(Gv 12,20-33)
Giovanni 12:20 Tra quelli che erano saliti per il culto durante la festa, c'erano anche alcuni Greci.
Giovanni 12:21 Questi si avvicinarono a Filippo, che era di Betsàida di Galilea, e gli chiesero: «Signore, vogliamo vedere Gesù».
Giovanni 12:22 Filippo andò a dirlo ad Andrea, e poi Andrea e Filippo andarono a dirlo a Gesù.
Giovanni 12:32 Io, quando sarò elevato da terra, attirerò tutti a me».
Il v. 20 introduce dei personaggi appartenenti al mondo dei pagani, i Greci, la cui presenza era molto diffusa in Palestina, a seguito delle conquiste di Alessandro Magno e la colonizzazione che questa subì nel tempo, di cui i due Libri dei Maccabei danno testimonianza. Gli stessi nomi dei due discepoli, Filippo e Andrea, ai quali si rivolgono i Greci, portano nomi greci, a riprova di come la cultura greca fosse penetrata a fondo in tutta la Palestina. Essi erano di Betsaida posta a circa una decina di Km dal confine con la Decapoli e forse per questo conoscevano il greco. La stessa scritta posta da Pilato sulla croce di Gesù era riprodotta anche in lingua greca. Lo storico ebreo Flavio Giuseppe scrisse le sue opere in lingua greca, e il Nuovo testamento stesso è stato scritto in greco, per la grande diffusione che questa lingua aveva nell'uso quotidiano. Anche la chiesa, nei primi quattro secoli parlava e scriveva in greco. Sarà soltanto verso la fine del IV secolo, sotto l'impulso di papa Damaso I, che la chiesa occidentale introdusse nella liturgia il latino e tradusse tutta la Bibbia in latino, opera questa che lo stesso papa Damaso commissionò a San Girolamo.
Ma chi erano questi Greci? A quale categoria di persone appartenevano? Sappiamo che a seguito delle conquiste di Alessandro Magno, la lingua e la cultura greca si diffusero ovunque dando origine al grande fenomeno dell'ellenismo, cioè l'assimilazione delle popolazioni conquistate agli usi, ai costumi, al modo di vivere, alla cultura e alla lingua greca. All'interno della Bibbia il termine “ellenista” (Ellēnistēs) designa gli ebrei della diaspora di lingua e cultura greca, religiosamente meno rigidi nella pratica della Torah rispetto ai loro correligionari della Palestina e più aperti al mondo pagano presso il quale vivevano. Ma qui, in Gv 12,20, il termine greco per designare questa categoria di persone è “Ellenēs” (Greci). Nel Nuovo Testamento il termine, in senso lato, viene esteso al mondo pagano ed indica in genere il non ebreo. Considerata tuttavia la precisione storica con cui Giovanni racconta il suo Vangelo, questi Greci dovevano essere realmente tali. Questi Greci, dunque, appartenenti al mondo pagano, “erano saliti (a Gerusalemme) per il culto durante la festa”. Essi dunque, pur pagani, partecipavano al culto giudaico. Si tratta di una categoria di persone che erano definite dai giudei come i “timorati di Dio”.
Questi, pagani per nascita, guardavano con favore la comunità giudaica per la loro pietà, per il loro culto monoteistico, per la loro condotta morale e la rigorosa osservanza della Torah. Questi timorati, dunque, vengono indicati “tra quelli che erano saliti”. Essi pertanto sono associati ai Giudei che salgono a Gerusalemme, come i pellegrini che in occasione delle feste salivano a Gerusalemme per celebrane il culto. La finalità di questa salita a Gerusalemme da parte di questi Greci è, letteralmente, “per adorare” (hina proskynēsōsin), cioè riconoscere Yahweh come il vero e unico Dio.
Essi rappresentano l'universalità della salvezza, che troverà il suo vertice al v. 32: “Io, quando sarò elevato da terra, attirerò tutti a me”.
I vv. 21-22 raccolgono questo tema dell'universalità della salvezza e del culto, che scaturisce dalla croce di Gesù, facendolo diventare un tema ecclesiologico, cioè di mediazione. È così infatti che i Greci si rivolgono a Filippo e questi pone la richiesta ad Andrea; e i discepoli, infine, insieme fanno giungere questo desiderio a Gesù, come per dire che ora Gesù si può incontrare soltanto attraverso la mediazione ecclesiale e all'interno della chiesa.
Ciò che i Greci desiderano infatti è “vedere Gesù”, un vedere che in greco è espresso con il verbo “horáō”, il verbo della fede compiuta, è il vedere del credere. La loro fede è sorretta dal desiderio che si fa volontà: “vogliamo”. Una fede quindi che già si radica in loro e che attende di essere pienamente compiuta nell'incontro con Gesù.
Significativa qui è la scelta dei due discepoli ai quali si rivolgono i Greci: Filippo e Andrea. Ciò che hanno in comune i due discepoli è quello di aver incontrato Gesù per primi, di averlo annunciato agli altri loro compagni e di averli portati a Gesù. È proprio questa loro capacità intermediatrice che li rende idonei a rappresentare lo schema missionario della Chiesa, che accolto in sé il Risorto lo annuncia al mondo intero.
L'episodio è in un certo qual modo profetico, nel senso che prepara il tempo della Chiesa. Ormai il tempo di Gesù sta per finire e chi vuole aderire a lui dovrà passare attraverso i suoi discepoli. Da lì a poco, Gesù non opererà più direttamente, ma solo in modo mediato: la Chiesa è il nuovo luogo di incontro tra Dio e gli uomini.
Argentino Quintavalle, autore dei libri
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