Essere presenti a se stessi: non sostituire l’Amore coi fiocchi, l’osservanza, le deferenze
(Mt 23,1-12)
La Nuova Relazione fra Dio e l’uomo non poteva essere contenuta all’interno delle minuziose norme della Prima Alleanza e delle sue pesanti consuetudini.
Al tempo di Gesù, dominavano tali ossessioni malate di verticismo spocchioso, quindi solo epidermiche; incapaci di dare respiro, libertà, motivazioni propulsive.
La concezione piramidale del mondo e l’idea esteriore della trama della vita spirituale mai corrispondono alla Rivelazione, né ai semplici criteri della sapienza naturale.
Dice infatti il Tao Tê Ching (iv): «Il Tao mitiga il suo splendore, si rende simile alla sua polvere. Quale Profondità! Sembra che da sempre esista».
Commenta il maestro Wang Pi: «[Quel che non ha origine] smussando le sue punte, non ferisce le creature; districando i suoi nodi, non le affatica; mitigando la sua luce, non svilisce il loro corpo; rendendosi simile alla sua polvere, non turba la loro genuinità».
Aggiunge il maestro Ho-shang Kung: «Pur avendo uno splendore straordinario, bisogna sapersi tenere nell’oscurità e nella tenebra [...], rendersi simile alla sporcizia e alla polvere, insieme alle folle: non bisogna differenziarsi da esse».
La nostra realtà è intessuta di stati contrapposti, che la innervano e completano; addirittura facendola avanzare. Anche trasformandola in un torrente in piena.
Un rifiuto, un abbandono, un’esperienza di fallimento, di limite, malattia o disistima altrui - persino un rovescio - possono riportarci alle energie sopite della vita e far nascere la Persona nuova.
In tal guisa:
Come contattare i nostri nuovi modi di essere? Quali accorgimenti mettere in atto per introdursi in un dinamismo di rigenerazione che aiuti a sviluppare un clima vivo - e dove iniziare?
Gesù propone Fede: una Relazione fondante, ossia un nuovo modo di porsi dinanzi al Padre e al mondo… con attitudine fiduciosa, sponsale e creativa; nell’iniziativa di un Altro punto di vista.
Amore poliedrico, Eros che viene a noi in un dialogo palpabile - non privo di lotte interiori.
Ciò nel tempo d’un percorso (singolare, affatto ricalcato o esterno). Anche su due piedi fastidioso, perché controcorrente.
Le autorità religiose cercavano invece la loro sicurezza nell’osservanza rigorosa e appariscente della Legge scritta e orale.
Senza rischio, né personalizzazioni da capogiro.
Dinanzi a tale mentalità accomodante, priva di vertigini, il giovane Maestro insiste sulla pratica dell’Amicizia [assai più forte del volontarismo] la quale relativizza gli adempimenti.
Egli dà così alla Tradizione profonda il suo vero significato, riscoprendo il senso autentico della Torah e delle norme di comportamento.
Del resto, proprio le guide spirituali della religione ufficiale erano i primi a non credere a quel che predicavano agli altri... ovvero se ne sentivano esenti, perché abituati a pensare se stessi come modelli elettivi, riconosciuti, selezionati, prescelti - quasi calati dall’alto.
Un vizio di ritorno che il Risorto sembra scorgere nei dirigenti spirituali del suo stesso popolo nuovo, dove i responsabili - pur annunciando il Cristo stesso - iniziavano a farsi amanti perfino dell’ossequiosità.
Proprio come gli antichi professionisti della religione, i quali spingevano al conformismo, legalismo e moralismo; abituati a fare mostra di sé, dettare sentenza, e condizionare lo stesso corso della Legge.
Poi da abili specialisti essi trovavano sempre qualsiasi scusa per dire e non fare - e passare da ‘fedeli impeccabili’:
«Legano insieme carichi pesanti e difficili a portare, e li impongono sulle spalle degli uomini; ma essi nemmeno con il loro dito vogliono smuoverli» (v.4).
Ancora oggi i veri esperti della comunicazione agiscono sempre in pubblico, per essere acclamati.
Ma nella condotta non hanno un principio intimo determinante e radicato, restando preda delle situazioni; leggeri come farfalle.
Guidati dall’ambizione, eccoli tutta appariscenza e vanità - anche per l’amor proprio suscitato dall’influsso sociale che volentieri desiderano ed esercitano.
Uno spirito di verticismo e innalzamento vacuo che Mt nota serpeggiare anche fra i suoi veterani di comunità in Galilea e Siria.
Piccole assemblee allora assediate dall’afflusso di pagani, ai quali gli anziani giudaizzanti chiedevano anzitutto il rispetto gerarchico.
Ipocritamente spodestando Cristo e il Padre, tali reduci della religiosità antica ambivano anche farsi chiamare rabbì, padri, precettori (vv.7-10).
Sedicenti superiori, dal metro di giudizio limitato e riduttivo.
In ordine all’esperienza di Fede, il Signore ordina invece di essere tutti fratelli - ossia alla pari - nella certezza d’un unico Padre.
Vale anche per noi, in specie nel tempo della rinascita dalla crisi globale.
Nella Deus Caritas est (n.35):
«Questo giusto modo di servire rende l'operatore umile. Egli non assume una posizione di superiorità di fronte all'altro, per quanto misera possa essere sul momento la sua situazione. Cristo ha preso l'ultimo posto nel mondo — la croce — e proprio con questa umiltà radicale ci ha redenti e costantemente ci aiuta. Chi è in condizione di aiutare riconosce che proprio in questo modo viene aiutato anche lui; non è suo merito né titolo di vanto il fatto di poter aiutare. Questo compito è grazia. Quanto più uno s'adopera per gli altri, tanto più capirà e farà sua la parola di Cristo: “Siamo servi inutili” (Lc 17, 10). Egli riconosce infatti di agire non in base ad una superiorità o maggior efficienza personale, ma perché il Signore gliene fa dono. A volte l'eccesso del bisogno e i limiti del proprio operare potranno esporlo alla tentazione dello scoraggiamento. Ma proprio allora gli sarà d'aiuto il sapere che, in definitiva, egli non è che uno strumento nelle mani del Signore; si libererà così dalla presunzione di dover realizzare, in prima persona e da solo, il necessario miglioramento del mondo. In umiltà farà quello che gli è possibile fare e in umiltà affiderà il resto al Signore. È Dio che governa il mondo, non noi. Noi gli prestiamo il nostro servizio solo per quello che possiamo e finché Egli ce ne dà la forza. Fare, però, quanto ci è possibile con la forza di cui disponiamo, questo è il compito che mantiene il buon servo di Gesù Cristo sempre in movimento: “L'amore del Cristo ci spinge” (2 Cor 5, 14) ».
Quanto servirebbe un bagno di umiltà, nell’anima di ciascuno che desideri farsi presente alle sue azioni!
Possiamo iniziare ad es. evitando di usare devozione e Chiesa quali mezzi di promozione, per apparire importanti e sottolineare un qualche rango “spirituale” più elevato di altri.
Atteggiamento fasullo in sé - causa forzature eccessive, sorde al nucleo interiore. Ma deleterio anche per l’edificazione d’una atmosfera di famiglia, o cultura dell’Incontro, cammino sinodale; così via.
Insistendo viceversa sull’attitudine [questa sì infallibile] di servizio reciproco, non rimarrà più tempo per farsi prendere dalla vanità, dalla disputa sulle precedenze, dalle discussioni, dal divario fra dire e fare.
Da dove può ripartire invece il teatrino del disamore, che non vitalizza bensì deprime il popolo di Dio?
Dagli imperituri scribi e farisei (v.2) sempre esagerati nello spirito di controllo.
Ebbene, secondo i Vangeli chi assume compiti ecclesiali direttivi non ha diritto ad alcun “fiocco”: è semplicemente «diacono» (v.11) dei fratelli.
Per interiorizzare e vivere il messaggio:
Ti piacciono i fiocchi? Cosa dice la tua anima dei pavoni?