don Giuseppe Nespeca

don Giuseppe Nespeca

Giuseppe Nespeca è architetto e sacerdote. Cultore della Sacra scrittura è autore della raccolta "Due Fuochi due Vie - Religione e Fede, Vangeli e Tao"; coautore del libro "Dialogo e Solstizio".

Sabato, 21 Giugno 2025 03:11

Chi Sono, le Chiavi, la Fede, il Nome

Chi sono per voi, e le Chiavi della comunità aperta

(Mt 16,13-23)

 

A oltre metà della sua vita pubblica Gesù non ha ancora dato formule, ma fa una domanda impegnativa - che ha la pretesa di chiederci molto più delle usuali espressioni con struttura di legge.

Globalmente la folla può averlo accostato a personaggi eminenti come il Battista [colui che ha dimostrato di essere estraneo alle cortigianerie] o Elia [per la sua attività di denuncia degli idoli] o Geremia [l’oppositore della compravendita di benedizioni].

Ma Egli non è venuto - come i profeti antichi - a migliorare la situazione o rabberciare devozioni, né a purificare il Tempio, bensì a sostituirlo!

Le immagini della tradizione raffigurano Cristo in molti modi (per gli atei un filantropo), il più diffuso dei quali è ancora quello di un Signore antico, garante di comportamenti convenzionali.

Egli invece - per farci riflettere - porta i discepoli in un ambiente di cantiere [a nord della Palestina, Cesarea di Filippo era in costruzione], lontano dalla nomenclatura interessata della Città “santa”.

 

La mentalità comune valutava la riuscita della vita - e la verità di una religione - sulla base del successo, del dominio, dell’arricchimento, delle sicurezze in genere.

Il quesito che Gesù pone ai suoi fa trapelare una novità che soppianta tutto il sistema: la Chiamata si rivolge a ogni singola persona.

È una proposta di confine, al pari del luogo geografico simbolico della capitale del regno di Filippo, uno dei tre figli eredi di Erode il Grande: in Palestina, il punto più lontano dal centro della religiosità conformista.

Il Volto del «Figlio dell’uomo» è riconoscibile solo ponendo la massima distanza da schemi politici e veterani - altrimenti anche noi non saremmo in grado di percepirne la ‘luce’ personale.

Nella comunità di Mt si stava appunto facendo esperienza di una sempre più larga partecipazione di pagani, che prima si sentivano degli esclusi e man mano si integravano.

 

Per la nostra mentalità, le chiavi di casa servono a chiudere e serrare il portone, per non far entrare i malintenzionati.

In quella semitica, erano piuttosto icona dell’apertura dell’uscio.

 

Nel celebre capolavoro del Perugino sulla parete nord della Cappella Sistina, Gesù consegna al capo della Chiesa due chiavi: quella d’oro del Paradiso e quella d’argento del Purgatorio.

Ma il senso del brano non è l’Aldilà - anzi, non è neppure istituzionale. In ebraico il termine ‘chiave’ è derivante dal verbo ‘aprire’!

Massimo compito missionario dei responsabili di comunità è tenere il Regno dei Cieli spalancato, ossia garantire una Chiesa accogliente!

Pietro non deve ricalcare il tipo del monarca arrogante, immagine dell’autorità; sostitutiva dell’imperatore.

Simone deve farsi primo responsabile dell’accettazione di coloro che sono fuori.

Sembra strano per qualsiasi proposta antica, ove si supponeva che Dio temesse di rendersi impuro nel contatto col mondo.

Il Padre è Colui che osa di più.

Questo il motivo per cui Gesù impone severamente un totale silenzio messianico (v.20) alle labbra e al cervello antico degli Apostoli.

 

Pietro e i discepoli volevano tornare all’idea consueta de «il» Messia [cf. testo greco] atteso da tutti.

Un canovaccio troppo normale, incapace di rigenerarci.

 

 

Ma voi chi dite che io sia? La Fede di Pietro

 

Prendere distanza da ciò che si spera

 

Gesù guida i suoi lontano dal territorio dell’ideologia di potere e dal centro sacro dell’istituzione religiosa ufficiale - la Giudea.

Il Signore vuole che i suoi intimi prendano distanza da limitazioni e apprezzamenti.

Il relativo successo ottenuto dal Maestro in Galilea aveva infatti ravvivato le speranze di gloria (unilaterale) degli apostoli.

Il territorio di Cesarea di Filippo, all’estremo nord della Palestina, era incantevole; celebre per fertilità e pascoli rigogliosi. Zona famosa per la bellezza del contesto e la fecondità di greggi e armenti.

Anche i discepoli restano affascinati dal paesaggio e dalla vita agiata degli abitanti della regione; per non dire della magnificenza dei palazzi.

Il richiamo del contesto allude alle agiatezze che la religione pagana in genere propone; prosperità eccessiva che incantava i Dodici.

Cristo chiede agli apostoli - in pratica - cosa la gente si aspettasse da Lui. Così vuole si rendano conto degli effetti nefasti della loro stessa predicazione.

“Annuncio” che volentieri confondeva benedizioni materiali e spirituali.

 

Mentre gli Dei mostrano di saper colmare di beni i loro devoti - e una sfarzosa vita di corte che (appunto) ammaliava tutti - Cristo cosa offre?

Il Maestro si accorge che i discepoli erano ancora fortemente condizionati dalla propaganda del governo politico e religioso [vv.6.11] che assicurava benessere [vv.5-12; cf. Mt 15,32-38].

E Gesù li istruisce ancora, affinché almeno i suoi inviati possano superare la cecità e la crisi prodotta dalla sua Croce (v.21), dall’impegno richiesto nell’ottica del dono di sé.

Egli non è solo un continuatore dell’atteggiamento limpido del Battista, mai incline al compromesso nei confronti delle corti e dell’opulenza; né uno dei tanti restauratori della legge di Mosè, con lo zelo di Elia.

Neppure voleva limitarsi a purificare la religione da elementi spuri, ma addirittura sostituirsi al Tempio [Mt 21,12-17.18-19.42; 23,2.37-39; 24,30] - luogo dell’incontro tra il Padre e i suoi figli.

 

Su tale questione, in quel momento erano particolarmente vive le distanze non solo col paganesimo, ma anche le contrapposizioni tra giudei convertiti al Signore e osservanti secondo tradizione.

Infatti, nei libri sacri del giudaismo tardivo si parlava di grandi personaggi che avevano lasciato un’impronta nella storia d’Israele, e avrebbero dovuto riapparire per inaugurare i tempi messianici.

Anche all’interno delle comunità perseguitate di Galilea e Siria, Mt constata una scarsa capacità di comprensione, e tutta la difficoltà di abbracciare la nuova proposta - la quale non garantiva successo e riconoscimenti, né traguardi immediati.

(Sin dalle prime generazioni ci si rendeva conto che la Fede non si accorda facilmente con i primi impulsi umani: è invece sconcertante, per le vedute ovvie e le sue pulsioni).

Così il Maestro contraddice lo stesso Pietro [vv.20.23] la cui opinione restava legata all’idea conformista e popolaresca de «il» [vv.16.20: «quel»] Messia atteso.

 

Insomma, il capo degli apostoli - così debole nella Fede - può smetterla di indicare a Cristo quale strada percorrere «dietro» a lui [v.23] deviandolo!

Simone deve ricominciare a fare l’allievo; piantarla di tracciare a tutti vie riconosciute e opportuniste, sequestrando Dio in nome di Dio.

Il Signore è Colui che osa di più.

 

 

Una speciale nota sul tema del Nome:

 

Mentre per la nostra cultura è spesso un’etichetta, fra i popoli orientali il nome è tutt’uno con la persona, e la designa in modo speciale.

Per quanto si evince ad es. nel “secondo” comandamento, la forza del Nome ha un grande peso: è un conoscere il Soggetto (divino) nell’essenza e nel senso dell’agire; quasi un impossessarsi del suo potere.

Anche nella nostra tradizione orante, spirituale e mistica, il Nome proprio (es. Gesù) è stato spesso considerato quasi un’icona acustica della persona, comprensiva delle sue virtù; evocativa della sua presenza e potenza.

Nelle culture antiche, pronunciare il nome significava riuscire a cogliere il seme, il nucleo pregnante e globale della figura di riferimento.

Non di rado, anche nella nostra mentalità ha voluto esprimere un presagio, un mandato, un augurio, una benedizione, una vocazione, un destino, un compito, una chiamata, una missione [nomen (est) omen].

Ma qui si misura la differenza tra mentalità sacrale e Fede. Nelle religioni il nome proprio che il maestro o fondatore dona al discepolo è una sorta di cartello: colui il quale non avesse acume o fortuna, forza e coraggio di realizzarlo, sminuirebbe in dignità.

Invece Cristo coi suoi appellativi ci chiama a percorrere una strada,  certo - ma profondamente commisurata all’essenza.

Egli stimola all’esodo - non secondo modelli - perché prima fa rientrare la persona in se stessa. Affinché tutti ci mettiamo in gioco nel profondo e sino all’estremo che corrisponde.

Primo passo: incontrarci a tutto tondo; nei diversi versanti, anche sorprendenti, inespressi o sconosciuti - in genere, caratteri inimmaginabili secondo regola e nomenclature.

Persino i nostri modi di essere eccentrici, ambigui, in ombra o addirittura rifiutati in prima persona: si riveleranno lungo la Via i lati migliori di noi stessi.

Solo in questo binario plurale troviamo la strada per un’avventura densa di senso; non meccanica, né ripetitiva - bensì somigliante alla vita: sempre nuova e autentica.

Non a partire dalle esteriorità di facciata o di calcolo: c’è una firma d’Autore che precede, nella edificazione di noi stessi e del mondo.

 

Passando fra i diversi cantieri della città di Filippo, Gesù ha invece voluto paragonare Simone ai materiali inerti e accatastati (in modo anche confusionario) che si trovava di fronte.

Quella condizione coglieva la radice delle aspettative apostoliche!

I discepoli non davano ancora spazio al Mistero in loro stessi, all’idea di una salvezza segreta, che erompe con energia propria, innata; che supera i sogni comuni.

Cefa deriva infatti dall’aramaico Kefas: pietra da costruzione; qualcosa di duro: praticamente, un testardo come tanti; nulla di speciale, anzi. Gesù affibbia a Simone un soprannome negativo!

Infatti il termine greco «petros» [v.18] non è nome proprio: indica un sasso (raccolto da terra) che può essere sì utile a una costruzione - se ovviamente si lascia compaginare. E che non solo sostiene, ma è sostenuto; che non solo aggrega, ma viene aggregato.

Attenzione: il termine greco «petra» [v.18] non è il femminile di «petros»: indica «roccia», e si riferisce alla Persona di Cristo unica sicurezza (assieme alla Fede in Lui).

Appellativo che cambia imprevedibilmente tutta una vita. Solo l’Amico interiore infatti trae dal nostro [anche cattivo] bagaglio l’imprevedibile che sgorga.

 

Ciascuno viene cesellato dal Signore secondo il nome Pietro, nel senso di tassello particolare, elemento individuo e speciale.

Collocato in modo singolare ma in un grande mosaico: quello della storia della salvezza, dove ciascuno è contemporaneamente se stesso e in continua fase di rigenerazione.

Unico sentimento di appartenenza delle molte pietre da costruzione (tutte viventi): la convivialità delle differenze, la comunione delle disparate membra fraterne nella Chiesa ministeriale.

Nessuna per sempre, ma ovunque (incessantemente) nuclei pulsanti di un’istituzione sommaria e tutta raccolta da terra... Liberata gratis.

 

 

Solennità dei Ss. Pietro e Paolo,  29 giugno

 

Dissimili: differenza fra religiosità e Fede (la Chiesa che verrà)

 

In un’identica data la Chiesa celebra Discepoli dissimili.

Entrambi del tutto lontani da modelli di santità conforme e non eccentrica - anzi divagante, non rassicurante né quieta.

Uno cresce accumulando esperienze incerte: un po’ Pietro (testardo e ostile), un po’ Simone (discepolo, ma raramente), un po’ Simon Pietro (pro e contro, coi piedi in due staffe).

L’altro cresce sì, ma per caduta immediata dall’ideologia dello stare e sentirsi più puro e in alto degli altri:

in un attimo, dal “destriero” focoso dei capi e giudicanti, al ceto popolare capace di ascolto e benevolenza.

D’improvviso, da Saulo a Paolo.

Il primo, Apostolo per smania e lunga consuetudine [nell’andirivieni], l’altro per Chiamata diretta. Non per imposizione di mani da parte di superiori dalla vita pia che avrebbero dovuto saperla più lunga di lui.

Vocazione immediata - essa sconvolge, capovolge il modo di vedere.

Nessuno dei due Protagonisti, figlio devoto e obbediente: entrambi piuttosto cocciuti e smaniosi, ma ciascuno a modo suo; in maniera incerta e diplomatica, o tagliente.

A lungo inquieti e persino oppositori del Cristo.

 

Anche nell’Annuncio, nella Catechesi, nell’Animazione, nella Pastorale e nelle opere di carità iniziamo ad accorgerci che il punto di partenza dell’Evangelizzazione non è quello solito, rassicurante, che solo insegna agli altri [e trasmette finte sicurezze].

L’input è suscitare interrogativi, che coinvolgono in prima persona.

E qualsiasi iniziativa è utile in primo luogo a migliorare chi la propone - non le folle che non avrebbero consapevolezze.

Questo il perno dell’atteggiamento verso il bene pieno e la realizzazione di ogni essere umano.

 

Nell’unità della Fede confluiscono diversità di Doni.

Non siamo chiamati a fare i paternalisti, né i pompieri: subito a spegnere fuocherelli che neppure conosciamo ma ardono bene (solo oltre la cappa del camino di casa nostra).

La Chiesa che verrà dipende anche dalla nostra forma mentis.

Cardine della Tradizione viva è credere nel mondo a venire - non malgrado, bensì grazie alle sue difformità.

L’amore divino si manifesta, si fa presente, interviene in molti modi.

Le scintille che alimentano la Fiamma dello Spirito sono variegate: tutte illuminano e riscaldano il mondo... a meno che non le si costruisca attorno un muro di refrattari.

Ciò talora capita sul territorio, ad opera di cordate. Con giovani astuzie già normalizzate, o parrucconi timorosi di perdere privilegi sui quali galleggiano.

Un panorama di astuzie e acque chete, già morta.

 

Ma nel Cristo personale anche la nostra insicurezza apre sentieri inesplorati verso nuovi mondi.

Ogni missionario conosce la sua ‘certezza’ qual frutto d’un punto interrogativo.

Valore aggiunto che non sa; prodotto d’una forza primordiale che sorge dal caos delle sue o altrui prevedibilità.

La formazione variegata e persino lo scompiglio delle sfaccettature diventano luogo della Pace.

Possibilità d’Immenso, invece che appiglio per un arretramento sotto pena di castigo tipico di condanne religiose.

 

Mentre dottrina e disciplina inoculano certezze e aspettative ostinate che ci farebbero viaggiare solo su binari già tracciati, la Fede si lascia guidare dalla Provvidenza manifestata nella vita reale, che sorprende.

Un’adesione, una Relazione creativa - la Fede - dalla misteriosa Energia, sempre pura, nitida, trasparente, intatta, incontaminata.

Appello per Nome che porta a tu per tu con noi stessi e Dio, senza mai spersonalizzare.

Solo così rendendo concordi. È la chiesa che verrà.

Infatti, gli incerti che non sanno tirare subito le somme vanno sino in fondo: non abbandonano, non emarginano, non tradiscono; non usano la posizione religiosa come un’arma di ricatto.

Non fanno il male.

 

«Quando il tessitore alza un piede, l’altro si abbassa. Quando il movimento cessa e uno dei piedi si ferma, il tessuto non si fa più. Le sue mani lanciano la spola che passa dall’una all’altra; ma nessuna mano può sperare di tenerla. Come i gesti del tessitore, è l’unione dei contrari a tessere la nostra vita».

[Tradizione orale africana Peul]

 

Omaggio al Poliedro e non allo Sfero. Diversità e Pluralità significa spazio per ciascuno di noi, così com’è. Dilatato, non “migliore”.

Non omogeneo, non regolare, non omologato. Anche se la catena di comando locale non vuole.

Omaggio alla chiesa? Non quella uniforme e standard. La strana coppia Pietro e Paolo non lo è stata.

 

Omaggio alla Chiesa, Omaggio alla vita.

 

Sabato, 21 Giugno 2025 03:07

Molteplicità che diventa Unità

Cattolicità significa universalità – molteplicità che diventa unità; unità che rimane tuttavia molteplicità. Dalla parola di Paolo sulla universalità della Chiesa abbiamo già visto che fa parte di questa unità la capacità dei popoli di superare se stessi, per guardare verso l’unico Dio. Il vero fondatore della teologia cattolica, sant'Ireneo di Lione, ha espresso questo legame tra cattolicità e unità in modo molto bello: "Questa dottrina e questa fede la Chiesa disseminata in tutto il mondo custodisce diligentemente formando quasi un'unica famiglia: la stessa fede con una sola anima e un solo cuore, la stessa predicazione, insegnamento, tradizione come avesse una sola bocca. Diverse sono le lingue secondo le regioni, ma unica e medesima è la forza della tradizione. Le Chiese di Germania non hanno una fede o tradizione diversa, come neppure quelle di Spagna, di Gallia, di Egitto, di Libia, dell'Oriente, del centro della terra; come il sole creatura di Dio è uno solo e identico in tutto il mondo, così la luce della vera predicazione splende dovunque e illumina tutti gli uomini che vogliono venire alla cognizione della verità" (Adv. haer. I 10,2). L'unità degli uomini nella loro molteplicità è diventata possibile perché Dio, questo unico Dio del cielo e della terra, si è mostrato a noi; perché la verità essenziale sulla nostra vita, sul nostro "di dove?" e "verso dove?", è diventata visibile quando Egli si è mostrato a noi e in Gesù Cristo ci ha fatto vedere il suo volto, se stesso. Questa verità sull’essenza del nostro essere, sul nostro vivere e sul nostro morire, verità che da Dio si è resa visibile, ci unisce e ci fa diventare fratelli. Cattolicità e unità vanno insieme. E l’unità ha un contenuto: la fede che gli Apostoli ci hanno trasmesso da parte di Cristo.

[Papa Benedetto, 29 giugno 2005]

Sabato, 21 Giugno 2025 03:04

Domanda sull’identità

1. "Voi chi dite che io sia?" (Mt 16,15).

Questa domanda circa la sua identità Gesù la pone ai discepoli, mentre si trova con loro nell'alta Galilea. Era accaduto più volte che fossero loro a porre delle domande a Gesù; ora è Lui che li interpella. La sua è una domanda precisa, che attende una risposta. Per tutti prende la parola Simon Pietro: "Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente" (Mt 16,16).

La risposta è straordinariamente lucida. Vi si rispecchia in modo perfetto la fede della Chiesa. In essa ci rispecchiamo anche noi. In modo particolare, si rispecchia nelle parole di Pietro il Vescovo di Roma, per volontà divina suo successore. E intorno a lui e con lui, vi rispecchiate in tali parole voi, cari Arcivescovi Metropoliti, qui convenuti da tante parti del mondo per ricevere il Pallio nella solennità dei santi Pietro e Paolo.

A ciascuno di voi rivolgo il mio più cordiale saluto; saluto che volentieri estendo a quanti vi hanno accompagnato a Roma ed alle vostre Comunità, spiritualmente a noi unite in questa solenne circostanza.

2. "Tu sei il Cristo!". Alla confessione di Pietro Gesù replica: "Beato te, Simone figlio di Giona, perché né la carne né il sangue te l'hanno rivelato, ma il Padre mio che sta nei cieli" (Mt 16,17).

Beato te, Pietro! Beato, perché questa verità, che è centrale nella fede della Chiesa, non poteva emergere nella tua consapevolezza di uomo, se non per opera di Dio. "Nessuno - ha detto Gesù - conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare" (Mt 11,27).

Noi riflettiamo su questa pagina di Vangelo singolarmente densa: il Verbo incarnato aveva rivelato il Padre ai suoi discepoli; ora è il momento che lo stesso Padre rivela ad essi il Figlio suo unigenito. Pietro accoglie l'illuminazione interiore e proclama con coraggio: "Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente"!

Queste parole sulle labbra di Pietro provengono dal profondo del mistero di Dio. Rivelano l'intima verità, la vita stessa di Dio. E Pietro, sotto l'azione dello Spirito divino, diventa testimone e confessore di questa sovrumana verità. La sua professione di fede costituisce così la solida base della fede della Chiesa: "Su di te edificherò la mia Chiesa" (Mt 16,18). Sulla fede e sulla fedeltà di Pietro è edificata la Chiesa di Cristo.

Ne era ben consapevole la prima comunità cristiana che, come narrano gli Atti degli Apostoli, quando Pietro si trovò in prigione, si raccolse per elevare a Dio una preghiera accorata per lui (cfr At 12,5). Fu ascoltata, perché la presenza di Pietro era ancora necessaria alla comunità che muoveva i suoi primi passi: il Signore inviò il suo angelo a liberarlo dalle mani dei persecutori (cfr ibid., 12, 7-11). Era scritto nei disegni di Dio che Pietro, dopo aver confermato a lungo nella fede i suoi fratelli, avrebbe ricevuto il martirio qui a Roma, insieme con Paolo, l'Apostolo delle genti, anch'egli più volte scampato alla morte.

3. "Il Signore mi è stato vicino e mi ha dato forza, perché per mio mezzo si compisse la proclamazione del messaggio e potessero sentirlo tutti i Gentili" (2 Tm 4,17). Sono parole di Paolo al fedele discepolo Timoteo: le abbiamo ascoltate nella seconda Lettura. Esse rendono testimonianza dell'opera in lui compiuta dal Signore, che lo aveva scelto come ministro del Vangelo, "afferrandolo" sulla via di Damasco (cfr Fil 3,12).

Avvolto in una luce sfolgorante, il Signore gli si era presentato dicendo: "Saulo, Saulo, perché mi perseguiti?" (At 9,4), mentre una potenza misteriosa lo gettava a terra (cfr At 9,5). "Chi sei, o Signore?", aveva chiesto Saulo. "Io sono Gesù, che tu perseguiti!" (At 9,5). Fu questa la risposta di Cristo. Saulo perseguitava i seguaci di Gesù e Gesù gli faceva sapere che era Lui stesso ad essere perseguitato in loro. Lui, Gesù di Nazareth, il Crocifisso, che i cristiani affermavano essere risorto. Se, ora, Saulo ne sperimentava la potente presenza, era chiaro che Dio l'aveva realmente risuscitato dai morti. Era proprio Lui il Messia atteso da Israele, era Lui il Cristo vivo e presente nella Chiesa e nel mondo!

Avrebbe potuto Saulo con la sola sua ragione comprendere tutto ciò che un simile evento comportava? Certamente no! Era parte infatti dei disegni misteriosi di Dio. Sarà il Padre a dare a Paolo la grazia di conoscere il mistero della redenzione, operata in Cristo. Sarà Dio a permettergli di capire la stupenda realtà della Chiesa, che vive per Cristo, con Cristo e in Cristo. Ed egli, diventato partecipe di questa verità, non cesserà di proclamarla instancabilmente fino agli estremi confini della terra.

Da Damasco Paolo inizierà il suo itinerario apostolico che lo porterà a diffondere il Vangelo in tante parti del mondo allora conosciuto. Il suo slancio missionario contribuirà così alla realizzazione del mandato di Cristo agli Apostoli: "Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni..." (Mt 28,19).

4. Carissimi Fratelli nell'Episcopato venuti per ricevere il Pallio, la vostra presenza pone in eloquente risalto la dimensione universale della Chiesa scaturita dal comando del Signore: "Andate ... e ammaestrate tutte le nazioni" (Mt 28,19).

Voi provenite, infatti, da quindici Paesi di quattro continenti, e siete stati chiamati dal Signore ad essere Pastori di Chiese Metropolitane. L'imposizione del Pallio ben sottolinea il particolare vincolo di comunione che vi lega alla Sede di Pietro e manifesta l'indole cattolica della Chiesa.

Ogni volta che indosserete questi Palli, ricordate, Fratelli carissimi, che come Pastori siamo chiamati a salvaguardare la purezza del Vangelo e l'unità della Chiesa di Cristo, fondata sulla "roccia" della fede di Pietro. A questo ci chiama il Signore; questa è la nostra irrinunciabile missione di guide previdenti del gregge che il Signore ci ha affidato.

5. La piena unità della Chiesa! Sento echeggiare in me la consegna di Cristo. E' una consegna quanto mai urgente in quest'inizio di nuovo millennio. Per questo preghiamo ed operiamo senza mai stancarci di sperare.

Con questi sentimenti, abbraccio e saluto con affetto la delegazione del Patriarcato Ecumenico di Costantinopoli, venuta per celebrare con noi la memoria liturgica di Pietro e di Paolo. Grazie, venerati Fratelli, per la vostra presenza e per la vostra cordiale partecipazione a questa solenne Celebrazione liturgica. Ci conceda Iddio di pervenire quanto prima alla piena unità di tutti i credenti in Cristo.

Ci ottengano questo dono gli Apostoli Pietro e Paolo, che la Chiesa di Roma ricorda in questo giorno, nel quale si fa memoria del loro martirio, e perciò della loro nascita alla vita in Dio. Per il Vangelo essi hanno accettato di soffrire e di morire e sono diventati partecipi della risurrezione del Signore. La loro fede, confermata dal martirio, è la stessa fede di Maria, la Madre dei credenti, degli Apostoli, dei santi e delle sante di tutti i secoli.

Oggi la Chiesa proclama nuovamente la loro fede. E' la nostra fede, l'immutabile fede della Chiesa in Gesù unico Salvatore del mondo; in Cristo, il Figlio del Dio vivente, morto e risorto per noi e per l'intera umanità.

[Papa Giovanni Paolo II, 29 giugno 2000]

Sabato, 21 Giugno 2025 02:56

Sorreggono l’edificio della Chiesa

I Santi Pietro e Paolo, che festeggiamo oggi, nelle icone sono a volte raffigurati mentre sorreggono l’edificio della Chiesa. Questo ci ricorda le parole del Vangelo odierno, in cui Gesù dice a Pietro: «Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa» (Mt 16,18). È la prima volta che Gesù pronuncia la parola “Chiesa”, ma più che sul sostantivo vorrei invitarvi a pensare all’aggettivo, che è un possessivo, “mia”: la mia Chiesa. Gesù non parla della Chiesa come di una realtà esterna, ma esprime il grande amore che nutre per lei: la mia Chiesa. È affezionato alla Chiesa, a noi. San Paolo scrive: «Cristo ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei» (Ef 5,25), cioè, spiega l’Apostolo, Gesù ama la Chiesa come sua sposa. Per il Signore noi non siamo un gruppo di credenti o un’organizzazione religiosa, siamo la sua sposa. Egli guarda con tenerezza la sua Chiesa, la ama con fedeltà assoluta, nonostante i nostri errori e tradimenti. Come quel giorno a Pietro, oggi dice a tutti noi: “mia Chiesa, voi siete mia Chiesa”.

E possiamo ripeterlo anche noi: mia Chiesa. Non lo diciamo con un senso di appartenenza esclusivo, ma con un amore inclusivo. Non per differenziarci dagli altri, ma per imparare la bellezza di stare con gli altri, perché Gesù ci vuole uniti e aperti. La Chiesa, infatti, non è “mia” perché risponde al mio io, alle mie voglie, ma perché io vi riversi il mio affetto. È mia perché me ne prenda cura, perché, come gli Apostoli nell’icona, anch’io la sorregga. Come? Con l’amore fraterno. Col nostro amore fraterno possiamo dire: la mia Chiesa.

In un’altra icona i Santi Pietro e Paolo sono ritratti mentre si stringono a vicenda in un abbraccio. Fra loro erano molto diversi: un pescatore e un fariseo con esperienze di vita, caratteri, modi di fare e sensibilità alquanto differenti. Non mancarono tra loro opinioni contrastanti e dibattiti franchi (cfr Gal 2,11 ss.). Ma quello che li univa era infinitamente più grande: Gesù era il Signore di entrambi, insieme dicevano “mio Signore” a Colui che dice “mia Chiesa”. Fratelli nella fede, ci invitano a riscoprire la gioia di essere fratelli e sorelle nella Chiesa. In questa festa, che unisce due Apostoli tanto diversi, sarebbe bello che anche ognuno di noi dica: “Grazie, Signore, per quella persona diversa da me: è un dono per la mia Chiesa”. Siamo diversi ma questo ci arricchisce, è la fratellanza. Fa bene apprezzare le qualità altrui, riconoscere i doni degli altri senza malignità e senza invidie. L’invidia! L’invidia provoca amarezza dentro, è aceto sul cuore. Gli invidiosi hanno uno sguardo amaro. Tante volte, quando uno trova un invidioso, viene voglia di domandare: ma con che ha fatto colazione oggi, col caffelatte o con l’aceto? Perché l’invidia è amara. Rende amara la vita. Quant’è bello invece sapere che ci apparteniamo a vicenda, perché condividiamo la stessa fede, lo stesso amore, la stessa speranza, lo stesso Signore. Ci apparteniamo gli uni gli altri e questo è splendido, dire: la nostra Chiesa! Fratellanza.

Alla fine del Vangelo Gesù dice a Pietro: «Pasci le mie pecore» (Gv 21,17). Parla di noi e dice “le mie pecore” con la stessa tenerezza con cui diceva mia Chiesa. Con quanto amore, con quanta tenerezza ci ama Gesù! Ci sente suoi. Ecco l’affetto che edifica la Chiesa. Per intercessione degli Apostoli, chiediamo oggi la grazia di amare la nostra Chiesa. Chiediamo occhi che sappiano vedere in essa fratelli e sorelle, un cuore che sappia accogliere gli altri con l’amore tenero che Gesù ha per noi. E chiediamo la forza di pregare per chi non la pensa come noi – questo la pensa altrimenti, prego per lui – pregare e amare, che è il contrario di sparlare, magari alle spalle. Mai sparlare, pregare e amare. La Madonna, che portava concordia tra gli Apostoli e pregava con loro (cfr At 1,14), ci custodisca come fratelli e sorelle nella Chiesa.

[Papa Francesco, Angelus 29 giugno 2019]

Già ribelle: Vocazione particolare

(Lc 2,41-51)

 

Il passo di Vangelo sconcerta, perché sembra ritrarre una famiglia distratta e un Gesù autentico, sorprendente, già scontroso e ribelle.

Lc scrive a più di mezzo secolo dalla morte e risurrezione del Signore, e vuol far trasparire la caratura di Fede e l’inclinazione delle sue comunità ancora in ricerca.

La storia cruenta del Maestro andava infatti compresa e interiorizzata come non era immediato intuire; neppure per i più intimi del Messia.

 

Sembra che la sacra Famiglia salisse a Gerusalemme ogni anno per la Pasqua (v.41).

Prima che in Israele si diventasse adulti e tenuti all’osservanza della Torah [13 anni] già il nostro Adolescente mostra segni di vocazione particolare.

Dal tono della narrazione si nota un Gesù desideroso di abbeverarsi e immergersi nel Mistero ancora inespresso del Padre.

Sognando di scoprire la sua Volontà, si trattiene nella città santa per comprendere a fondo la Parola di Dio - senz’accontentarsi dei catechismi impersonali, abbreviati.

 

Le prime espressioni di Gesù nel terzo Vangelo segnano il carattere di tutta la sua vicenda.

Egli si distacca con decisione dalla religiosità dei ‘padri’ (v.49).

Inizia a prendere distanza dalle idee comuni anche alla sua famiglia di origine: non appartiene a un clan definito.

La sua sarà una proposta divina in favore di tutte le donne e gli uomini del mondo.

In tal senso, Gesù ha ancor più onorato la fedeltà a Dio dei suoi genitori (vv.51-52) accogliendo l’intero spirito dei loro insegnamenti, e scavando oltre - intuendone il significato ultimo.

Come dire: in Lui le sacre Scritture divengono accessibili, con la chiave di lettura dell’intera sua vicenda e Persona.

Vita per noi - anche prima del Battesimo e della vicenda pubblica.

 

Lc scrive per incoraggiare i credenti che ancora non comprendevano tutto della personalità [e l’esito drammatico] del nuovo Rabbi.

Come Giuseppe e Maria, essi dovevano rendersi conto che non è facile capire il Figlio di Dio e accettarne l’unicità di carattere, sino alla sconfitta terrena.

 

Nella figura della sacra Famiglia, anche noi siamo invitati a «tornare a Gerusalemme» (v.45).

Qui, osservando l’autonomia di Cristo, gradualmente sapremo aprirci alla vocazione inedita che portiamo dentro - perché ‘rinati’ in Lui.

E di fronte agli accadimenti sconcertanti, impareremo a custodire la Chiamata personale - come Maria. 

Perché anche Lei non ha trovato facile introdursi nella sua Pasqua: il ‘passaggio’ dalla religione delle tradizioni e delle attese alla Fede nel Figlio.

Ma «conservava attraverso» Parola ed eventi (v.51b), senza fermarsi a metà.

 

Il movimento della Salvezza familiarizza tutti nelle dinamiche di smarrimento [dalle ristrettezze] e ritrovamento [di una Presenza dentro le difformi presenze] allo scopo di non restringere gli orizzonti.

 

 

[Cuore Immacolato della Beata Vergine Maria, 28 giugno 2025]

Già ribelle: Vocazione particolare

(Lc 2,41-51)

 

La famiglia è nucleo della società e luogo privilegiato del rischio educativo, non l’unico.

È una tappa preziosa della crescita, ma non deve coartare la fioritura nella dimensione universale.

Il movimento della Salvezza familiarizza tutti nelle dinamiche di smarrimento [dalle ristrettezze] e ritrovamento [di una Presenza dentro le difformi presenze] allo scopo di non restringere gli orizzonti.

Il ripiegamento compiaciuto sul mondo degli affetti e interessi di parentela riduce la dimensione delle frontiere vitali, rendendo angusta la vita personale e di casata; culturale, sociale e spirituale.

Il focolare domestico deve integrare nella comunità, e introdurre i giovani alla conoscenza del carattere innato della propria vocazione, affinché crescendo si rendano disponibili e maturino in una realtà sempre più larga.

La famiglia che si fa trampolino prelude il distacco, che nel suo taglio sarà doloroso per tutti - ma diventerà uno spiccare il volo dal nido protetto che rende schiavi; un balzo verso la libertà della vita piena.

 

Il passo di Vangelo sconcerta, perché sembra ritrarre una famiglia distratta e un Gesù già scontroso e ribelle.

Lc scrive a più di mezzo secolo dalla morte e risurrezione del Signore, e vuol far trasparire la Fede e l’inclinazione delle sue comunità.

La vicenda tragica del Maestro viene compresa e interiorizzata come forse Giuseppe e Maria non avrebbero potuto ancora intuire, nella sua adolescenza.

Riconoscere Gesù Figlio di Dio fin dai dodici anni significava nella letteratura dell’epoca “coprire” tutta la sua vita [cf. Lc 24].

 

Sembra che la sacra Famiglia salisse a Gerusalemme ogni anno per la Pasqua (v.41).

Prima che in Israele si diventasse adulti e tenuti all’osservanza della Torah (13 anni) già il nostro Adolescente mostra segni di vocazione particolare.

Dal tono della narrazione si nota un Gesù desideroso di abbeverarsi e immergersi nel Mistero ancora inespresso del Padre.

Sognando di scoprire la sua Volontà, si trattiene nella città santa per comprendere a fondo la Parola di Dio - senz’accontentarsi dei catechismi impersonali, abbreviati.

Le prime espressioni di Gesù nel terzo Vangelo segnano il carattere di tutta la sua vicenda. Egli si distacca con decisione dalla religiosità dei padri (v.49).

Inizia a prendere distanza dalle idee comuni anche alla sua famiglia di origine: non appartiene a un clan definito.

La sua sarà una proposta divina in favore di tutte le donne e gli uomini del mondo.

In tal senso, Gesù ha ancor più onorato la fedeltà a Dio dei suoi genitori (vv.51-52) accogliendo l’intero spirito dei loro insegnamenti, e scavando oltre - intuendone il significato ultimo.

Come dire: in Lui le sacre Scritture divengono accessibili, con la chiave di lettura dell’intera sua vicenda e Persona.

Vita per noi (anche prima del Battesimo e della vicenda pubblica).

 

Lc scrive per incoraggiare i credenti che ancora non comprendevano tutto della vicenda del nuovo Rabbi.

Come Giuseppe e Maria, essi dovevano rendersi conto che non è facile capire il Figlio di Dio e accettarne l’unicità di carattere, sino alla sconfitta terrena.

 

Nella figura della sacra Famiglia, anche noi siamo invitati a «tornare a Gerusalemme» (v.45).

Qui, osservando l’autonomia di Cristo, gradualmente sapremo aprirci alla vocazione inedita che portiamo dentro - perché “rinati” in Lui.

E di fronte agli accadimenti sconcertanti, impareremo a custodire la Chiamata personale - come Maria. 

Perché anche Lei non ha trovato facile introdursi nella sua Pasqua: il “passaggio” dalla religione delle tradizioni e delle attese alla Fede nel Figlio.

 

Ma «conservava attraverso» Parola ed eventi (v.51b), senza fermarsi a metà.

 

 

L’aspetto riflessivo della Casa di Nazaret

 

La casa di Nazareth è la scuola dove si è iniziati a comprendere la vita di Gesù, cioè la scuola del Vangelo. Qui si impara ad osservare, ad ascoltare, a meditare, a penetrare il significato così profondo e così misterioso di questa manifestazione del Figlio di Dio tanto semplice, umile e bella. Forse anche impariamo, quasi senza accorgercene, ad imitare.
Qui impariamo il metodo che ci permetterà di conoscere chi è il Cristo. Qui scopriamo il bisogno di osservare il quadro del suo soggiorno in mezzo a noi: cioè i luoghi, i tempi, i costumi, il linguaggio, i sacri riti, tutto insomma ciò di cui Gesù si servì per manifestarsi al mondo.
Qui tutto ha una voce, tutto ha un significato. Qui, a questa scuola, certo comprendiamo perché dobbiamo tenere una disciplina spirituale, se vogliamo seguire la dottrina del Vangelo e diventare discepoli del Cristo. Oh! come volentieri vorremmo ritornare fanciulli e metterci a questa umile e sublime scuola di Nazareth! Quanto ardentemente desidereremmo di ricominciare, vicino a Maria, ad apprendere la vera scienza della vita e la superiore sapienza delle verità divine! Ma noi non siamo che di passaggio e ci è necessario deporre il desiderio di continuare a conoscere, in questa casa, la mai compiuta formazione all’intelligenza del Vangelo. Tuttavia non lasceremo questo luogo senza aver raccolto, quasi furtivamente, alcuni brevi ammonimenti dalla casa di Nazareth.
In primo luogo essa ci insegna il silenzio. Oh! se rinascesse in noi la stima del silenzio, atmosfera ammirabile ed indispensabile dello spirito: mentre siamo storditi da tanti frastuoni, rumori e voci clamorose nella esagitata e tumultuosa vita del nostro tempo. Oh! silenzio di Nazareth, insegnaci ad essere fermi nei buoni pensieri, intenti alla vita interiore, pronti a ben sentire le segrete ispirazioni di Dio e le esortazioni dei veri maestri. Insegnaci quanto importanti e necessari siano il lavoro di preparazione, lo studio, la meditazione, l’interiorità della vita, la preghiera, che Dio solo vede nel segreto.
Qui comprendiamo il modo di vivere in famiglia. Nazareth ci ricordi cos’è la famiglia, cos’è la comunione di amore, la sua bellezza austera e semplice, il suo carattere sacro ed inviolabile; ci faccia vedere com’è dolce ed insostituibile l’educazione in famiglia, ci insegni la sua funzione naturale nell’ordine sociale. Infine impariamo la lezione del lavoro. Oh! dimora di Nazareth, casa del Figlio del falegname! Qui soprattutto desideriamo comprendere e celebrare la legge, severa certo ma redentrice della fatica umana; qui nobilitare la dignità del lavoro in modo che sia sentita da tutti; ricordare sotto questo tetto che il lavoro non può essere fine a se stesso, ma che riceve la sua libertà ed eccellenza, non solamente da quello che si chiama valore economico, ma anche da ciò che lo volge al suo nobile fine; qui infine vogliamo salutare gli operai di tutto il mondo e mostrar loro il grande modello, il loro divino fratello, il profeta di tutte le giuste cause che li riguardano, cioè Cristo nostro Signore.

[Papa Paolo VI, Chiesa dell’Annunciazione Nazareth 5 gennaio 1964]

Venerdì, 20 Giugno 2025 03:45

Consacrazione dei sacerdoti

Madre Immacolata,

in questo luogo di grazia,

convocati dall'amore del Figlio tuo Gesù,

Sommo ed Eterno Sacerdote, noi,

figli nel Figlio e suoi sacerdoti,

ci consacriamo al tuo Cuore materno,

per compiere con fedeltà la Volontà del Padre.

Siamo consapevoli che, senza Gesù,

non possiamo fare nulla di buono (cfr Gv 15,5)

e che, solo per Lui, con Lui ed in Lui,

saremo per il mondo

strumenti di salvezza.

Sposa dello Spirito Santo,

ottienici l'inestimabile dono

della trasformazione in Cristo.

Per la stessa potenza dello Spirito che,

estendendo su di Te la sua ombra,

ti rese Madre del Salvatore,

aiutaci affinché Cristo, tuo Figlio,

nasca anche in noi.

Possa così la Chiesa

essere rinnovata da santi sacerdoti,

trasfigurati dalla grazia di Colui

che fa nuove tutte le cose.

Madre di Misericordia,

è stato il tuo Figlio Gesù che ci ha chiamati

a diventare come Lui:

luce del mondo e sale della terra

(cfr Mt 5, 13-14).

Aiutaci,

con la tua potente intercessione,

a non venir mai meno a questa sublime vocazione,

a non cedere ai nostri egoismi,

alle lusinghe del mondo

ed alle suggestioni del Maligno.

Preservaci con la tua purezza,

custodiscici con la tua umiltà

e avvolgici col tuo amore materno,

che si riflette in tante anime

a te consacrate

diventate per noi

autentiche madri spirituali.

Madre della Chiesa,

noi, sacerdoti,

vogliamo essere pastori

che non pascolano se stessi,

ma si donano a Dio per i fratelli,

trovando in questo la loro felicità.

Non solo a parole, ma con la vita,

vogliamo ripetere umilmente,

giorno per giorno,

il nostro "eccomi".

Guidati da te,

vogliamo essere Apostoli

della Divina Misericordia,

lieti di celebrare ogni giorno

il Santo Sacrificio dell'Altare

e di offrire a quanti ce lo chiedono

il sacramento della Riconciliazione.

Avvocata e Mediatrice della grazia,

tu che sei tutta immersa

nell'unica mediazione universale di Cristo,

invoca da Dio, per noi,

un cuore completamente rinnovato,

che ami Dio con tutte le proprie forze

e serva l'umanità come hai fatto tu.

Ripeti al Signore

l'efficace tua parola:

"non hanno più vino" (Gv 2,3),

affinché il Padre e il Figlio riversino su di noi,

come in una nuova effusione,

lo Spirito Santo.

Pieno di stupore e di gratitudine

per la tua continua presenza in mezzo a noi,

a nome di tutti i sacerdoti,

anch'io voglio esclamare:

"a che cosa devo che la Madre del mio Signore

venga a me?" (Lc 1,43)

Madre nostra da sempre,

non ti stancare di "visitarci",

di consolarci, di sostenerci.

Vieni in nostro soccorso

e liberaci da ogni pericolo

che incombe su di noi.

Con questo atto di affidamento e di consacrazione,

vogliamo accoglierti in modo

più profondo e radicale,

per sempre e totalmente,

nella nostra esistenza umana e sacerdotale.

La tua presenza faccia rifiorire il deserto

delle nostre solitudini e brillare il sole

sulle nostre oscurità,

faccia tornare la calma dopo la tempesta,

affinché ogni uomo veda la salvezza

del Signore,

che ha il nome e il volto di Gesù,

riflesso nei nostri cuori,

per sempre uniti al tuo!

Così sia!

[Papa  Benedetto, Fatima 12 maggio 2010]

Venerdì, 20 Giugno 2025 03:37

Affidamento

La famiglia è il cuore della Chiesa. Si innalzi oggi da questo cuore un atto di particolare affidamento al cuore della Genitrice di Dio.

Nell’Anno Giubilare della Redenzione vogliamo confessare che l’amore è più grande del peccato e di ogni male, che minaccia l’uomo e il mondo.

Con umiltà invochiamo questo amore:

1. “Sotto la tua protezione cerchiamo rifugio, santa Madre di Dio”!

Pronunciando le parole di questa antifona, con la quale la Chiesa di Cristo prega da secoli, ci troviamo oggi dinanzi a te, Madre, nell’Anno Giubilare della nostra Redenzione.

Ci troviamo uniti con tutti i pastori della Chiesa, in un particolare vincolo, costituendo un corpo e un collegio, così come per volontà di Cristo gli apostoli costituivano un corpo e un collegio con Pietro.

Nel vincolo di tale unità, pronunziamo le parole del presente atto, in cui desideriamo racchiudere, ancora una volta, le speranze e le angosce della Chiesa per il mondo contemporaneo.

Quaranta anni fa, e poi ancora dieci anni dopo, il tuo servo, il papa Pio XII, avendo davanti agli occhi le dolorose esperienze della famiglia umana, ha affidato e consacrato al tuo Cuore Immacolato, tutto il mondo e specialmente i popoli, che per la loro situazione sono particolare oggetto del tuo amore e della tua sollecitudine.

Questo mondo degli uomini e delle nazioni abbiamo davanti agli occhi anche oggi: il mondo del secondo millennio che sta per terminare, il mondo contemporaneo, il nostro mondo!

La Chiesa, memore delle parole del Signore: “Andate . . . e ammaestrate tutte le nazioni . . . Ecco, io sono con voi tutti i giorni fino alla fine del mondo” (Mt 28, 19-20), ha ravvivato, nel Concilio Vaticano II, la coscienza della sua missione in questo mondo.

E perciò, o Madre degli uomini e dei popoli, tu che conosci tutte le loro sofferenze e le loro speranze, tu che senti maternamente tutte le lotte tra il bene e il male, tra la luce e le tenebre, che scuotono il mondo contemporaneo, accogli il nostro grido che, mossi dallo Spirito Santo, rivolgiamo direttamente al Tuo Cuore: abbraccia, con amore di madre e di serva del Signore, questo nostro mondo umano, che ti affidiamo e consacriamo, pieni di inquietudine per la sorte terrena ed eterna degli uomini e dei popoli.

In modo speciale ti affidiamo e consacriamo quegli uomini e quelle nazioni, che di questo affidamento e di questa consacrazione hanno particolarmente bisogno.

“Sotto la tua protezione cerchiamo rifugio, santa Madre di Dio”! Non disprezzare le suppliche di noi che siamo nella prova!

2. Ecco, trovandoci davanti a te, Madre di Cristo, dinanzi al tuo cuore immacolato, desideriamo, insieme con tutta la Chiesa, unirci alla consacrazione che, per amore nostro, il Figlio tuo ha fatto di se stesso al Padre: “Per loro - egli ha detto - io consacro me stesso, perché siano anch’essi consacrati nella verità” (Gv 17, 19). Vogliamo unirci al nostro Redentore in questa consacrazione per il mondo e per gli uomini, la quale, nel suo cuore divino, ha la potenza di ottenere il perdono e di procurare la riparazione.

La potenza di questa consacrazione dura per tutti i tempi e abbraccia tutti gli uomini, i popoli e le nazioni, e supera ogni male, che lo spirito delle tenebre è capace di ridestare nel cuore dell’uomo e nella sua storia e che, di fatto, ha ridestato nei nostri tempi.

Oh, quanto profondamente sentiamo il bisogno di consacrazione per l’umanità e per il mondo: per il nostro mondo contemporaneo, in unione con Cristo stesso! L’opera redentrice di Cristo, infatti, deve essere partecipata dal mondo per mezzo della Chiesa.

Lo manifesta il presente Anno della Redenzione: il Giubileo straordinario di tutta la Chiesa.

Sii benedetta, in questo Anno Santo, sopra ogni creatura Tu, serva del Signore, che nel modo più pieno obbedisti alla divina chiamata!

Sii salutata tu, che sei interamente unita alla consacrazione redentrice del tuo Figlio!

Madre della Chiesa! Illumina il popolo di Dio sulle vie della fede, della speranza e della carità! Illumina specialmente i popoli di cui tu aspetti la nostra consacrazione e il nostro affidamento. Aiutaci a vivere nella verità della consacrazione di Cristo per l’intera famiglia umana del mondo contemporaneo.

3. AffidandoTi, o Madre, il mondo, tutti gli uomini e tutti i popoli, ti affidiamo anche la stessa consacrazione del mondo, mettendola nel tuo cuore materno.

Oh, cuore immacolato! Aiutaci a vincere la minaccia del male, che così facilmente si radica nei cuori degli uomini d’oggi e che nei suoi effetti incommensurabili già grava sulla vita presente e sembra chiudere le vie verso il futuro!

Dalla fame e dalla guerra, liberaci!

Dalla guerra nucleare, da un’autodistruzione incalcolabile, da ogni genere di guerra, liberaci!

Dai peccati contro la vita dell’uomo sin dai suoi albori, liberaci!

Dall’odio e dall’avvilimento della dignità dei figli di Dio, liberaci!

Da ogni genere di ingiustizia nella vita sociale, nazionale e internazionale, liberaci!

Dalla facilità di calpestare i comandamenti di Dio, liberaci!

Dal tentativo di offuscare nei cuori umani la verità stessa di Dio, liberaci!

Dallo smarrimento della coscienza del bene e del male, liberaci!

Dai peccati contro lo Spirito Santo, liberaci! liberaci!

Accogli, o Madre di Cristo, questo grido carico della sofferenza di tutti gli uomini! Carico della sofferenza di intere società!

Aiutaci con la potenza dello Spirito Santo a vincere ogni peccato: il peccato dell’uomo e il “peccato del mondo”, il peccato in ogni sua manifestazione.

Si riveli, ancora una volta, nella storia del mondo l’infinita potenza salvifica della Redenzione: potenza dell’Amore misericordioso! Che esso arresti il male! Trasformi le coscienze! Nel Tuo Cuore Immacolato si sveli per tutti la luce della Speranza!

[Papa Giovanni Paolo II, Giubileo delle Famiglie 25 marzo 1984]

Venerdì, 20 Giugno 2025 03:26

Centralità di Gesù

[…] La liturgia ci invita a riflettere sull’esperienza di Maria, Giuseppe e Gesù, uniti da un amore immenso e animati da grande fiducia in Dio. L’odierno brano evangelico (cfr Lc 2,41-52) racconta il viaggio della famiglia di Nazareth verso Gerusalemme, per la festa di Pasqua. Ma, nel viaggio di ritorno, i genitori si accorgono che il figlio dodicenne non è nella carovana. Dopo tre giorni di ricerca e di timore, lo trovano nel tempio, seduto tra i dottori, intento a discutere con essi. Alla vista del Figlio, Maria e Giuseppe «restarono stupiti» (v. 48) e la Madre gli manifestò la loro apprensione dicendo: «Tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo» (ibid.).

Lo stupore – loro «restarono stupiti» – e l’angoscia – «tuo padre e io, angosciati» – sono i due elementi sui quali vorrei richiamare la vostra attenzione: stupore e angoscia.

Nella famiglia di Nazareth non è mai venuto meno lo stupore, neanche in un momento drammatico come lo smarrimento di Gesù: è la capacità di stupirsi di fronte alla graduale manifestazione del Figlio di Dio. È lo stesso stupore che colpisce anche i dottori del tempio, ammirati «per la sua intelligenza e le sue risposte» (v. 47). Ma cos’è lo stupore, cos’è stupirsi? Stupirsi e meravigliarsi è il contrario del dare tutto per scontato, è il contrario dell’interpretare la realtà che ci circonda e gli avvenimenti della storia solo secondo i nostri criteri. E una persona che fa questo non sa cosa sia la meraviglia, cosa sia lo stupore. Stupirsi è aprirsi agli altri, comprendere le ragioni degli altri: questo atteggiamento è importante per sanare i rapporti compromessi tra le persone, ed è indispensabile anche per guarire le ferite aperte nell’ambito familiare. Quando ci sono dei problemi nelle famiglie, diamo per scontato che noi abbiamo ragione e chiudiamo la porta agli altri. Invece, bisogna pensare: “Ma che cos’ha di buono questa persona?”, e meravigliarsi per questo “buono”. E questo aiuta l’unità della famiglia. Se voi avete problemi nella famiglia, pensate alle cose buone che ha il famigliare con cui avete dei problemi, e meravigliatevi di questo. E questo aiuterà a guarire le ferite familiari.

Il secondo elemento che vorrei cogliere dal Vangelo è l’angoscia che sperimentarono Maria e Giuseppe quando non riuscivano a trovare Gesù. Questa angoscia manifesta la centralità di Gesù nella Santa Famiglia. La Vergine e il suo sposo avevano accolto quel Figlio, lo custodivano e lo vedevano crescere in età, sapienza e grazia in mezzo a loro, ma soprattutto Egli cresceva dentro il loro cuore; e, a poco a poco, aumentavano il loro affetto e la loro comprensione nei suoi confronti. Ecco perché la famiglia di Nazareth è santa: perché era centrata su Gesù, a Lui erano rivolte tutte le attenzioni e le sollecitudini di Maria e di Giuseppe.

Quell’angoscia che essi provarono nei tre giorni dello smarrimento di Gesù, dovrebbe essere anche la nostra angoscia quando siamo lontani da Lui, quando siamo lontani da Gesù. Dovremmo provare angoscia quando per più di tre giorni ci dimentichiamo di Gesù, senza pregare, senza leggere il Vangelo, senza sentire il bisogno della sua presenza e della sua consolante amicizia. E tante volte passano i giorni senza che io ricordi Gesù. Ma questo è brutto, questo è molto brutto. Dovremmo sentire angoscia quando succedono queste cose. Maria e Giuseppe lo cercarono e lo trovarono nel tempio mentre insegnava: anche noi, è soprattutto nella casa di Dio che possiamo incontrare il divino Maestro e accogliere il suo messaggio di salvezza. Nella celebrazione eucaristica facciamo esperienza viva di Cristo; Egli ci parla, ci offre la sua Parola, ci illumina, illumina il nostro cammino, ci dona il suo Corpo nell’Eucaristia da cui attingiamo vigore per affrontare le difficoltà di ogni giorno.

E oggi torniamo a casa con queste due parole: stupore e angoscia. Io so avere stupore, quando vedo le cose buone degli altri, e così risolvere i problemi familiari? Io sento angoscia quando mi sono allontanato da Gesù?

Preghiamo per tutte le famiglie del mondo, specialmente quelle in cui, per vari motivi, mancano la pace e l’armonia. E le affidiamo alla protezione della Santa Famiglia di Nazareth.

[Papa Francesco, Angelus 30 dicembre 2018]

Giovedì, 19 Giugno 2025 04:52

Valore dell’unicità imperfetta

Un Dio in ricerca dei perduti e disuguali, per dilatarci la vita

[Lc 15,3-7 (1-10)]

 

Gesù sgretola tutte le prevedibilità. Nel Figlio, Dio viene rivelato non più come proprietà esclusiva, bensì Potenza d’Amore che perdona emarginati e smarriti: salva e crea, liberando.

E mediante la sua Chiesa dispiega un Volto che recupera, abbatte le barriere e chiama i miseri.

 

Gesù vuole destare la coscienza dei “giusti”: c’è una controparte di noi che suppone di sé, molto pericolosa, perché porta all’esclusione e all’abbandono.

Invece l’Amore inesauribile cerca. E trova l’imperfetto e irrequieto.

La palude di energia stagnante che si genera accentuando i confini non consente di crescere: blocca nelle solite posizioni e lascia che ciascuno si arrangi o si perda.

Tutto ciò faceva cadere le virtù creative nella disperazione. Invece il Padre è alla ricerca dell’insufficiente… Peccatore ma vero, quindi più disposto all’amore trasparente: questo il principio di Redenzione.

Non è l’atteggiamento schizzinoso che unisce a Lui. Il Signore non ha interessi esterni.

Egli si rallegra con tutti, ed è il bisogno che lo attira a noi. Quindi non temiamo di farci trovare e lasciarci riportare (v.5)... in Casa sua, che è casa nostra.

Se c’è uno smarrimento, vi sarà un ritrovamento, e questo non è una perdita per nessuno - salvo per gli invidiosi dell’altrui libertà (v.2).

Dio infatti non si compiace di emarginazioni, né intende spegnere il lucignolo fumigante.

Il Figlio non viene per puntare il dito sui momenti no, ma per recuperare, facendo leva sul coinvolgimento intimo. Forza invincibile di fedeltà.

Questo lo stile di una Chiesa dal Cuore Sacro, amabile, elevato e benedetto.

(Ciò che attira a partecipare ed esprimersi è sentirsi capiti, non condannati). Diceva Carlo Carretto: «È sentendosi amato, non criticato, che l’uomo inizia il suo cammino di trasformazione».

Come sottolinea l’enciclica Fratelli Tutti: Gesù - nostro Motore e Motivo - «aveva un cuore aperto, che faceva propri i drammi degli altri» (n.84).

E aggiunge ad esempio della Tradizione: «Le persone possono sviluppare alcuni atteggiamenti che presentano come valori morali: fortezza, sobrietà, laboriosità e altre virtù. Ma per orientare adeguatamente gli atti [...] bisogna considerare anche in quale misura essi realizzino un dinamismo di apertura e di unione [...] Altrimenti avremo solo apparenza».

«San Bonaventura spiegava che le altre virtù, senza la carità, a rigore non adempiono i comandamenti come Dio li intende» (n.91).

 

Insomma, le ricchezze umane e spirituali rischiano di venire depositate in luogo appartato - se così, esse invecchiano e sviliscono.

Nelle assemblee dei figli sono invece condivise: si accrescono e comunicano; moltiplicandosi rinverdiscono, con beneficio universale.

 

 

[Sacratissimo Cuore di Gesù (anno C),  27 giugno 2025]

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In reality, an abstract, distant god is more comfortable, one that doesn’t get himself involved in situations and who accepts a faith that is far from life, from problems, from society. Or we would even like to believe in a ‘special effects’ god (Pope Francis)
In realtà, è più comodo un dio astratto, distante, che non si immischia nelle situazioni e che accetta una fede lontana dalla vita, dai problemi, dalla società. Oppure ci piace credere a un dio “dagli effetti speciali” (Papa Francesco)
It is as though you were given a parcel with a gift inside and, rather than going to open the gift, you look only at the paper it is wrapped in: only appearances, the form, and not the core of the grace, of the gift that is given! (Pope Francis)
È come se a te regalassero un pacchetto con dentro un dono e tu, invece di andare a cercare il dono, guardi soltanto la carta nel quale è incartato: soltanto le apparenze, la forma, e non il nocciolo della grazia, del dono che viene dato! (Papa Francesco)
The Evangelists Matthew and Luke (cf. Mt 11:25-30 and Lk 10:21-22) have handed down to us a “jewel” of Jesus’ prayer that is often called the Cry of Exultation or the Cry of Messianic Exultation. It is a prayer of thanksgiving and praise [Pope Benedict]
Gli evangelisti Matteo e Luca (cfr Mt 11,25-30 e Lc 10, 21-22) ci hanno tramandato un «gioiello» della preghiera di Gesù, che spesso viene chiamato Inno di giubilo o Inno di giubilo messianico. Si tratta di una preghiera di riconoscenza e di lode [Papa Benedetto]
It may have been a moment of disillusionment, of that extreme disillusionment and the perception of his own failure. But at that instant of sadness, in that dark instant Francis prays. How does he pray? “Praised be You, my Lord…”. He prays by giving praise [Pope Francis]
Potrebbe essere il momento della delusione, di quella delusione estrema e della percezione del proprio fallimento. Ma Francesco in quell’istante di tristezza, in quell’istante buio prega. Come prega? “Laudato si’, mi Signore…”. Prega lodando [Papa Francesco]
The Lord has our good at heart, that is, that every person should have life, and that especially the "least" of his children may have access to the banquet he has prepared for all (Pope Benedict)
Al Signore sta a cuore il nostro bene, cioè che ogni uomo abbia la vita, e che specialmente i suoi figli più "piccoli" possano accedere al banchetto che lui ha preparato per tutti (Papa Benedetto)
As the cross can be reduced to being an ornament, “to carry the cross” can become just a manner of speaking (John Paul II)
Come la croce può ridursi ad oggetto ornamentale, così "portare la croce" può diventare un modo di dire (Giovanni Paolo II)
Without love, even the most important activities lose their value and give no joy. Without a profound meaning, all our activities are reduced to sterile and unorganised activism (Pope Benedict)
Senza amore, anche le attività più importanti perdono di valore, e non danno gioia. Senza un significato profondo, tutto il nostro fare si riduce ad attivismo sterile e disordinato (Papa Benedetto)
Are we not perhaps all afraid in some way? If we let Christ enter fully into our lives, if we open ourselves totally to him, are we not afraid that He might take something away from us? Are we not perhaps afraid to give up something significant, something unique, something that makes life so beautiful? Do we not then risk ending up diminished and deprived of our freedom? (Pope Benedict)

Due Fuochi due Vie - Vol. 1 Due Fuochi due Vie - Vol. 2 Due Fuochi due Vie - Vol. 3 Due Fuochi due Vie - Vol. 4 Due Fuochi due Vie - Vol. 5 Dialogo e Solstizio I fiammiferi di Maria

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