Gloria che volta pagina
(Gv 13,31-35)
Giuda è fra i convitati, ma non assimila il Pane. Lo prende, sì. Ma non lo fa proprio.
Lo prende e se ne va, per correre dietro alle sue illusioni di avere e potere. Per inseguire il patto occulto, con le vecchie guide spirituali.
Così «sprofonda nella notte». Richiamo per ciascuno di noi.
Malgrado ciò, la Gloria divina si manifesta - perfino nel limite. È Amore senza condizioni previe. Differenza tra relazione di Fede e codice delle devozioni.
Paradossale realizzazione. Fonte e Culmine del Nucleo dell’Essere. Svelamento e Manifestazione di ciò che Dio stesso è.
Siamo nell’«Ora»: annunciata da tutto lo svolgimento del quarto Vangelo. Amore che non dipende.
Amore invincibile, che non viene meno neppure a seguito delle nostre incertezze e flessioni, o dei nostri rinnegamenti.
Noi che dovremmo essere i Suoi Intimi. Amici e Fratelli del «Figlio dell’uomo».
«Figlio dell’uomo» designa già dal Primo Testamento il carattere d’una santità che supera la fiction antica dei dominatori, i quali si accavallavano uno sull’altro recitando lo stesso copione.
La massa permaneva a bocca asciutta: qualsiasi fosse il sovrano che s’impadroniva del potere, la folla minuta restava sottomessa e soffocata.
Identica norma vigeva nelle religioni, i cui capi elargivano al popolo una forte pulsione da orda e il contentino dei gregari.
Invece nel Regno di Gesù devono mancare i ranghi - per questo la sua proposta non collima con le ambizioni delle autorità, e con le stesse aspettative degli Apostoli.
Anch’essi volevano “contare”.
Ma appunto «Figlio dell’uomo» è la persona secondo un criterio di umanizzazione, non una belva che prevale perché più forte delle altre [cf. Dan 7].
Ciascun uomo col cuore di carne - non di bestia, né di pietra - è persona comprensiva, capace di ascolto, sempre attenta ai bisogni dell’altro, che mette se stessa a disposizione.
Tutto ciò allude alla dimensione larga della santità; trasmissibile a chiunque, e creativa come l’amore, quindi tutta da scoprire!
Nei Vangeli il «Figlio dell’uomo» è lo sviluppo vero e pieno del progetto divino sull’umanità.
Tale disegno non è ostacolato dai frequentatori dei luoghi di malaffare.
Non si tratta d’una proposta compromessa con la religione dottrina-e-disciplina, che ricaccia indietro le eccentricità.
Quella del «Figlio dell’uomo» è quel tipo di Santità che ci rende Unici, non che sta sempre ad aborrire o esorcizzare il pericolo dell’inconsueto.
Insomma, Gesù affida ai discepoli il suo Testamento. L’unione vicendevole è l’Ultima Volontà del Signore. Con una novità radicale.
L’amore al prossimo figurava già fra le prescrizioni antiche, e Cristo sembra ricalcarne la formulazione stessa (Levitico 19,18).
Eppure il Figlio non allude solo a compatrioti e proseliti della propria religione.
Egli abbatte le barriere sinora considerate ovvie.
Infatti l’amore reciproco è sulla medesima linea dell’incontro con se stessi - dove per grazia e vocazione si annida un possesso di ricchezze, di perfezioni crescenti, che vogliono affiorare.
Da tale scrigno-conoscenza, piattaforma solida, sorge l’afflato del poter donare la vita: ma per accrescerla, renderla piena e rallegrarla.
A partire non da condizionamenti esterni.
Infatti il comandamento è «nuovo» non solo perché edificante e di stimolo; perfino insuperabile, e in grado di soppiantare tutte le norme.
Anzitutto perché rivelatore della propria Vocazione.
Esso esprime un legame manifestativo, che diviene fondamento, motivo crescente e motore; energia lucida, che ci dà la capacità di spostare lo sguardo e voltare pagina.
Introduce una nuova età, un nuovo regno. Non unilaterale.
È cifra della vittoria di Pasqua, teofania e testimonianza del suo Popolo autentico: «non con misura» (Giovanni 3,31-36: 34).
Il «senza misura» è quello delle nozze mistiche fra le due “nature”, dell’amicizia intima che penetra la vita del Padre.
«Gloria» [irriducibile] dalle caratteristiche speciali.
Ora non vale più la morale delle filosofie antiche: la nostra è un’etica vocazionale e pasquale, nello Spirito che rinnova la faccia della terra.
Ogni proposito viene illuminato dalla vittoria della vita sulla morte. In tal guisa, il comportamento va configurato al Mistero.
Viviamo in Cristo, uomo nuovo: non siamo più sotto doveri “a posto” e prescrizioni.
L’attitudine battesimale non può venire ‘misurata’.
L’unzione e l’appello ricevuti rispondono all’intima passione, al senso di reciprocità e Pienezza personale, che trasbordano.
In tal guisa smuovono mète eminenti: nella partecipazione alla vita colma, eccesso non assimilabile a conformismi e orizzonti medi.
Per un pio israelita avere «gloria» è dare ‘peso’ specifico alla propria esistenza, e rivelare il suo completo valore - ma talora in senso elettivo.
Ben venga a fiorire il nostro completo ‘pondus’ e carattere e valore, che però germinano da tutto l’universo dentro, e dai diversi volti che ci appartengono; perfino dai ‘lati ombra’.
Ecco sbocciare la Pace-Presenza messianica; un senso d’Amicizia con tutto l’essere e le radici, con la storia e il segno dei tempi.
Perché quanto più si è umani senza doppiezze, e quanto più si è capaci di lettura degli eventi, nonché sensibili nel cogliere le potenze variegate - quel Qualcuno dentro qualcosa… tanto più si manifesta il Cielo che è in noi.
Questo l'emblema del comandamento Nuovo, il quale marca differenza. Integrando; facendo coesistere in noi gli opposti.
Nuova Alleanza; nuova armonia.
Che ci fa Compiuti a partire da dentro, come Gesù. Gloria del Padre, e dell’umanità.
[5a Domenica di Pasqua (anno C), 18 maggio 2025]