Nov 12, 2023 Written by 

XXXIV Domenica T.O. - Cristo Re (anno A)

Mt 25,31-46

Matteo 25:31 Quando il Figlio dell'uomo verrà nella sua gloria con tutti i suoi angeli, si siederà sul trono della sua gloria.

Matteo 25:32 E saranno riunite davanti a lui tutte le genti, ed egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dai capri,

Matteo 25:33 e porrà le pecore alla sua destra e i capri alla sinistra.

 

Il brano si apre con l'espressione hotan de elthē, "quando poi verrà", che proietta il lettore nel tempo ultimo, è il quando finale. È un tempo che non appartiene più agli uomini, ma a Dio, poiché riempito della sua onnipotenza e della sua gloria, ed è il contenitore entro il quale gli uomini saranno riuniti per subire il giudizio divino. Il vero problema non è il tempo, ma il significato della venuta del Figlio dell'uomo e la conseguente necessità di essere preparati, perché la sua venuta nella gloria significherà giudizio.

Qui il titolo Figlio dell'uomo perde il suo significato messianico, che lo definiva nella dimensione terrena come l'atteso Messia, per assumere il significato di uomo glorificato o, per meglio dire, di un Dio che si è ripresa la sua primordiale condizione di vita divina, assorbendo in essa anche la sua umanità. Gesù Cristo è ritornato alla gloria divina da cui era venuto; un ritorno che lo vede, tuttavia, rivestito ancora della sua inseparabile umanità, glorificata, ora, dalla potenza del Padre. Ed è proprio in questa ultima e definitiva condizione che Matteo presenta Gesù, il Figlio dell'uomo/Re seduto sul "trono della sua gloria", immagine questa che nel linguaggio veterotestamentario alludeva alla presenza di Dio nel Tempio di Gerusalemme, ma in Matteo, nel giorno del giudizio, tale privilegio è accordato al Figlio dell'uomo. È, dunque, quella che l'evangelista ci presenta, una visione escatologica ed apocalittica insieme, perché rivelativa della vera natura dell'uomo-Dio Gesù, il cui sedersi sul trono della sua gloria indica la definitiva acquisizione della sua onnipotenza divina, conseguita e riconquistata dopo la glorificazione per mezzo della risurrezione e ascesa al cielo.

La presenza degli angeli accompagna il suo irrompere improvviso, glorificato della stessa vita divina che gli è propria, e sottolinea la sua regalità e la sua onnipotenza. L'immagine che ci viene presentata è quella di una fastosa corte imperiale dove il Re siede onnipotente in mezzo ai suoi servi pronti per servirlo. Il Figlio dell'uomo siede sul trono della sua gloria mentre gli angeli rimangono in piedi. Questo evento prepara la grande scena del giudizio che segue, in cui Gesù funge da giudice, un ruolo che nell'Antico Testamento era ristretto a Yahweh.

Abbiamo, quindi, nel nostro testo, un intreccio tra Dio e il Figlio dell'uomo, i quali condividono la stessa autorità e potere sovrano. Inoltre, il fatto che il Figlio dell'uomo sia accompagnato dagli angeli nella sua venuta, si adatta perfettamente all'immagine del giudizio divino, poiché nella parabola del grano e della zizzania, gli angeli sono i "mietitori". Ammiriamo l'alta cristologia del Vangelo di Matteo: il Figlio dell'uomo viene con la stessa gloria e autorità del Padre.

Per ricapitolare, Gesù si insedia sul trono della sua maestà, che è il trono del giudizio, ed insieme a lui c'è tutta la corte celeste degli angeli. È finito ormai e concluso il tempo della storia e il Dio Salvatore si porrà nei confronti dell'uomo come il Dio che viene a giudicare i vivi e i morti. Nessuno potrà più sottrarsi al confronto con Lui, e coloro che non hanno voluto ascoltare la parola di salvezza saranno costretti ad ascoltare la parola di condanna.

È una raffigurazione grandiosa, al centro della quale c'è Gesù, il Signore. Dinanzi a Lui si presenterà ogni uomo: piccolo o grande, famoso o sconosciuto, libero o schiavo, nato prima della sua gloriosa risurrezione o dopo, credente o pagano, religioso o ateo, osservante della Legge o suo trasgressore, santo o peccatore, giusto o ingiusto, dotto o ignorante. Dinanzi a Gesù si presenterà ogni fondatore di religione, ogni teologo, ogni maestro e inventore di dottrine, ogni uomo di scienza e di tecnica, ogni filosofo e pensatore. Dinanzi a Gesù comparirà l'umanità intera.

Nel giudizio ci sarà una divisione all'interno dell'umanità. "Tutte le genti" vengono radunate davanti a Gesù presentato nei suoi attributi di re e pastore. Il giudizio implica una separazione tra i giusti e i malvagi di tutte le genti. Il pastore separa le persone le une dalle altre, categorizzandole come pecore e capri, dividendo tutta l'umanità in due categorie sulla base delle loro opere.

L'intera umanità è, dunque, sospinta da Dio davanti al trono di suo Figlio, "davanti a lui". Egli è qui colto come il punto di convergenza di tutta la storia umana, quello che lo scienziato e gesuita Teilhard de Chardin ha chiamato punto Omega, un termine da lui coniato per descrivere il massimo livello di complessità e di coscienza al quale sembra che l'universo tenda nella sua evoluzione. Appare dunque chiaro il disegno del Padre: "ricapitolare in Cristo tutte le cose, quelle del cielo come quelle della terra" (Ef 1,10).

Da Adamo fino all'ultimo uomo nato sulla terra, saranno tutti riuniti davanti a Lui. Tutti vivevano nello stesso campo, come il buon grano e la zizzania, ora invece c'è la separazione. Non c'è più alcuna possibilità di potersi confondere, nascondere, mimetizzare. Non ci sono più finzioni, né ipocrisie, né ambiguità. C'è separazione eterna. Questo è il giudizio: "egli separerà gli uni dagli altri".

Il Figlio dell'uomo non è un pastore che va alla ricerca della pecora perduta, non è un'azione salvifica; ma è l'azione di chi divide il suo gregge, poiché il tempo della misericordia si è compiuto, così come la porta delle dieci vergini fu definitivamente chiusa. Anche lì vi fu una separazione operata dallo sposo. Questa separazione comporta il mettere le pecore in una condizione di privilegio (alla destra), rispetto ai capri, posti alla sinistra, cioè in una posizione opposta. Le pecore sono figura di coloro che sono obbedienti alla parola del pastore; nei capri invece è raffigurato lo spirito di disobbedienza. Infatti, non parla di capre ma di capri, animali che cozzano con le corna.

In questa scena di giudizio non ci sono le bilance per pesare le azioni di coloro che sono giudicati, per scoprire chi è giusto e chi no. Piuttosto, il Giudice agisce in base alla sua stessa onniscienza. Egli mette le pecore alla sua destra e i capri alla sua sinistra. La destra è sempre il posto d'onore nelle culture semitiche, ma lo vediamo anche nella letteratura ellenistica, nella Repubblica di Platone i giudici nell'aldilà mandano i giusti "a destra e in alto nel cielo" mentre gli ingiusti sono mandati "in basso a sinistra". In tutta la Bibbia, comunque, la destra è sempre il posto d'onore, anche se non sempre "la sinistra" indica una posizione sfavorevole.

Si noti come il pastore si limita a separare le pecore dai capri, ma non stabilisce lui chi è pecora e chi è capro. Sono proprio gli stessi animali, ad essere definiti pecora e capro dalla loro stessa natura. Ognuno sa chi è pecora e chi è capro. Essi si presentano al pastore che sono già pecore e già capri. Al pastore non resta che separarli. È significativo questo particolare, poiché suggerisce come il giudizio divino non stabilisce chi è buono e chi cattivo, ma si limita a definire la destinazione di ciascuno in base al suo presentarsi come pecora o come capro. In altri termini, è il proprio orientamento esistenziale sviluppato nel corso della vita, che ci fa essere per Dio o contro Dio, e reso definitivo e assoluto nel momento in cui l'uomo, attraverso la morte, passa nella dimensione dove non c'è più tempo, dove non c'è più divenire, ma soltanto essere. È chiaro che non tutti quelli che sembrano far parte del regno sono veri cittadini del regno; quando Gesù tornerà separerà gli uni dagli altri, e con ciò non farà altro che suggellare per sempre quella divisione che già era in essere nel tempo della nostra vita.

 

 

 Argentino Quintavalle, autore dei libri 

- Apocalisse commento esegetico 

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Argentino Quintavalle

Argentino Quintavalle è studioso biblico ed esperto in Protestantesimo e Giudaismo. Autore del libro “Apocalisse - commento esegetico” (disponibile su Amazon) e specializzato in catechesi per protestanti che desiderano tornare nella Chiesa Cattolica.

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The Kingdom of God grows here on earth, in the history of humanity, by virtue of an initial sowing, that is, of a foundation, which comes from God, and of a mysterious work of God himself, which continues to cultivate the Church down the centuries. The scythe of sacrifice is also present in God's action with regard to the Kingdom: the development of the Kingdom cannot be achieved without suffering (John Paul II)
Il Regno di Dio cresce qui sulla terra, nella storia dell’umanità, in virtù di una semina iniziale, cioè di una fondazione, che viene da Dio, e di un misterioso operare di Dio stesso, che continua a coltivare la Chiesa lungo i secoli. Nell’azione di Dio in ordine al Regno è presente anche la falce del sacrificio: lo sviluppo del Regno non si realizza senza sofferenza (Giovanni Paolo II)
For those who first heard Jesus, as for us, the symbol of light evokes the desire for truth and the thirst for the fullness of knowledge which are imprinted deep within every human being. When the light fades or vanishes altogether, we no longer see things as they really are. In the heart of the night we can feel frightened and insecure, and we impatiently await the coming of the light of dawn. Dear young people, it is up to you to be the watchmen of the morning (cf. Is 21:11-12) who announce the coming of the sun who is the Risen Christ! (John Paul II)
Per quanti da principio ascoltarono Gesù, come anche per noi, il simbolo della luce evoca il desiderio di verità e la sete di giungere alla pienezza della conoscenza, impressi nell'intimo di ogni essere umano. Quando la luce va scemando o scompare del tutto, non si riesce più a distinguere la realtà circostante. Nel cuore della notte ci si può sentire intimoriti ed insicuri, e si attende allora con impazienza l'arrivo della luce dell'aurora. Cari giovani, tocca a voi essere le sentinelle del mattino (cfr Is 21, 11-12) che annunciano l'avvento del sole che è Cristo risorto! (Giovanni Paolo II)
Christ compares himself to the sower and explains that the seed is the word (cf. Mk 4: 14); those who hear it, accept it and bear fruit (cf. Mk 4: 20) take part in the Kingdom of God, that is, they live under his lordship. They remain in the world, but are no longer of the world. They bear within them a seed of eternity a principle of transformation [Pope Benedict]
Cristo si paragona al seminatore e spiega che il seme è la Parola (cfr Mc 4,14): coloro che l’ascoltano, l’accolgono e portano frutto (cfr Mc 4,20) fanno parte del Regno di Dio, cioè vivono sotto la sua signoria; rimangono nel mondo, ma non sono più del mondo; portano in sé un germe di eternità, un principio di trasformazione [Papa Benedetto]
In one of his most celebrated sermons, Saint Bernard of Clairvaux “recreates”, as it were, the scene where God and humanity wait for Mary to say “yes”. Turning to her he begs: “[…] Arise, run, open up! Arise with faith, run with your devotion, open up with your consent!” [Pope Benedict]
San Bernardo di Chiaravalle, in uno dei suoi Sermoni più celebri, quasi «rappresenta» l’attesa da parte di Dio e dell’umanità del «sì» di Maria, rivolgendosi a lei con una supplica: «[…] Alzati, corri, apri! Alzati con la fede, affrettati con la tua offerta, apri con la tua adesione!» [Papa Benedetto]
«The "blasphemy" [in question] does not really consist in offending the Holy Spirit with words; it consists, instead, in the refusal to accept the salvation that God offers to man through the Holy Spirit, and which works by virtue of the sacrifice of the cross [It] does not allow man to get out of his self-imprisonment and to open himself to the divine sources of purification» (John Paul II, General Audience July 25, 1990))

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