Nov 12, 2023 Written by 

XXXIII Domenica T.O. (anno A)

Mt 25,14-30

Matteo 25:14 Avverrà come di un uomo che, partendo per un viaggio, chiamò i suoi servi e consegnò loro i suoi beni.

Matteo 25:15 A uno diede cinque talenti, a un altro due, a un altro uno, a ciascuno secondo la sua capacità, e partì.

 

Il tema di fondo della parabola è subito introdotto: l'assenza del padrone e la responsabilità dei servi, mentre l'insegnamento è che ognuno dovrà rendere conto a Dio in misura di quanto ha ricevuto. Tutti ricevono i doni, ma non tutti ricevono gli stessi doni, "a ciascuno secondo la sua capacità". Il padrone conosce i suoi servi, e per questo dà ad ognuno secondo la loro capacità di gestire le responsabilità. Se i doni sono diversi, diversi sono anche i frutti, diversa è la vita. Non a tutti si devono chiedere gli stessi frutti, ma ad ognuno è dato il tempo sufficiente per mettere a frutto i doni di Dio. Il padrone sta "partendo per un viaggio" e chiamò i suoi servi per dare loro «tà hyparchonta autou», "ciò che apparteneva a lui".

Il viaggio è il tempo concesso ai servi per far fruttare i beni ricevuti; l'uomo che parte per un lungo viaggio è metafora del Gesù morto-risorto e tornato al Padre. Il suo ritorno è la parousia, i servi sono i suoi discepoli. Egli prima di andarsene consegnò ai suoi servi i suoi averi.

È interessante notare come il verbo greco usato è «parédōken», tradotto con "consegnare" o "dare". Non si tratta di un semplice affidamento dei beni, ma di una consegna che presuppone un potere reale su questi beni e, quindi, una capacità legale di gestione degli stessi. In altre parole, i servi vengono resi capaci di operare in nome e per conto del loro padrone. Questo pieno potere è il presupposto per cui essi possono gestire liberamente tali beni come meglio credono e, pertanto, sono anche resi pienamente responsabili della gestione. Tutto ciò è la premessa su cui poi si baseranno e si giustificheranno le pretese prima, e il giudizio poi, del padrone.

Il v. 15 annuncia implicitamente qualcosa di come sarà la comunità cristiana. Non tutti sono uguali e non a tutti viene affidata la stessa quantità di beni. Questa diversa distribuzione di talenti ai vari servi, sta a quantificare il diverso grado di responsabilità ricoperto da ciascuno all'interno della comunità cristiana stessa. Ognuno è chiamato a gestire i beni che Dio gli ha assegnato, e Dio assegna in base alle capacità di ognuno. Ecco dunque che chi era capace di ricevere cinque, ne riceve cinque e così gli altri due. A questo punto non facciamoci problemi che non ci sono, dicendo che ha lasciato a uno cinque, all'altro due, all'altro uno, ma non poteva dare a tutti cinque? Questo non è possibile; per ricevere un dono bisogna essere capaci di gestirlo; il padrone è molto saggio, non dà ai suoi servi una responsabilità più grande di quella che possono gestire.

Quale è il significato dei talenti ricevuti? In Mt 10,7-8 Gesù, nel dare il mandato ai suoi discepoli, li esortava:

«E strada facendo, predicate che il regno dei cieli è vicino. Guarite gli infermi, risuscitate i morti, sanate i lebbrosi, cacciate i demoni. Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date».

L'annuncio del Regno, accompagnato dalle guarigioni, faceva toccare con mano la forza rigeneratrice della parola di Gesù, che stava generando una nuova umanità. Un dono che gli apostoli avevano ricevuto gratuitamente da Dio, e che essi avevano l'obbligo morale - che poi diventerà anche istituzionale - di trasmettere agli altri. Così è anche in Mt 13,11-12 dove Gesù, rispondendo ai discepoli che gli chiedevano perché parlasse in parabole, diceva:

«Perché a voi è dato di conoscere i misteri del regno dei cieli, ma a loro non è dato. Così a chi ha sarà dato e sarà nell'abbondanza; e a chi non ha sarà tolto anche quello che ha».

In questo contesto di rivelazione-dono e di annuncio-missione non è difficile individuare come i beni di questo ricco padrone sono i beni dello Spirito e del Regno, che egli lasciava in gestione ai propri discepoli; ciascuno responsabile in base al ruolo ricoperto, ma tutti egualmente responsabili di fronte all'unico e comune Signore, al quale tutti sono chiamati a rendere conto, perché tutti hanno comunque ricevuto la loro parte da far fruttare.

Quindi non si tratta di doti o di qualità naturali, ma del dono gratuito del regno, cioè il dono inestimabile della grazia di Cristo che deve essere annunciato a tutto il mondo e fatto fruttare abbondantemente. È molto limitativo vedere in questi talenti i doni naturali. Di naturale vi è solo il modo in cui ci approcciamo ad essi e come li usiamo, secondo la nostra intelligenza, cultura, carattere, tempo in cui viviamo. L'interesse della parabola non è concentrato sulla quantità dei talenti che ci sono stati dati: che ci appaiano pochi o molti, non ha importanza. Non è questo ciò che ha rilevanza davanti a Dio, quanto piuttosto il modo in cui noi ce ne sentiamo responsabili. Il confronto non è tra chi usa bene i suoi talenti naturali e chi non li usa per niente, ma tra coloro che usano bene il dono di grazia e fra coloro che pur essendo stati beneficiari del dono, non comprendono il suo valore né la novità di vita che porta con sé.

Per entrare ancora più nel particolare, possiamo anche dire che i talenti rappresentano il dovere di portare altre persone a Cristo, di fare altri discepoli. Ciò implica il compimento della promessa fatta ad Abramo, che "in te si diranno benedette tutte le famiglie della terra". Gesù ha lasciato ai suoi discepoli l'incarico di portare a compimento questa promessa. Non per niente la partenza del padrone "per un viaggio" è simbolica dell'ascensione di Gesù al Padre - in tal guisa lasciando i discepoli (i suoi servi) a completare la missione per suo conto. Matteo sembra qui anticipare, in qualche modo, la parte finale del suo Vangelo, là dove il Gesù glorioso, rivolto ai suoi discepoli, assegna loro il Mandato, composto da tre elementi fondamentali: ammaestrare, battezzare e insegnare ciò che egli ha insegnato (Mt 28,18-20).

Per riassumere, questa parabola riprende una domanda implicita lasciata in sospeso da quella delle dieci vergini: cosa vuol dire "essere pronti"? Non si tratta di stare semplicemente e passivamente in attesa, ma di un operare responsabile, accompagnato da risultati che il Signore alla sua venuta possa vedere e approvare. Infatti, in questa parabola, il periodo dell'attesa non è inteso come un ritardo inspiegabile, ma come un periodo di tempo in cui fare buon uso dei talenti ricevuti. L'essere pronti perciò consiste nel portare fedelmente a termine le proprie responsabilità come discepoli, grandi o piccole che siano. È il Signore che assegna la scala delle responsabilità; il dovere del servo è solo quello di far fruttare quello che gli è stato affidato.

 

 Argentino Quintavalle, autore dei libri 

- Apocalisse commento esegetico 

- L'Apostolo Paolo e i giudaizzanti – Legge o Vangelo?

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Argentino Quintavalle

Argentino Quintavalle è studioso biblico ed esperto in Protestantesimo e Giudaismo. Autore del libro “Apocalisse - commento esegetico” (disponibile su Amazon) e specializzato in catechesi per protestanti che desiderano tornare nella Chiesa Cattolica.

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Dear friends, the mission of the Church bears fruit because Christ is truly present among us in a quite special way in the Holy Eucharist. His is a dynamic presence which grasps us in order to make us his, to liken us to him. Christ draws us to himself, he brings us out of ourselves to make us all one with him. In this way he also inserts us into the community of brothers and sisters: communion with the Lord is always also communion with others (Pope Benedict)
Cari amici, la missione della Chiesa porta frutto perché Cristo è realmente presente tra noi, in modo del tutto particolare nella Santa Eucaristia. La sua è una presenza dinamica, che ci afferra per farci suoi, per assimilarci a Sé. Cristo ci attira a Sé, ci fa uscire da noi stessi per fare di noi tutti una cosa sola con Lui. In questo modo Egli ci inserisce anche nella comunità dei fratelli: la comunione con il Signore è sempre anche comunione con gli altri (Papa Benedetto)
Jesus asks us to abide in his love, to dwell in his love, not in our ideas, not in our own self-worship. Those who dwell in self-worship live in the mirror: always looking at themselves. He asks us to overcome the ambition to control and manage others. Not controlling, serving them (Pope Francis)
Gesù ci chiede di rimanere nel suo amore, abitare nel suo amore, non nelle nostre idee, non nel culto di noi stessi. Chi abita nel culto di sé stesso, abita nello specchio: sempre a guardarsi. Ci chiede di uscire dalla pretesa di controllare e gestire gli altri. Non controllare, servirli (Papa Francesco)
In this passage, the Lord tells us three things about the true shepherd:  he gives his own life for his sheep; he knows them and they know him; he is at the service of unity [Pope Benedict]
In questo brano il Signore ci dice tre cose sul vero pastore: egli dà la propria vita per le pecore; le conosce ed esse lo conoscono; sta a servizio dell'unità [Papa Benedetto]
Jesus, Good Shepherd and door of the sheep, is a leader whose authority is expressed in service, a leader who, in order to command, gives his life and does not ask others to sacrifice theirs. One can trust in a leader like this (Pope Francis)
Gesù, pastore buono e porta delle pecore, è un capo la cui autorità si esprime nel servizio, un capo che per comandare dona la vita e non chiede ad altri di sacrificarla. Di un capo così ci si può fidare (Papa Francesco)
In today’s Gospel passage (cf. Jn 10:27-30) Jesus is presented to us as the true Shepherd of the People of God. He speaks about the relationship that binds him to the sheep of the flock, namely, to his disciples, and he emphasizes the fact that it is a relationship of mutual recognition […] we see that Jesus’ work is explained in several actions: Jesus speaks; Jesus knows; Jesus gives eternal life; Jesus safeguards (Pope Francis)
Nel Vangelo di oggi (cfr Gv 10,27-30) Gesù si presenta come il vero Pastore del popolo di Dio. Egli parla del rapporto che lo lega alle pecore del gregge, cioè ai suoi discepoli, e insiste sul fatto che è un rapporto di conoscenza reciproca […] vediamo che l’opera di Gesù si esplica in alcune azioni: Gesù parla, Gesù conosce, Gesù dà la vita eterna, Gesù custodisce (Papa Francesco)
To enter into communion with God, before observing the laws or satisfying religious precepts, it is necessary to live out a real and concrete relationship with him […] And this “scandalousness” is well represented by the sacrament of the Eucharist: what sense can there be, in the eyes of the world, in kneeling before a piece of bread? Why on earth should someone be nourished assiduously with this bread? The world is scandalized (Pope Francis)

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don Giuseppe Nespeca

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