di grazia", kecharitoméne, l’angelo riconosce in lei la donna dotata di una perfezione permanente e di una pienezza di santità, senza ombra di colpa, né d’imperfezione d’ordine morale o spirituale.

Alcuni Padri della Chiesa dei primi secoli, non avendo ancora acquisito la convinzione della sua perfetta santità hanno attribuito a Maria delle imperfezioni o dei difetti morali. Anche qualche recente autore ha fatto propria tale posizione. Ma i testi evangelici citati per giustificare queste opinioni non permettono in nessun caso di fondare l’attribuzione di un peccato, o anche solo di una imperfezione morale, alla Madre del Redentore.

La risposta di Gesù a sua madre, all’età di 12 anni: "Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?" (Lc 2, 49), è stata, talvolta, interpretata come un velato rimprovero. Un’attenta lettura dell’episodio fa invece capire che Gesù non ha rimproverato sua madre e Giuseppe di cercarlo, dal momento che avevano la responsabilità di vegliare su di lui.

Incontrando Gesù dopo una sofferta ricerca, Maria si limita a chiedergli soltanto il "perché" del suo comportamento: "Figlio, perché ci hai fatto così?" (Lc 2, 48). E Gesù risponde con un altro "perché", astenendosi da ogni rimprovero e riferendosi al mistero della propria filiazione divina.

Neppure le parole pronunciate a Cana: "Che ho da fare con te, o donna? Non è ancora giunta la mia ora" (Gv 2, 4), possono essere interpretate come un rimprovero. Di fronte al probabile disagio che avrebbe provocato agli sposi la mancanza di vino, Maria si rivolge a Gesù con semplicità, affidandogli il problema. Gesù, pur cosciente di essere il Messia tenuto ad obbedire solo al volere del Padre, accede alla richiesta implicita della Madre. Soprattutto, risponde alla fede della Vergine e dà in tal modo inizio ai miracoli, manifestando la sua gloria.

Alcuni poi hanno interpretato in senso negativo la dichiarazione fatta da Gesù, quando, all’inizio della vita pubblica, Maria e i parenti chiedono di vederlo. Riferendoci la risposta di Gesù a chi gli diceva: "Tua madre e i tuoi fratelli sono qui fuori e desiderano vederti", l’evangelista Luca ci offre la chiave di lettura del racconto, che va compreso a partire dalle disposizioni intime di Maria, ben diverse da quelle dei "fratelli" (cf. Gv 7, 5 ). Gesù rispose: "Mia madre e i miei fratelli sono coloro che ascoltano la Parola di Dio e la mettono in pratica" ( Lc 8, 21 ). Nel racconto dell’Annunciazione, infatti, Luca ha mostrato come Maria è stata il modello dell’ascolto della Parola di Dio e della generosa docilità. Interpretato secondo tale prospettiva, l’episodio propone un grande elogio di Maria, che ha compiuto perfettamente nella propria vita il disegno divino. Le parole di Gesù, mentre si oppongono al tentativo dei fratelli, esaltano la fedeltà di Maria alla volontà di Dio e la grandezza della sua maternità, da lei vissuta non solo fisicamente ma anche spiritualmente.

Nel tessere questa lode indiretta, Gesù usa un metodo particolare: evidenzia la nobiltà del comportamento di Maria, alla luce di affermazioni di portata più generale, e mostra meglio la solidarietà e la vicinanza della Vergine all’umanità nel difficile cammino della santità.

Infine, le parole: "Beati piuttosto coloro che ascoltano la Parola di Dio e la osservano!" ( Lc 11, 28 ), pronunciate da Gesù per rispondere alla donna che dichiarava beata sua Madre, lungi dal mettere in dubbio la perfezione personale di Maria, mettono in risalto il suo adempimento fedele della Parola di Dio: così le ha intese la Chiesa, inserendo tale espressione nelle celebrazioni liturgiche in onore di Maria.

Il testo evangelico, infatti, suggerisce che con questa dichiarazione Gesù ha voluto rivelare proprio nell’intima unione con Dio, e nell’adesione perfetta alla Parola divina, il motivo più alto della beatitudine di sua Madre.

Lo speciale privilegio concesso da Dio alla "tutta santa", ci conduce ad ammirare le meraviglie operate dalla grazia nella sua vita. Ci ricorda inoltre che Maria è stata sempre e tutta del Signore, e che nessuna imperfezione ha incrinato la perfetta armonia tra Lei e Dio.

La sua vicenda terrena, pertanto, è caratterizzata dallo sviluppo costante e sublime della fede, della speranza e della carità. Per questo, Maria è per i credenti il segno luminoso della Misericordia divina e la guida sicura verso le alte vette della perfezione evangelica e della santità.

[Papa Giovanni Paolo II, Udienza Generale 19 giugno 1996]

Lunedì, 15 Settembre 2025 02:24

Nuova Famiglia

La Parola di Dio non è «un fumetto» da leggere, ma un insegnamento che va ascoltato con il cuore e messo in pratica nella vita quotidiana. Un impegno accessibile a tutti, perché sebbene «noi l’abbiamo fatta un po’ difficile», la vita cristiana è «semplice, semplice»: infatti «ascoltare la parola di Dio e metterla in pratica» sono le uniche due «condizioni» poste da Gesù a chi vuole seguirlo.

È questo in sintesi, per Papa Francesco, il significato delle letture proposte dalla liturgia […]. Celebrando la messa a Santa Marta, il Pontefice si è soffermato in particolare sul brano del Vangelo […] in cui si racconta della madre e dei fratelli di Gesù che non riescono ad «avvicinarlo a causa della folla». Partendo dalla constatazione che egli trascorreva la maggior parte del suo tempo «sulla strada, con la gente», il vescovo di Roma ha notato come tra i tanti che lo seguivano ci fossero persone che sentivano «in lui un’autorità nuova, un modo di parlare nuovo», sentivano «la forza della salvezza» da lui offerta. «Era lo Spirito Santo — ha commentato in proposito — che toccava il loro cuore per questo».

Ma, ha fatto notare il Papa, mischiata tra la folla c’era anche gente che seguiva Gesù con secondi fini. Alcuni «per convenienza», altri forse per la «voglia di essere più buoni». Un po’ «come noi», ha detto attualizzando il discorso, che «tante volte andiamo da Gesù perché abbiamo bisogno di qualcosa e poi lo dimentichiamo lì, solo». Una storia che si ripete, visto che già allora Gesù a volte rimproverava chi lo seguiva. È quello che capita, per esempio, dopo la moltiplicazione dei pani, quando dice alla gente: «Voi venite da me non per ascoltare la parola di Dio, ma perché l’altro giorno vi ho dato da mangiare»; o con i dieci lebbrosi, dei quali soltanto uno torna a ringraziarlo, mentre «gli altri nove erano felici con la loro salute e si dimenticarono di Gesù».

Nonostante tutto, ha affermato il Papa, «Gesù continuava a parlare alla gente» e ad amarla, al punto da definire «quella folla immensa “la mia madre e i miei fratelli”». I familiari di Gesù sono dunque «coloro che ascoltano la parola di Dio» e «la mettono in pratica». Questa — ha rilevato — «è la vita cristiana: niente di più. Semplice, semplice. Forse noi l’abbiamo fatta un po’ difficile, con tante spiegazioni che nessuno capisce, ma la vita cristiana è così: ascoltare la parola di Dio e praticarla. Per questo abbiamo pregato nel salmo: “Guidami Signore sul sentiero dei tuoi comandi”, della tua parola, dei tuoi comandamenti, per praticare».

Da qui l’invito ad «ascoltare la parola, veramente, nella Bibbia, nel Vangelo», meditando le Scritture per metterne in pratica i contenuti nella vita quotidiana. Ma, ha chiarito il Pontefice, se scorriamo il Vangelo superficialmente, allora «questo non è ascoltare la parola di Dio: questo è leggere la parola di Dio, come si può leggere un fumetto». Mentre ascoltare la parola di Dio «è leggere» e chiedersi: «Ma questo che dice al mio cuore? Dio cosa mi sta dicendo con questa parola?». Solo così, infatti, «la nostra vita cambia». E questo avviene «ogni volta che apriamo il Vangelo e leggiamo un passo e ci domandiamo: “Con questo Dio mi parla, dice qualcosa a me? E se dice qualcosa, cosa mi dice?”».

Questo significa «ascoltare la parola di Dio, ascoltarla con le orecchie e ascoltarla con il cuore, aprire il cuore alla parola di Dio». Al contrario, «i nemici di Gesù ascoltavano la parola di Gesù ma gli erano vicini per cercare di trovare uno sbaglio, per farlo scivolare» e fargli perdere «autorità. Ma mai si domandavano: “Cosa dice Dio per me in questa parola?”».

Inoltre, ha aggiunto il Pontefice, «Dio non parla solo a tutti, ma parla a ognuno di noi. Il Vangelo è stato scritto per ognuno di noi. E quando io prendo la Bibbia, prendo il Vangelo e leggo, devo chiedermi cosa dice il Signore a me». Del resto, «questo è quello che Gesù dice che fanno i suoi veri parenti, i suoi veri fratelli: ascoltare la parola di Dio col cuore. E poi, dice, “la mettono in pratica”».

Certo, ha riconosciuto Francesco, «è più facile vivere tranquillamente senza preoccuparsi delle esigenze della parola di Dio». Però «anche questo lavoro lo ha fatto il Padre per noi». Infatti, i comandamenti sono proprio «un modo di mettere in pratica» la parola del Signore. E lo stesso vale per le beatitudini. In quel brano del Vangelo di Matteo, ha osservato il Papa, «ci sono tutte le cose che noi dobbiamo fare, per mettere in pratica la parola di Dio». Infine «ci sono le opere di misericordia», anch’esse indicate nel Vangelo di Matteo, al capitolo 25. Insomma, questi sono esempi «di quello che vuole Gesù quando ci chiede di “mettere in pratica” la parola».

 

In conclusione il Pontefice ha ricapitolato la sua riflessione ricordando che «tanta gente seguiva Gesù»: qualcuno «per la novità», qualcun altro «perché aveva bisogno di sentire una buona parola»; ma in realtà non erano tanti quelli che poi effettivamente mettevano «in pratica la parola di Dio». Eppure «il Signore faceva la sua opera, perché lui è misericordioso e perdona tutti, richiama tutti, aspetta tutti, perché è paziente».

Anche oggi, ha sottolineato il Papa, «tanta gente va in chiesa per sentire la parola di Dio, ma forse non capisce il predicatore quando predica un po’ difficile, o non vuol capire. Perché anche questo è vero: il nostro cuore tante volte non vuol capire». Però Gesù continua ad accogliere tutti, «anche quelli che vanno a sentire la parola di Dio e poi lo tradiscono», come Giuda che lo chiama «amico». Il Signore, ha ribadito Francesco, «sempre semina la sua parola» e in cambio «chiede soltanto un cuore aperto per ascoltarla e buona volontà per metterla in pratica. Per questo allora la preghiera di oggi sia quella del salmo: “Guidami Signore sul sentiero dei tuoi comandi”, cioè sul sentiero della tua parola, e perché io impari con la tua guida a metterla in pratica».

[Papa Francesco, omelia s. Marta, 23 settembre 2014;  https://messadelpapa.com/omelia-del-21-novembre-2018-vangelo-e-parola-del-giorno/]

Gesù ha formato una nuova famiglia, non più basata sui legami naturali, ma sulla fede in Lui, sul suo amore che ci accoglie e ci unisce tra noi, nello Spirito Santo. Tutti coloro che accolgono la parola di Gesù sono figli di Dio e fratelli tra di loro. Accogliere la parola di Gesù ci fa fratelli tra noi, ci rende la famiglia di Gesù. Sparlare degli altri, distruggere la fama degli altri, ci rende la famiglia del diavolo. Quella risposta di Gesù non è una mancanza di rispetto verso sua madre e i suoi familiari. Anzi, per Maria è il più grande riconoscimento, perché proprio lei è la perfetta discepola che ha obbedito in tutto alla volontà di Dio.

[Papa Francesco, Angelus 10 giugno 2018]

Domenica, 14 Settembre 2025 05:17

Nessuna cittadella d’iniziati

(Lc 8,16-18)

 

C’è luce e Luce. C’è pompa che brilla artificiosamente, e sontuosità sostanziale della Vita. 

Una delle differenze tra settarismo e proposta di Fede è che l’insegnamento del Risorto non è un mistero accessibile a soli iniziati, o manieristi e forti.

Nulla a che vedere con lunghe discipline dell’arcano, le quali di norma indirizzano il pensiero e soppesano il volontarismo del candidato.

Intesa e assimilazione della Parola di Dio che chiama in prima persona immettono un’energia fondamentale, estrema e rigenerante. In grado di creare vita nuova e imprimere un senso non blando alla nostra vicenda.

Nella Relazione di Fede, Ascolto e interiorizzazione fanno incessante, intimo appello [in sintonia con la nostra identità-essenza profondi e vocazione].

Percezione e sequela dell’anima ci liberano dall’influsso di corti pensieri esterni, condizionanti. Trasmettono una sorta di possesso immediato e vitale delle cose, una cognizione energetica che guida alla realizzazione; anticipando e attirando futuro.

 

Quando il Vangelo rimane confinato all’interno di cerchie, non fa brillare tutta la comunità, non comunica con la vita reale; mentre vorrebbe donarla e allietarla, nell’amicizia col nostro carattere e lato eterno che sviluppa.

Fin da bambini ci è sembrato che Parola e consuetudini fossero un tutt’uno: una sorta di Logos attivo, fuso con le manifestazioni qualsiasi della religiosità - soprattutto in occidente.

Ci è parso spontaneo, sicuro, indiscutibile, crescere in un clima di unità di pensiero… sino al momento in cui abbiamo forse scoperto che alcuni costumi e mode temono la Luce.

Oggi infatti ci accorgiamo che anche il pensiero sedicente alternativo, se troppo grande, schematico e disincarnato, evita di confrontarsi col “basso”.

Anzi, volentieri si confina in club d’élite a se stanti; scollegate dalla cruda realtà - considerata vile, poco raffinata [non sofisticata]. Che non vale la pena vagliare in sé.

Ma i Doni che Dio elargisce non sopportano d’essere delimitati da un «vaso» (v.16), né ‘misurati’ da alcun «moggio» (Mt 5,15; Mc 4,21), o messi in buca, occultati: servono solo a edificare e rischiarare.

I tesori del Cielo vanno elargiti, trasmessi, comunicati, non trattenuti; altrimenti si scatena una mediocrità paludosa [da «sotto un letto»: v.16], che non istruisce, né rende radiosi.

Dunque attenzione ai pregiudizi (v.18): l’Ascolto non è azione neutrale.

Insomma (v.18): chiunque si aggiorna, si confronta, s’interessa e dà un contributo, vede la propria ricchezza umana e spirituale crescere e fiorire.

Nessuno si sorprenderà che le situazioni di retroguardia o alla moda, stagnanti, subiscano ulteriori flessioni e infine periscano, senza lasciare rimpianti.

 

Impariamo piuttosto a osservare noi stessi, le relazioni, le situazioni, senza pregiudizi; lasciando sullo sfondo i ‘filtri’, le ‘misure’.

Riconosceremo in noi le più autentiche risorse, e l’eco spontaneo della divina Parola.

Accenderemo l’inedito, il lato unico e immenso, personale; la nostra bellezza singolare e plurale.

 

 

[Lunedì 25.a sett. T.O.  22 settembre 2025]

Domenica, 14 Settembre 2025 05:13

Nessuna cittadella d’iniziati

Cerchie, pregiudizi e moggi, o la Luce del ch’i

(Lc 8,16-18)

 

C’è luce e Luce. C’è pompa che brilla artificiosamente, e sontuosità sostanziale della Vita. 

Una delle differenze tra settarismo e proposta di Fede è che l’insegnamento del Risorto non è un mistero accessibile a soli iniziati, o manieristi e forti.

Nulla a che vedere con lunghe discipline dell’arcano, le quali di norma indirizzano il pensiero e soppesano il volontarismo del candidato.

Nel commento al Tao Tê Ching (ii) il maestro Ho-shang Kung afferma che «Il ch’i originario dà vita a tutte le creature e non se ne appropria»: non torna indietro, non conferisce l’ordine antico, retrivo e fisso, non corre ai ripari; piuttosto dà una carica - non parziale, bensì vitale e illuminante.

Intesa e assimilazione della Parola di Dio che chiama in prima persona immettono un’energia fondamentale, estrema e rigenerante. In grado di creare vita nuova e imprimere un senso non blando e codino alla nostra vicenda.

Nella Relazione di Fede, Ascolto e interiorizzazione fanno incessante, intimo appello; in sintonia con la nostra identità-essenza profondi e vocazione personale.

Percezione e sequela dell’anima ci liberano dall’influsso di corti pensieri esterni, condizionanti.

Trasmettono una sorta di possesso immediato e vitale delle cose, una cognizione energetica che guida alla realizzazione; anticipando e attirando futuro.

Quando il Vangelo rimane confinato all’interno di cerchie, non fa brillare tutta la comunità, non comunica con la vita reale; mentre vorrebbe donarla e allietarla, nell’amicizia col nostro carattere e lato eterno che sviluppa.

Fin da bambini ci è sembrato che Parola e consuetudini fossero un tutt’uno: una sorta di Logos attivo, fuso con le manifestazioni qualsiasi della religiosità - soprattutto in occidente.

Ci è parso spontaneo, sicuro, indiscutibile, crescere in un clima di unità di pensiero… sino al momento in cui abbiamo forse scoperto che alcuni costumi e mode temono la Luce.

Oggi infatti ci accorgiamo che anche il pensiero sedicente alternativo, se troppo grande, schematico e disincarnato, evita di confrontarsi col “basso”.

Anzi, volentieri si confina in club d’élite a se stanti; scollegate dalla cruda realtà - considerata vile, poco raffinata [non sofisticata]. Che non vale la pena vagliare in sé.

Ma i Doni che Dio elargisce non sopportano d’essere delimitati da un «vaso» (v.16), né ‘misurati’ da alcun «moggio» (Mt 5,15; Mc 4,21), o messi in buca, occultati: servono solo a edificare e rischiarare.

I tesori del Cielo vanno elargiti, trasmessi, comunicati, non trattenuti; altrimenti si scatena una mediocrità paludosa [da «sotto un letto»: v.16] che non istruisce, né rende radiosi.

Dunque attenzione ai pregiudizi (v.18): l’Ascolto non è azione neutrale.

Le attese popolari del Messia, vincitore, vendicatore, autosufficiente… impedivano alla gente di comprendere l’Annuncio del Regno e del Padre amante della vita rigogliosa.

L’idea antica di un Re affermato ci ha forse inclinati a considerare il Volto dell’Eterno nel Crocifisso come una parentesi, presto superata dal trionfo e dalla sistemazione [della Chiesa, impiantata e visibilissima].

Viceversa, le piaghe d’amore del Figlio descrivono in pienezza tutt’altra cifra costante; protesa - quindi paradossale - ma profonda.

In tal guisa, ciascuno ha una propria attitudine affettiva e le sue competenze, tutte da esplorare e mettere in gioco senza limiti… affinché vengano condivise, rese sapienziali e propulsive.

Come ha dichiarato Papa Francesco:

«L'incapacità degli esperti di vedere i segni dei tempi è dovuta al fatto che sono chiusi nel loro sistema; sanno cosa si può e non si può fare, e stanno sicuri lì. Interroghiamoci: sono aperto solo alle mie cose e alle mie idee, oppure sono aperto al Dio delle sorprese?».

Mi raccontava un grande parroco romano che una delle cose che lo avevano colpito nei suoi viaggi in USA era stato vedere troppe cittadelle cattoliche sulla cima di alture, ben visibili all’occhio ma altrettanto palesemente munite di tutto - quindi staccate, in grado di provvedere a se stesse, chiuse al confronto con la vita reale urbana di oggi.

Impostazione diametralmente opposta a quella di realtà comunitarie evangelicali, meno appariscenti [senza la pretesa di attirare per bellezza esteriore] in quanto mescolate nel tessuto cittadino; per questo in grado di gettare luce nei risvolti della vita quotidiana della gente in ricerca d’un rapporto personale e reale con Dio Padre.

Insomma (v.18): chiunque si aggiorna, si confronta, s’interessa e dà un contributo, vede la propria ricchezza umana e spirituale crescere e fiorire.

Ciò - nella migliore delle ipotesi - rimanendo fedele a se stesso ed evitando di farsi travolgere dalla routine del pensiero fisso-omologato e dalle fatiche dell’Esodo contromano.

Nessuno si sorprenderà che le situazioni di retroguardia culturale, o stagnanti - pile scariche, estenuanti, fiacche, esaurite, grigie e noiose; ovvero à la page e sfarzose ma confusionarie - subiscano ulteriori flessioni e infine periscano senza lasciare rimpianti.

Malgrado la loro artificiosa [inutile] appariscenza, esse resteranno dipendenti da ciò che è valutato già apprezzabile. E cercheranno sempre più invano l’approvazione esterna.

 

Impariamo piuttosto a osservare noi stessi, le relazioni, le situazioni, senza pregiudizi; lasciando sullo sfondo i ‘filtri’, le ‘misure’.

Riconosceremo in noi le più autentiche risorse, e l’eco spontaneo della divina Parola.

Accenderemo l’inedito, il lato unico e immenso, personale; la nostra bellezza singolare e plurale.

 

 

Per interiorizzare e vivere il messaggio:

 

Come ti proponi di accendere il tuo lato eterno, e la tua bellezza singolare e plurale?

 

 

Lumen Fidei

 

1. La luce della fede: con quest’espressione, la tradizione della Chiesa ha indicato il grande dono portato da Gesù, il quale, nel Vangelo di Giovanni, così si presenta: « Io sono venuto nel mondo come luce, perché chiunque crede in me non rimanga nelle tenebre » (Gv 12,46). Anche san Paolo si esprime in questi termini: « E Dio, che disse: "Rifulga la luce dalle tenebre", rifulge nei nostri cuori » (2 Cor 4,6). Nel mondo pagano, affamato di luce, si era sviluppato il culto al dio Sole, Sol invictus, invocato nel suo sorgere. Anche se il sole rinasceva ogni giorno, si capiva bene che era incapace di irradiare la sua luce sull’intera esistenza dell’uomo. Il sole, infatti, non illumina tutto il reale, il suo raggio è incapace di arrivare fino all’ombra della morte, là dove l’occhio umano si chiude alla sua luce. « Per la sua fede nel sole — afferma san Giustino Martire — non si è mai visto nessuno pronto a morire ». Consapevoli dell’orizzonte grande che la fede apriva loro, i cristiani chiamarono Cristo il vero sole, « i cui raggi donano la vita ». A Marta, che piange per la morte del fratello Lazzaro, Gesù dice: « Non ti ho detto che, se credi, vedrai la gloria di Dio? » (Gv 11,40). Chi crede, vede; vede con una luce che illumina tutto il percorso della strada, perché viene a noi da Cristo risorto, stella mattutina che non tramonta.

Una luce illusoria?

2. Eppure, parlando di questa luce della fede, possiamo sentire l’obiezione di tanti nostri contemporanei. Nell’epoca moderna si è pensato che una tale luce potesse bastare per le società antiche, ma non servisse per i nuovi tempi, per l’uomo diventato adulto, fiero della sua ragione, desideroso di esplorare in modo nuovo il futuro. In questo senso, la fede appariva come una luce illusoria, che impediva all’uomo di coltivare l’audacia del sapere. Il giovane Nietzsche invitava la sorella Elisabeth a rischiare, percorrendo « nuove vie…, nell’incertezza del procedere autonomo ». E aggiungeva: « A questo punto si separano le vie dell’umanità: se vuoi raggiungere la pace dell’anima e la felicità, abbi pur fede, ma se vuoi essere un discepolo della verità, allora indaga ». Il credere si opporrebbe al cercare. A partire da qui, Nietzsche svilupperà la sua critica al cristianesimo per aver sminuito la portata dell’esistenza umana, togliendo alla vita novità e avventura. La fede sarebbe allora come un’illusione di luce che impedisce il nostro cammino di uomini liberi verso il domani.

3. In questo processo, la fede ha finito per essere associata al buio. Si è pensato di poterla conservare, di trovare per essa uno spazio perché convivesse con la luce della ragione. Lo spazio per la fede si apriva lì dove la ragione non poteva illuminare, lì dove l’uomo non poteva più avere certezze. La fede è stata intesa allora come un salto nel vuoto che compiamo per mancanza di luce, spinti da un sentimento cieco; o come una luce soggettiva, capace forse di riscaldare il cuore, di portare una consolazione privata, ma che non può proporsi agli altri come luce oggettiva e comune per rischiarare il cammino. Poco a poco, però, si è visto che la luce della ragione autonoma non riesce a illuminare abbastanza il futuro; alla fine, esso resta nella sua oscurità e lascia l’uomo nella paura dell’ignoto. E così l’uomo ha rinunciato alla ricerca di una luce grande, di una verità grande, per accontentarsi delle piccole luci che illuminano il breve istante, ma sono incapaci di aprire la strada. Quando manca la luce, tutto diventa confuso, è impossibile distinguere il bene dal male, la strada che porta alla mèta da quella che ci fa camminare in cerchi ripetitivi, senza direzione.

Una luce da riscoprire

4. È urgente perciò recuperare il carattere di luce proprio della fede, perché quando la sua fiamma si spegne anche tutte le altre luci finiscono per perdere il loro vigore. La luce della fede possiede, infatti, un carattere singolare, essendo capace di illuminare tutta l’esistenza dell’uomo. Perché una luce sia così potente, non può procedere da noi stessi, deve venire da una fonte più originaria, deve venire, in definitiva, da Dio. La fede nasce nell’incontro con il Dio vivente, che ci chiama e ci svela il suo amore, un amore che ci precede e su cui possiamo poggiare per essere saldi e costruire la vita. Trasformati da questo amore riceviamo occhi nuovi, sperimentiamo che in esso c’è una grande promessa di pienezza e si apre a noi lo sguardo del futuro. La fede, che riceviamo da Dio come dono soprannaturale, appare come luce per la strada, luce che orienta il nostro cammino nel tempo. Da una parte, essa procede dal passato, è la luce di una memoria fondante, quella della vita di Gesù, dove si è manifestato il suo amore pienamente affidabile, capace di vincere la morte. Allo stesso tempo, però, poiché Cristo è risorto e ci attira oltre la morte, la fede è luce che viene dal futuro, che schiude davanti a noi orizzonti grandi, e ci porta al di là del nostro "io" isolato verso l’ampiezza della comunione. Comprendiamo allora che la fede non abita nel buio; che essa è una luce per le nostre tenebre. Dante, nella Divina Commedia, dopo aver confessato la sua fede davanti a san Pietro, la descrive come una "favilla, / che si dilata in fiamma poi vivace / e come stella in cielo in me scintilla". Proprio di questa luce della fede vorrei parlare, perché cresca per illuminare il presente fino a diventare stella che mostra gli orizzonti del nostro cammino, in un tempo in cui l’uomo è particolarmente bisognoso di luce.

[Lumen Fidei]

Domenica, 14 Settembre 2025 05:08

Sia la Luce

A Pasqua, al mattino del primo giorno della settimana, Dio ha detto nuovamente: “Sia la luce!”. Prima erano venute la notte del Monte degli Ulivi, l’eclissi solare della passione e morte di Gesù, la notte del sepolcro. Ma ora è di nuovo il primo giorno – la creazione ricomincia tutta nuova. “Sia la luce!”, dice Dio, “e la luce fu”. Gesù risorge dal sepolcro. La vita è più forte della morte. Il bene è più forte del male. L’amore è più forte dell’odio. La verità è più forte della menzogna. Il buio dei giorni passati è dissipato nel momento in cui Gesù risorge dal sepolcro e diventa, Egli stesso, pura luce di Dio. Questo, però, non si riferisce soltanto a Lui e non si riferisce solo al buio di quei giorni. Con la risurrezione di Gesù, la luce stessa è creata nuovamente. Egli ci attira tutti dietro di sé nella nuova vita della risurrezione e vince ogni forma di buio. Egli è il nuovo giorno di Dio, che vale per tutti noi.

Ma come può avvenire questo? Come può tutto questo giungere fino a noi così che non rimanga solo parola, ma diventi una realtà in cui siamo coinvolti? Mediante il Sacramento del battesimo e la professione della fede, il Signore ha costruito un ponte verso di noi, attraverso il quale il nuovo giorno viene a noi. Nel Battesimo, il Signore dice a colui che lo riceve: Fiat lux – sia la luce. Il nuovo giorno, il giorno della vita indistruttibile viene anche a noi. Cristo ti prende per mano. D’ora in poi sarai sostenuto da Lui e entrerai così nella luce, nella vita vera. Per questo, la Chiesa antica ha chiamato il Battesimo “photismos” – illuminazione.

Perché? Il buio veramente minaccioso per l’uomo è il fatto che egli, in verità, è capace di vedere ed indagare le cose tangibili, materiali, ma non vede dove vada il mondo e da dove venga. Dove vada la stessa nostra vita. Che cosa sia il bene e che cosa sia il male. Il buio su Dio e il buio sui valori sono la vera minaccia per la nostra esistenza e per il mondo in generale. Se Dio e i valori, la differenza tra il bene e il male restano nel buio, allora tutte le altre illuminazioni, che ci danno un potere così incredibile, non sono solo progressi, ma al contempo sono anche minacce che mettono in pericolo noi e il mondo. Oggi possiamo illuminare le nostre città in modo così abbagliante che le stelle del cielo non sono più visibili. Non è questa forse un’immagine della problematica del nostro essere illuminati? Nelle cose materiali sappiamo e possiamo incredibilmente tanto, ma ciò che va al di là di questo, Dio e il bene, non lo riusciamo più ad individuare. Per questo è la fede, che ci mostra la luce di Dio, la vera illuminazione, essa è un’irruzione della luce di Dio nel nostro mondo, un’apertura dei nostri occhi per la vera luce.

[Papa Benedetto, Veglia Pasquale 7 aprile 2012]

Domenica, 14 Settembre 2025 05:05

Luce sulle domande fondamentali

Gesù Cristo, luce vera che illumina ogni uomo

1. Chiamati alla salvezza mediante la fede in Gesù Cristo, «luce vera che illumina ogni uomo» (Gv 1,9), gli uomini diventano «luce nel Signore» e «figli della luce» (Ef 5,8) e si santificano con «l'obbedienza alla verità» (1 Pt 1,22).

Questa obbedienza non è sempre facile. In seguito a quel misterioso peccato d'origine, commesso per istigazione di Satana, che è «menzognero e padre della menzogna» (Gv 8,44), l'uomo è permanentemente tentato di distogliere il suo sguardo dal Dio vivo e vero per volgerlo agli idoli (cf 1 Ts 1,9), cambiando «la verità di Dio con la menzogna» (Rm 1,25); viene allora offuscata anche la sua capacità di conoscere la verità e indebolita la sua volontà di sottomettersi ad essa. E così, abbandonandosi al relativismo e allo scetticismo (cf. Gv 18, 38), egli va alla ricerca di una illusoria libertà al di fuori della stessa verità.

Ma nessuna tenebra di errore e di peccato può eliminare totalmente nell'uomo la luce di Dio Creatore. Nella profondità del suo cuore permane sempre la nostalgia della verità assoluta e la sete di giungere alla pienezza della sua conoscenza. Ne è prova eloquente l'inesausta ricerca dell'uomo in ogni campo e in ogni settore. Lo prova ancor più la sua ricerca sul senso della vita. Lo sviluppo della scienza e della tecnica, splendida testimonianza delle capacità dell'intelligenza e della tenacia degli uomini, non dispensa dagli interrogativi religiosi ultimi l'umanità, ma piuttosto la stimola ad affrontare le lotte più dolorose e decisive, quelle del cuore e della coscienza morale.

2. Ogni uomo non può sfuggire alle domande fondamentali: Che cosa devo fare? Come discernere il bene dal male? La risposta è possibile solo grazie allo splendore della verità che rifulge nell'intimo dello spirito umano, come attesta il salmista: «Molti dicono: "Chi ci farà vedere il bene?". Risplenda su di noi, Signore, la luce del tuo volto» (Sal 4,7).

La luce del volto di Dio splende in tutta la sua bellezza sul volto di Gesù Cristo, «immagine del Dio invisibile» (Col 1,15), «irradiazione della sua gloria» (Eb 1,3), «pieno di grazia e di verità» (Gv 1,14): Egli è «la via, la verità e la vita» (Gv 14,6). Per questo la risposta decisiva ad ogni interrogativo dell'uomo, in particolare ai suoi interrogativi religiosi e morali, è data da Gesù Cristo, anzi è Gesù Cristo stesso, come ricorda il Concilio Vaticano II: «In realtà, solamente nel mistero del Verbo incarnato trova vera luce il mistero dell'uomo. Adamo, infatti, il primo uomo, era figura di quello futuro, e cioè di Cristo Signore. Cristo, che è il nuovo Adamo, proprio rivelando il mistero del Padre e del suo amore, svela anche pienamente l'uomo all'uomo e gli fa nota la sua altissima vocazione».

Gesù Cristo, «la luce delle genti», illumina il volto della sua Chiesa, che Egli manda in tutto il mondo ad annunciare il Vangelo ad ogni creatura (cf Mc 16,15). Così la Chiesa, Popolo di Dio in mezzo alle nazioni, mentre è attenta alle nuove sfide della storia e agli sforzi che gli uomini compiono nella ricerca del senso della vita, offre a tutti la risposta che viene dalla verità di Gesù Cristo e del suo Vangelo. È sempre viva nella Chiesa la coscienza del suo «dovere permanente di scrutare i segni dei tempi e di interpretarli alla luce del Vangelo, così che, in un modo adatto a ciascuna generazione, possa rispondere ai perenni interrogativi degli uomini sul senso della vita presente e futura e sul loro reciproco rapporto».

[Papa Giovanni Paolo II, Veritatis Splendor]

Domenica, 14 Settembre 2025 04:56

Luce che incontra

Gesù utilizza le metafore del sale e della luce e le sue parole sono dirette ai discepoli di ogni tempo, quindi anche a noi.

Gesù ci invita ad essere un riflesso della sua luce, attraverso la testimonianza delle opere buone. E dice: «Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al Padre vostro che è nei cieli» (Mt 5,16). Queste parole sottolineano che noi siamo riconoscibili come veri discepoli di Colui che è la Luce del mondo, non nelle parole, ma dalle nostre opere. Infatti, è soprattutto il nostro comportamento che – nel bene e nel male – lascia un segno negli altri. Abbiamo quindi un compito e una responsabilità per il dono ricevuto: la luce della fede, che è in noi per mezzo di Cristo e dell’azione dello Spirito Santo, non dobbiamo trattenerla come se fosse nostra proprietà. Siamo invece chiamati a farla risplendere nel mondo, a donarla agli altri mediante le opere buone. E quanto ha bisogno il mondo della luce del Vangelo che trasforma, guarisce e garantisce la salvezza a chi lo accoglie! Questa luce noi dobbiamo portarla con le nostre opere buone.

La luce della nostra fede, donandosi, non si spegne ma si rafforza. Invece può venir meno se non la alimentiamo con l’amore e con le opere di carità. Così l’immagine della luce s’incontra con quella del sale.

Ognuno di noi è chiamato ad essere luce e sale nel proprio ambiente di vita quotidiana, perseverando nel compito di rigenerare la realtà umana nello spirito del Vangelo e nella prospettiva del regno di Dio. Ci sia sempre di aiuto la protezione di Maria Santissima, prima discepola di Gesù e modello dei credenti che vivono ogni giorno nella storia la loro vocazione e missione. La nostra Madre ci aiuti a lasciarci sempre purificare e illuminare dal Signore, per diventare a nostra volta “sale della terra” e “luce del mondo”.

[Papa Francesco, Angelus 5 febbraio 2017]

Sabato, 13 Settembre 2025 05:30

Amministratori disonesti o Casa comune

Astuzia cristiana: senso del dovere e del “padrone” giusto

(Lc 16,1-13)

 

In «La morte di Peregrino» [De morte Peregrini, 13] l’irriverente Luciano di Samosata, polemista del II sec. - così si esprime nei confronti dei cristiani:

«Il loro primo Legislatore li persuade che sono tutti fratelli tra loro e, come si convertono, rinnegando gli dei greci, adorano quel sapiente Crocifisso, e vivono secondo le sue leggi. Per la qualcosa disprezzano tutti i beni egualmente e li credono comuni e non se ne curano quando li hanno. Perciò se tra loro sorgesse un accorto impostore che sapesse ben maneggiarli, immediatamente diventerebbe ricco, canzonando questa gente credulona e sciocca».

 

A maggior ragione dei privati, la società ecclesiale gestisce beni per se stessi comuni, sacri, non esclusivi.

Ma un responsabile, leader di comunità [cf. v.14], viene accusato di approfittare della sua posizione di amministratore dei beni di Dio e della chiesa.

La Torah, le normative specifiche e tutto il costume ufficiale dell’Oriente antico vietavano di chiedere interessi sulle forniture (o prestiti) di derrate alimentari.

Malgrado ciò, di fatto e sottobanco i possidenti facevano leva sul ricatto. Trattenendo compensi indebiti e lauti, sulle transazioni.

Allora il “pizzicato” mette in campo la valutazione giusta: ricalcola e allinea la contabilità - rinunciando all’illecito introito che aveva accarezzato di godersi in prima persona.

Sebbene abituato ad andare a testa alta in società, il tizio sceglie finalmente di non proseguire cocciutamente nell’imbroglio delle quote in aggiunta, che non gli spettavano.

Coglie l’occasione che si presenta sulla sua strada. Questo il punto che Lc sottolinea. E decide prontamente di non continuare a corrompere se stesso e gli altri: opzione valida.

Viene dunque lodato (v.8) perché si accorge di un’altra possibilità. E lo fa con equa ‘scaltrezza’, stavolta non aleatoria.

 

La Via spirituale ha un crocevia crudo: chiedersi se ricominciare nello stile d’accumulo-e-trattenere, o puntare sulla qualità dei rapporti.

Opera eccellente della Fede nell’esperienza ecclesiale - e soglia della gioia - è trasformare le risorse in Vita e Relazione.

Insomma, non basta uno spiritualismo di carattere sentimentale. Bisogna sanare i bilanci ed evitare le cordate [cf. v.14].

Giustizia e destinazione universale dei beni non sono semplici aggiunte, di cui si possa sfumare il senso.

Ristabilita la verità, ecco un bel metodo per «purificare» anche la ricchezza iniqua: usarla per i destinatari.

 

Malgrado gli errori che si possono commettere - sempre possiamo dare una svolta decisiva.

Insomma, la pienezza del Regno di Dio si realizza attraverso l’Incontro, e i beni hanno senso come possibilità di sviluppo umano (vv.9-13).

Pertanto le guide spirituali devono essere i primi testimoni di detta funzione sociale, umanizzante e divina.

Essi sono chiamati a disporre delle risorse comuni in modo non allegro né spensierato, bensì con spiccato senso di responsabilità - senza ombra alcuna.

 

 

[25.a Domenica T.O. (anno C), 21 settembre 2025]

Sabato, 13 Settembre 2025 05:26

Amministratori più o meno onesti

La scelta giusta, nel piccolo e nel grande

Lc 16,1-13 (1-15)

 

Astuzia cristiana: senso del dovere e del “padrone” giusto

(Lc 16,1-8)

 

Ci chiediamo: c’è un altro stile di vita, oltre il vezzo di farsi valere in qualsiasi circostanza? Cosa genera tanti attriti senza posa né criterio, anche in tempi di sottomissione? Qual è la soluzione per edificare una casa comune? E il primo passo concreto per il futuro?

Lc parla molto chiaro, cesellando una catechesi probabilmente tratta da un’esperienza viva che ha segnato l’ambiente dei credenti.

 

«Chi [è] fedele in una cosa minima è fedele anche in una cosa grande, e [chi] è ingiusto in una cosa minima è ingiusto anche in una cosa grande» (Lc 16,10).

In «La morte di Peregrino» [De morte Peregrini, 13] l’irriverente Luciano di Samosata, polemista del II sec. - così si esprime nei confronti dei cristiani:

«Il loro primo Legislatore li persuade che sono tutti fratelli tra loro e, come si convertono, rinnegando gli dei greci, adorano quel sapiente Crocifisso, e vivono secondo le sue leggi. Per la qualcosa disprezzano tutti i beni egualmente e li credono comuni e non se ne curano quando li hanno. Perciò se tra loro sorgesse un accorto impostore che sapesse ben maneggiarli, immediatamente diventerebbe ricco, canzonando questa gente credulona e sciocca».

 

Ipotizziamo la situazione, probabilmente da riferire a un veterano della cerchia giudeo cristiana [considerata nei Vangeli quella dei “farisei” di ritorno nelle assemblee dei primi tempi] (cf. Lc 16,14).

Un responsabile, leader di comunità [cf. v.14], viene accusato di profittare della posizione di amministratore dei beni di Dio e della chiesa.

La Torah, le normative specifiche e tutto il costume ufficiale dell’Oriente antico vietavano di chiedere interessi sulle forniture (o prestiti) di derrate alimentari.

Ma di fatto e sottobanco i possidenti facevano leva sul ricatto. Trattenendo compensi indebiti e lauti, sulle transazioni.

La percentuale di scremature dipendeva dalla capacità di scrutare i bisogni e alzare il tasso d’interesse - persino sul frumento, l’olio e il cibo base.

Anche il coordinatore di chiesa si era lasciato sedurre dal malcostume corrente, per un facile guadagno (sulla fame della gente).

Avendo fatto a lungo orecchie da mercante, lo scandalo emerge (fra dirigenti e gruppi che si fregiano del nome Cristiano!).

L’uomo di spicco viene messo alle strette per un rendiconto trasparente.

Allora il “pizzicato” sceglie di ricalcolare e allineare la contabilità - rinunciando all’illecito introito che aveva accarezzato di godersi in prima persona.

Tutto avrebbe dovuto essere messo a disposizione dei fedeli e del bene comune, senza intrallazzi (privi di controllo - soliti).

Sebbene abituato ad andare a testa alta in società, il tizio sceglie finalmente di non proseguire cocciutamente nell’inguaribile imbroglio delle quote in aggiunta che non gli spettavano.

I tesori (di Dio) sono da condividere, senza ricarico privato - quindi evita di arrampicarsi sugli specchi, piroettare, cercare l’appoggio di complici o di cordate [cf. v.14] e gruppi di ammanicati.

Coglie l’occasione che si presenta sulla sua strada. Questo il punto che Lc sottolinea. E decide prontamente di non continuare a corrompere se stesso e gli altri: opzione valida.

Le cose sono evidenti e non accampa quel genere di spiegazioni - come purtroppo capita - che cronicizzano e degenerano la situazione.

Viene dunque lodato (v.8) perché invece di tornare ad alimentare se stesso e il suo codazzo… si accorge di un’altra possibilità.

C’è un Altrove da percepire, qui; con previdente tensione interiore ed equa “scaltrezza”, stavolta non aleatoria.

La Via spirituale ha un crocevia crudo: chiedersi se ricominciare nello stile d’accumulo-e-trattenere, o puntare sulla qualità dei rapporti.

Non più intimidazioni del tipo: «Tu non sai chi sono io»; «Voi non sapete chi e quanti siamo noi» - e tentativi appiccicati al tornaconto.

Non più imbrogli da celare e sotterfugi distruttivi, per un’allegra gestione amministrativa: meglio sfigurare personalmente che essere complici attivi e omertosi di un altro “dio” (quello che dà ordini opposti ai consigli del Padre).

Opera eccellente della Fede nell’esperienza ecclesiale - e soglia della gioia - è trasformare le risorse in Vita e Relazione.

Ecco la nostra Guida per il domani e la felicità, sempre.

Giustizia e destinazione universale dei beni non sono semplici aggiunte all’andare devoto, di cui si possa sfumare il senso - anche laddove le pertinenze comunitarie fossero appannaggio di chi ha mani e piedi dappertutto: cricche dalle buone maniere e pessime abitudini.

Esiste un’altra proficuità e funzionalità degli antichi profitti disinvolti: non quelli dell’economia liberale e della proprietà privata, ma dell’Amicizia libera, che non trattiene - capacità di ricreare equilibri dove non sono; coltivare uguaglianza e trasparenza, felicità e vita diffusa.

 

Non basta uno spiritualismo di carattere sentimentale. Bisogna sanare i bilanci.

Ristabilita la verità e senza guardare in faccia a nessun primattore, né a “compagni di merende” o gruppi di pressione, ecco un bel metodo per «purificare» anche la ricchezza iniqua: usarla per i destinatari.

È l’unica valutazione giusta, che annienta il malcostume e le stranissime competizioni fra poveracci senza dote e a testa in giù, che paiono destinati solo a friggere.

Siamo chiamati a usare le “nostre” energie e risorse per dilatare l’esistere di tutti, invece di continuare a beccarsi e papparci per far vedere chi comanda.

Questo è - malgrado gli errori che si possono commettere - dare la svolta decisiva, per una vita bella.

Insomma, la pienezza del Regno di Dio si realizza attraverso l’incontro, e i beni hanno senso come possibilità di sviluppo umano (cf. vv.9-13).

 

Nell’enciclica Fratelli Tutti leggiamo al n.120:

«la tradizione cristiana non ha mai riconosciuto come assoluto o intoccabile il diritto alla proprietà privata, e ha messo in risalto la funzione sociale di qualunque forma di proprietà privata. Il principio dell’uso comune dei beni creati per tutti è il primo principio di tutto l’ordinamento etico-sociale, è un diritto naturale, originario e prioritario. Tutti gli altri diritti sui beni necessari alla realizzazione integrale delle persone, inclusi quello della proprietà privata e qualunque altro, non devono quindi intralciare, bensì, al contrario, facilitarne la realizzazione [...] Il diritto alla proprietà privata si può considerare solo come un diritto naturale secondario e derivato dal principio della destinazione universale dei beni creati, e ciò ha conseguenze molto concrete, che devono riflettersi sul funzionamento della società. Accade però frequentemente che i diritti secondari si pongono al di sopra di quelli prioritari e originari, privandoli di rilevanza pratica».

 

Tale diritto-base è senza frontiere, e altrettanto vale per il funzionamento della società ecclesiale - non cooptata, né occulta.

A maggior ragione dei privati, essa deve rendere conto senza trucchi: gestisce infatti beni per se stessi comuni, variegati, sacri e non esclusivi.

I responsabili di Chiesa sono i primi chiamati a vincere l’unilateralità del ruolo e delle risorse, tantomeno da gestire come fossero di proprietà selettiva o di club riservati.

Pertanto le guide spirituali devono essere i primi testimoni di detta funzione sociale, umanizzante e divina.

Essi sono chiamati a disporre delle risorse da “spezzare” in modo non allegro e spensierato, bensì con spiccato senso di responsabilità - senza ombra alcuna.

 

«Renzo abbracciò molto volentieri questo parere; Lucia l'approvò; e Agnese, superba d'averlo dato, levò, a una a una, le povere bestie dalla stìa, riunì le loro otto gambe, come se facesse un mazzetto di fiori, le avvolse e le strinse con uno spago, e le consegnò in mano a Renzo; il quale, date e ricevute parole di speranza, uscì dalla parte dell'orto, per non esser veduto da' ragazzi, che gli correrebber dietro, gridando: lo sposo! lo sposo! Così, attraversando i campi o, come dicon colà, i luoghi, se n'andò per viottole, fremendo, ripensando alla sua disgrazia, e ruminando il discorso da fare al dottor Azzecca-garbugli. Lascio poi pensare al lettore, come dovessero stare in viaggio quelle povere bestie, così legate e tenute per le zampe, a capo all'in giù, nella mano d'un uomo il quale, agitato da tante passioni, accompagnava col gesto i pensieri che gli passavan a tumulto per la mente. Ora stendeva il braccio per collera, ora l'alzava per disperazione, ora lo dibatteva in aria, come per minaccia, e, in tutti i modi, dava loro di fiere scosse, e faceva balzare quelle quattro teste spenzolate; le quali intanto s'ingegnavano a beccarsi l'una con l'altra, come accade troppo sovente tra compagni di sventura» [I Promessi Sposi, cap.3].

 

 

Per interiorizzare e vivere il messaggio:

 

Nella tua comunità l’amministrazione dei beni è pubblica, regolare e trasparente o cronico appannaggio d’individui e gruppi senza controllo?

 

 

Amministratori onesti - a vario livello - e Casa comune

 

Mammona nel piccolo e nel grande

(Lc 16,9-15)

 

«In definitiva, dice Gesù, occorre decidersi: “Non potete servire a Dio e a mammona” (Lc 16,13). Mammona è un termine di origine fenicia che evoca sicurezza economica e successo negli affari; potremmo dire che nella ricchezza viene indicato l’idolo a cui si sacrifica tutto pur di raggiungere il proprio successo materiale e così questo successo economico diventa il vero dio di una persona. È necessaria quindi una decisione fondamentale» [papa Benedetto, omelia a Velletri 23 settembre 2007].

Il responsabile di chiesa “pizzicato” ad approfittarsi dei beni della comunità (vv.1-8) sapeva fare grandi discorsi - forse strumentali - sulla solidarietà necessaria, ma non viveva la fraternità concreta.

Ecco dunque una catechesi di Lc sulla fedeltà nel piccolo e nel grande: insegnamento attualissimo. Anche oggi infatti non mancano corifei dai grandi proclami... assai diffusi, però anche solo per darsi tono.

Sovvenire nel concreto e giocarsi la vita - mettendosi una mano sulla coscienza e una nel portafoglio - resta cosa purtroppo ancora faticosa e rara.

Molti non trovano di meglio che girare la testa dall’altra parte e svicolare, delegando colpe e responsabilità al “sistema”, alla crisi contingente, etc. - non senza appigli o ragioni concrete.

Invece, come sottolinea l'enciclica sociale di Papa Francesco, il mondo più giusto è opera «laboriosa, artigianale» (FT n.217).

«E io vi dico, fatevi amici dal mammona ingiusto affinché quando verrà a mancare vi accolgano nelle tende eterne.

Chi fedele in una cosa minima, è fedele anche in una cosa grande, e chi ingiusto in una cosa minima, è ingiusto anche in una cosa grande.

Se dunque non siete stati fedeli con il mammona ingiusto, chi vi affiderà la [ricchezza] vera?

E se non siete stati fedeli con la [ricchezza] altrui, chi vi darà la vostra?» (Lc 16,9-12).

 

 

Nell’intento dell’evangelista la vicenda particolare cui si allude nei vv. precedenti doveva servire a formare in modo concreto le sue piccole comunità sull’uso dei beni materiali.

Dopo un errore che anche i capi possono commettere, persino la ricchezza ingiusta può essere ben usata in favore di tutti - per creare già sulla terra quel clima di vitalità serena indistruttibile che è tratto e attributo della condizione divina.

Nella Chiesa autentica il misero - oppresso, ribassato, impoverito e reso pitocco dalla società competitiva - ritrova stima, speranza, voglia di vivere; col semplice aiuto di fratelli altrettanto bisognosi.

In origine (infatti) tutte le comunità sorsero tra indigenti. Poco a poco iniziarono ad affacciarsi anche benestanti.

Sembrava una grande apertura al futuro di Dio; invece, man mano che il tempo passava, ci si accorgeva della crescita d’insensibilità e chiusura del cuore, nei nuovi ceti abbienti e nelle chiese.

L’ingresso dei ricchi - inizialmente ben visto - recò nel tempo non pochi problemi, anche di gestione interna delle risorse collettive.

I beni comuni diventarono talora appannaggio esclusivo di dirigenti che sembravano non avere più idee chiare sul ruolo sociale del denaro.

 

I primi cristiani avevano compreso che la fede nella risurrezione è incompatibile con l’attaccamento all’effimero. Ma si trattava di condizione rischiosa.

A tale riguardo è significativa la testimonianza indiretta di Luciano di Samosata (125-192) autore di satire contro superstizioni e credulonerie tra le quali annovera anche il cristianesimo.

Con linguaggio scanzonato, egli descrive in «La morte di Peregrino» [De morte Peregrini, 13] l’impatto che la Fede esercitava sulla vita dei cristiani del suo tempo, e con fermezza non convenzionale:

«Il loro primo legislatore li persuade che sono tutti fratelli tra loro e, come si convertono, rinnegando gli dei greci, adorano quel sapiente crocifisso e vivono secondo le sue leggi. Per la qualcosa disprezzano tutti i beni egualmente e li credono comuni e non se ne curano quando li hanno. Perciò se tra loro sorgesse un accorto impostore che sapesse ben maneggiarli, immediatamente diventerebbe ricco, canzonando questa gente credulona e sciocca».

 

La Liberazione dagli idoli del patrimonio privato che Gesù propone stimolava le anime anche più svelte e affermate ad apprezzare la trasformazione delle proprietà in relazione e possibilità di vita altrui.

Ovviamente per introdurre tale modello di condivisione e incontrare il mondo esterno, la scelta doveva iniziare da vicino a sé: non si poteva opprimere sorelle e fratelli di credo, e predicare giustizia al mondo.

L’emancipazione inizia nel piccolo della propria famiglia, dei conoscenti e amici; nello spicciolo dei rapporti interni e giornalieri.

Il fatto è che Dio e il denaro danno ordini opposti. Uno distoglie l'altro.

Quindi prima o poi anche chi è motivato da ottime intenzioni può giungere a disprezzare il Padre, la Comunione, gli ideali vissuti anche nel sommario - e affezionarsi a scorciatoie banali.

I leaders religiosi ufficiali, tutti congregati nella difesa dei lauti guadagni assicurati dal mondo antico - che (avidamente) sorreggevano a spada tratta - onoravano sì l’Eterno nei segni, ma... cedevano alla tentazione.

Privi ormai sia di scelte di fondo che di dettaglio, i direttori se la ridevano alle spalle di Gesù, tramando di nascosto e di concerto. Ancora oggi purtroppo trattandolo come un ingenuo sognatore da strapazzo (vv.14-15).

Eppure il Maestro continua a sgolarsi, affinché anche noi entriamo nella sua nuova Economia «proattiva» [come forse la definirebbero i vescovi del Sudafrica, e la recente enciclica sociale].

Economia della gratuità che non depaupera - per una «maggior ricchezza possibile» che spegne il «desiderio di dominare», ma fa «stare insieme come esseri umani» (FT n.229).

 

Qui l’esiguo diventa rilevante. La sfida è aperta.

 

 

Per interiorizzare e vivere il messaggio:

 

Sei genericamente solidale o... fraterno nel conquibus?

Hai provato l’esperienza del dono che non depaupera, bensì arricchisce?

In ambito ecclesiale, ti sei sentito deprivato, o viceversa umanizzato?

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At first sight, this might seem a message not particularly relevant, unrealistic, not very incisive with regard to a social reality with so many problems […] (Pope John Paul II)
A prima vista, questo potrebbe sembrare un messaggio non molto pertinente, non realistico, poco incisivo rispetto ad una realtà sociale con tanti problemi […] (Papa Giovanni Paolo II)
At first sight, this might seem a message not particularly relevant, unrealistic, not very incisive with regard to a social reality with so many problems […] (Pope John Paul II)
A prima vista, questo potrebbe sembrare un messaggio non molto pertinente, non realistico, poco incisivo rispetto ad una realtà sociale con tanti problemi […] (Papa Giovanni Paolo II)
There is work for all in God's field (Pope Benedict)
C'è lavoro per tutti nel campo di Dio (Papa Benedetto)
The great thinker Romano Guardini wrote that the Lord “is always close, being at the root of our being. Yet we must experience our relationship with God between the poles of distance and closeness. By closeness we are strengthened, by distance we are put to the test” (Pope Benedict)
Il grande pensatore Romano Guardini scrive che il Signore “è sempre vicino, essendo alla radice del nostro essere. Tuttavia, dobbiamo sperimentare il nostro rapporto con Dio tra i poli della lontananza e della vicinanza. Dalla vicinanza siamo fortificati, dalla lontananza messi alla prova” (Papa Benedetto)
The present-day mentality, more perhaps than that of people in the past, seems opposed to a God of mercy, and in fact tends to exclude from life and to remove from the human heart the very idea of mercy (Pope John Paul II)
La mentalità contemporanea, forse più di quella dell'uomo del passato, sembra opporsi al Dio di misericordia e tende altresì ad emarginare dalla vita e a distogliere dal cuore umano l'idea stessa della misericordia (Papa Giovanni Paolo II)
«Religion of appearance» or «road of humility»? (Pope Francis)
«Religione dell’apparire» o «strada dell’umiltà»? (Papa Francesco)
Those living beside us, who may be scorned and sidelined because they are foreigners, can instead teach us how to walk on the path that the Lord wishes (Pope Francis)
Chi vive accanto a noi, forse disprezzato ed emarginato perché straniero, può insegnarci invece come camminare sulla via che il Signore vuole (Papa Francesco)
Many saints experienced the night of faith and God’s silence — when we knock and God does not respond — and these saints were persevering (Pope Francis)
Tanti santi e sante hanno sperimentato la notte della fede e il silenzio di Dio – quando noi bussiamo e Dio non risponde – e questi santi sono stati perseveranti (Papa Francesco)
In some passages of Scripture it seems to be first and foremost Jesus’ prayer, his intimacy with the Father, that governs everything (Pope Francis)
In qualche pagina della Scrittura sembra essere anzitutto la preghiera di Gesù, la sua intimità con il Padre, a governare tutto (Papa Francesco)
It is necessary to know how to be silent, to create spaces of solitude or, better still, of meeting reserved for intimacy with the Lord. It is necessary to know how to contemplate. Today's man feels a great need not to limit himself to pure material concerns, and instead to supplement his technical culture with superior and detoxifying inputs from the world of the spirit [John Paul II]
Occorre saper fare silenzio, creare spazi di solitudine o, meglio, di incontro riservato ad un’intimità col Signore [Giovanni Paolo II]

Due Fuochi due Vie - Vol. 1 Due Fuochi due Vie - Vol. 2 Due Fuochi due Vie - Vol. 3 Due Fuochi due Vie - Vol. 4 Due Fuochi due Vie - Vol. 5 Dialogo e Solstizio I fiammiferi di Maria

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