don Giuseppe Nespeca

don Giuseppe Nespeca

Giuseppe Nespeca è architetto e sacerdote. Cultore della Sacra scrittura è autore della raccolta "Due Fuochi due Vie - Religione e Fede, Vangeli e Tao"; coautore del libro "Dialogo e Solstizio".

Venerdì, 16 Agosto 2024 05:09

Dinamica della Vocazione: scoperta e dialogo

La prima cosa che fece Andrea dopo aver incontrato Gesù fu di cercare suo fratello Simone e di dirgli: “Abbiamo trovato il Messia!”. In seguito Filippo, allo stesso modo, cercò Natanaele e gli disse: “Abbiamo trovato colui del quale hanno scritto Mosè nella Legge e i Profeti, Gesù, figlio di Giuseppe di Nazaret” (cf. Gv 1, 35-51).

Dopo la scoperta iniziale, segue un dialogo attraverso la preghiera, un dialogo tra Gesù e colui che ha ricevuto la chiamata, un dialogo che va oltre le parole e si esprime nell’amore.

Le domande sono una parte importante di tale dialogo. Per esempio, nel racconto evangelico della chiamata dei discepoli, ci viene detto che “quando Gesù si fu voltato ed ebbe visto che lo seguivano domandò loro: “Che cercate?”. Gli risposero: “Rabbì (che significa maestro), dove abiti?”. “Venite e vedrete”, rispose” (Gv 1, 38-39).

Quel che inizia come una scoperta di Gesù conduce a una maggiore comprensione e dedizione attraverso un devoto processo di domande e discernimento. Nel corso di tale processo, le nostre ragioni sono purificate. Ci troviamo di fronte a scottanti domande, quali: “Che stai cercando?” E ci ritroviamo persino a fare le domande di Gesù, come fece Natanaele: “Come mi conosci?” (Gv 1, 48). Solo dopo aver riflettuto con sincerità e onestà nel silenzio dei nostri cuori iniziamo a convincerci che il Signore ci sta realmente chiamando.

Anche allora, tuttavia, il processo di discernimento non è terminato. Gesù dice a noi quel che disse anche a Natanaele: “Vedrai cose maggiori di queste!” (Gv 1, 50). Per tutto il corso della vita, dopo aver fatto una sacra e immutabile promessa e dopo aver iniziato a servire in modo attivo il Signore, abbiamo ancora bisogno del dialogo di preghiera che approfondirà costantemente la conoscenza e l’amore per il nostro Signore Gesù Cristo.

[Papa Giovanni Paolo II, Discorso ai seminaristi americani 13 settembre 1987]

Venerdì, 16 Agosto 2024 05:01

Un po’ scettico

Francesco ha rammentato la storia di Natanaele che «va a vedere colui che gli dicono sia il messia, un po’ scettico». A lui Gesù dice: «Io ti ho visto sotto l’albero di fico». Dunque, «sempre Dio ama per primo». Lo ricorda anche la parabola del figliol prodigo: «Quando il figlio, che aveva speso tutti i soldi dell’eredità del padre in una vita di vizi, torna a casa, si accorge che il papà lo stava aspettando. Dio sempre per primo ci aspetta. Prima di noi, sempre. E quando l’altro figlio non vuole venire alla festa, perché non capisce l’atteggiamento del papà, va il babbo a cercarlo. E così fa Dio con noi: ci ama per primo, sempre».

Così, ha rilanciato il Papa, «possiamo vedere nel Vangelo come ama Dio: quando noi abbiamo qualcosa nel cuore e vogliamo chiedere perdono al Signore, è lui che ci aspetta per dare il perdono».

Quest’anno della misericordia, ha affermato Francesco, «un po’ è anche questo: che noi sappiamo che il Signore ci sta aspettando, ognuno di noi» E ci aspetta «per abbracciarci, niente di più, per dire: “Figlio, figlia, ti amo. Ho lasciato che crocefiggessero mio Figlio per te; questo è il prezzo del mio amore; questo è il regalo di amore”».

Il Papa ha suggerito di pensare sempre a questa verità: «Il Signore mi aspetta, il Signore vuole che io apra la porta del mio cuore, perché lui è lì che mi aspetta per entrare». Senza condizioni.

Certo, qualcuno potrebbe dire: «Ma, padre, no, no, io avrei voglia, ma ho tante cose brutte dentro!». Chiara, in proposito, la risposta di Francesco: «È meglio! Meglio! Perché lui ti aspetta, così come tu sei, non come ti dicono che “si deve fare”. Si deve essere come sei tu. Ti ama così, per abbracciarti, baciarti, perdonarti».

Ecco, quindi, l’esortazione conclusiva del Papa, che ha invitato ad andare senza indugi dal Signore e dire: «Ma tu sai Signore che io ti amo». Oppure, se proprio «non me la sento, di dirla così: “Tu sai Signore che io vorrei amarti, ma sono tanto peccatore, tanto peccatrice”». Con la certezza che lui farà come il padre «col figliol prodigo che ha speso tutti i soldi nei vizi. Non ti lascerà finire il tuo discorso, con un abbraccio ti farà tacere: l’abbraccio dell’amore di Dio».

[Papa Francesco, s. Marta, in L’Osservatore Romano 09/01/2016]

Giovedì, 15 Agosto 2024 15:52

Nessuna arrendevolezza forzata

Comandamento Grande: solo la Qualità profonda obbliga

(Mt 22,34-40)

 

Quella del ‘comandamento grande’ era la norma di catechismo più conosciuta, persino dagli infanti.

Gesù viene interrogato per ribattergli: e tu perché non osservi l’unico comandamento che anche Dio adempie - il riposo del sabato?

L’unica disposizione in cui il Padre si riconosce è l’Amore, non un qualche precetto particolare - perché solo la Qualità profonda obbliga.

La proposta spirituale del Maestro fa propria la narrativa del popolo di Dio e la pratica dei Profeti: tutta cuore, piedi, mani - e intelligenza.

L’Amore completo verso Dio avvolge la creatura in ogni decisione [cuore], ogni istante e aspetto della sua “vita” concreta, tutte le proprie risorse [forze].

Mt non cita esplicitamente l’aspetto dei beni, forse per sottolineare che il Padre non assorbe energie in nessun modo, bensì le trasmette.

Ma Gesù aggiunge alle sfumature dell’intesa autentica con Dio enumerate nel Primo Testamento un versante inatteso per chi pensa l’amore come sentimento delicato solo emotivo.

Il Signore suggerisce lo studio, il discernimento e la comprensione delle nostre percezioni (v.37) - l’aspetto mentale e d’intelligenza profonda che integra Dt 6.

A prima vista sembra una sfaccettatura secondaria o addirittura un orpello per il balzo qualitativo da un comune senso religioso all’esistenza di Fede saggiamente e personalmente configurata.

È vero l’esatto contrario: siamo figli di un Padre che non ci soppianta, né assorbe le nostre energie o potenzialità, spersonalizzando; neppure sotto il profilo mentale.

La sola praticità rende fragili, poco consapevoli; e quando non siamo convinti neppure saremo affidabili, sempre in balia di mutevoli situazioni e dell’opinione conformista, alla moda, altrui.

Gesù non parla di amore verso Dio in termini d’intimismo e sentimento, ma di un’affinità totalmente coinvolgente, resa meno oscillante proprio dallo sviluppo della nostra misura sapienziale in merito alle questioni.

Qui c’è un Appuntamento decisivo dell’Amore a tutto tondo.

Innaturale sarebbe riconoscere un Padrone del Cielo che non Viene incontro e viceversa ci sovrasta con un suo obbiettivo, a noi estrinseco e che rende marginali.

«Come [e “perché”] te stesso»: è una nuova Genesi nello spirito di Dono. Il paradosso suggerito da Gesù è che amiamo per il fatto che abbiamo cura d’incontrarci - e amiamo noi stessi - dilatando l’io nel Tu.

Il «comando grande» di Dio investe la vita reale e riguarda non solo la qualità di relazione col mondo e il prossimo ma il globale riflessivo con sé. 

Non bisogna aver paura di altre dottrine e discipline, trascurando le sfide anche intellettuali che rimettono in discussione le credenze, le opere, la propria visione del mondo, il linguaggio, lo stile, e il pensiero stesso.

Valore aggiunto.

Inutile poi lamentarsi, se le realtà ecclesiali che non si aggiornano, e permangono nei luoghi comuni ereditati, lentamente decadono, quindi scompaiono.

Per questo alle note antiche del vero amore il Figlio di Dio aggiunge la qualità della mente: non siamo dei creduloni, sprovveduti, unilaterali.

Le nostre mani tese sono frutto di scelta libera e consapevole. Nessuna arrendevolezza forzata.

«Una fede che non diventa cultura è una fede non pienamente accolta, non interamente pensata, non fedelmente vissuta» [Giovanni Paolo II].

 

 

Per interiorizzare e vivere il messaggio:

 

Cos’è Grande per te? Ti documenti e aggiorni per poter corrispondere meglio alla Chiamata di Dio?

 

 

[Venerdì 20.a sett. T.O.  23 agosto 2024]

Giovedì, 15 Agosto 2024 15:49

Il comandamento grande: Amore

Solo la Qualità obbliga. Nessuna arrendevolezza forzata

(Mt 22,34-40)

 

Gesù trasforma in questione cruciale quella che era la più banale delle domande di catechismo: qual è il “grande” comandamento? 

Malgrado le diverse scuole teologiche, la risposta era nota a tutti: il riposo del sabato, unica prescrizione osservata (persino) da Dio.

La questione posta al Maestro dall’esperto della Legge non era così innocente, ma «per metterlo alla prova» (Mt 22,35; Lc 10,25) - ossia per ribattergli: e allora come mai tu non adempi il precetto del sabato?

Cristo semplifica il groviglio delle dispute, circa l’allargamento o la riduzione delle casistiche teoriche, e va al punto.

Sempre allergico ai bisticci sulle dottrine, Egli fa una proposta di vita come momento unitivo delle esigenze dell’Alleanza.

Tutte le norme hanno un’essenza, altrimenti restano un coacervo dispersivo. Trovano fondamento spontaneo e significato naturale nel dono di sé - però motivato.

Ma qual è il punto solido e il contesto di un simile invito? Un sentimento vago, un’emozione fra le tante, un moto passeggero? Filantropia? O un’esperienza?

Siamo assetati d’affetto e concediamo amicizia a corrente alternata, tanto da far diventare l’amore una fonte di equivoci, radicati nel bisogno di completarsi.

Ecco perché il secondo comandamento appare come una spiegazione del primo, non una sua riduzione [Mt 22,39; Mc 12,31; Lc 10,27].

 

Nel mondo antico non aveva senso parlare di amore verso Dio, Mistero ineffabile.

Era l’Altissimo che prediligeva qualcuno donandogli fortuna materiale, e costui gli riconosceva un dovere di culto, e sacrifici.

Idem per gli sfortunati, almeno per evitare ritorsioni (e tenerselo buono).

Con Gesù si parla apertamente di gratuità - non semplice gratitudine - come nucleo unificante, sia della persona che della storia della salvezza.

Finisce l’idea dello scambio di favori.

Il Padre non ha bisogno di nulla; non gode di vederci sottomessi e sentirsi riconosciuto [schema della religiosità pagana] come farebbe un sovrano nei confronti dei sudditi.

La Relazione con l’Eterno rimane concreta, ma l’onore verso l’Altissimo si manifesta facendo proprio il suo progetto di bene e di crescita nei confronti dell’uomo, e riconoscendosi in esso.

 

Il piano di Dio si dispiega... con una esigenza viva. Ma c’è una Partenza, un Centro e un Arrivo. In realtà, una nuova Genesi.

In ogni caso, solo l’iniziativa di Dio estrae da noi il meglio: più talento, più desiderio, più interessi, più capacità inespresse, più inedito - invece di tormenti che fanno male all’anima.

È la differenza tra religiosità che affievolisce la personalità, e Fede.

Per via di Fede scatta una Relazione creativa speciale: quella di colui che accoglie la Chiamata per Nome, nonché le proposte della stessa Fonte dell’essere - onda su onda.

Esse anticipano le nostre iniziative e ci guidano infallibilmente alla perfetta fioritura del personale e altrui Seme.

 

Soprattutto in Mt (22,38-39) e Mc (12,29-31) è chiaro che l’amore al prossimo deriva dall’esperienza e dalla consapevolezza di essere amati prima e senza condizioni previe da Dio - guardati, accettati, valorizzati, promossi, rallegrati, completati.

Si ama non per sforzo [la forza è una leva dirigista: produce episodi che fanno peggiorare la vita] ma sulla base di quanto ci sentiamo amati - e con immediatezza, ripetutamente, senza condizioni.

Si ama sull’argomento del “a perdere” già sperimentato a proprio favore dalla Provvidenza, che dà senso e valore agli atti umani.

Non per infatuazione di aspettative esterne, indotte, comunque altrui.

 

Anche in campo spirituale, non pochi comportamenti ritenuti in grado di risolvere problemi, spesso li cronicizzano.

In tal guisa, essi fanno leva su un’idea di permanenza - non sulla dinamica di gratuità vocazionale, sul Dono inimmaginabile, da accogliere.

Dunque il punto è regolarsi secondo risorse che vengono, o la distorsione dei modelli, tipica della mentalità moralista.

Infatti lo schema d’onnipotenza nel bene, paradossalmente, ripiega l’io e le sue forze, e ne distorce lo sguardo.

 

Ma al di là di tutte le sfumature, siamo rallegrati che primo e secondo comandamento riguardino l’Amore: ciò che più desideriamo fare e ricevere. È un’urgenza della vita.

Eppure bisogna essere sapienti, affinché lo schema dei paradigmi o gli stimoli dell’affetto naturale e delle precipitazioni non travolgano e trascinino via - capovolgendo - ogni buona intenzione.

L’Amore non sopporta l’eccesso di aspettative, perché scaturisce da una esperienza di Perfezione che giunge; offerta, inattesa, imprevedibile. Non già allestita secondo propositi concatenati e normali.

Se autentica, nel tempo sperimenteremo la fioritura; non nell’attesa di un ritorno, ma anzitutto in un Dono fuori del tempo. Perché esso ci ha già saziati e convinti - con stupore contemplativo - e fatti trasalire di gioia.

Così l’Eros vocazionale e fondante continuerà a plasmarci, con la sua virtù perennemente esplorativa e capace di attivare nuove Nascite.

Energia personale - senza i soliti bagagli di tormento, riserve, esteriorità... e (di nuovo) corrucci.

 

 

Comandamento Grande: solo la Qualità profonda obbliga

 

La sola disposizione in cui il Padre si riconosce è l’Amore, a tutto spiano e a tutto tondo; non un qualche precetto particolare.

Per Gesù non vi sono classifiche nelle cose di Dio e dell’uomo - infatti Egli mostrava una spiccata tendenza a riassumere le molte disposizioni - perché solo la Qualità profonda obbliga.

La proposta spirituale del Maestro faceva propria la narrativa del popolo di Dio e la pratica dei Profeti: tutta cuore, piedi, mani - e intelligenza.

L’Amore completo verso Dio deve avvolgere la creatura in ogni decisione [cuore].

Parimenti, in ogni istante e aspetto della sua “vita” concreta, nonché coinvolgere tutte le proprie risorse [forze: cf. Mc 12,30; Lc 10,27].

Dt 6,5 (testo ebraico) recita infatti: «con tutto il tuo “molto”», intendendo una partecipazione concreta sia alla vita cultuale che alla fraternità materiale - provvedendo e aiutando coi propri beni.

Mt 22,37 non cita esplicitamente quest’ultimo aspetto, forse per sottolineare che il Padre non assorbe energie in nessun modo, bensì le trasmette.

Ma Gesù aggiunge alle sfumature dell’intesa autentica con Dio enumerate nel Primo Testamento un versante inatteso per chi pensa l’amore come sentimento delicato solo emotivo.

Il Signore suggerisce lo studio, il discernimento e la comprensione delle nostre percezioni [Mt 22,37; Mc 12,30; Lc 10,27] accompagnate dall’aspetto mentale e d’intelligenza profonda (escluso in Dt 6).

A prima vista sembra una sfaccettatura secondaria o addirittura un orpello per il balzo qualitativo da un comune senso religioso all’esistenza di Fede saggiamente e personalmente configurata.

È vero l’esatto contrario: siamo figli di un Padre che non ci soppianta, né assorbe le potenzialità o energie, spersonalizzando; neppure sotto il profilo mentale.

È un risvolto capitale della nostra dignità e promozione - anche umana - e discrimine specifico nel discernimento della Fede in Cristo, rispetto a tutte le soluzioni devote alla ricerca dell’Assoluto (qualunque).

La sola praticità rende fragili, poco consapevoli; e quando non siamo convinti neppure saremo affidabili, sempre in balia di mutevoli situazioni e dell’opinione conformista, alla moda, altrui.

Non di rado si fugge il confronto a tutto campo che arricchirebbe ciascuno - proprio per incompetenza.

Ma non siamo dei creduloni unilaterali. Essere attenti e aggiornati, avere capacità di pensiero anche critico è dilatazione richiesta in ordine allo sviluppo della propria vocazione umana, morale, culturale e spirituale.

Banalità, identificazioni, scopiazzature impersonali e ripetizioni assembleari poco vigili intralciano la marea della vita, questa cascata divina di energia perenne che pulsa e non si spegne.

Anzi, essa viene con appelli che smuovono: chiama a spalancarci verso nuove attrattive di relazione e altri interessi, anche intellettuali; perfino denominazionali.

Gesù non parla di amore verso Dio in termini d’intimismo e sentimento, ma di un’affinità totalmente coinvolgente, resa meno incerta proprio dallo sviluppo della nostra misura sapienziale, in merito alle questioni.

La devozione ingoia tutto. Invece, la Fede non si lascia plagiare dalla civiltà locale o dell’esterno: suppone una capacità di entrare in modo competente nelle valutazioni personali o inerenti il dibattito comunitario e d’insieme - storico e aggiornato.

La testimonianza della nostra Speranza non disdegna di lasciarsi fecondare dal dialogo con chi ha maggiore perizia psicologica o biblica, pastorale specialistica e sociale, nonché archeologica, bioetica, economica, scientifica e così via.

Un impegno che dimostra vero interesse al Sacro [certo, tutti aspetti da sottoporre a valutazione non come si trattasse di opzioni scolastiche].

Ma bisogna ammettere che una delle più organiche espressioni della grande teologia cattolica è quella che un tempo si denominava “dottrina” dei sette Doni dello Spirito Santo.

Nell’esistenza d’Amore si riconosceva il primato (anche relazionale) del Dono dello Spirito, che completava le possibilità di espressione “naturale” delle virtù cardinali e teologali, conducendole a pienezza.

Ben quattro dei sette Doni venivano correlati ad un carattere di profondo sapere: Sapienza, Intelletto, Consiglio e Scienza.

Insomma: qui c’è ancora un Appuntamento decisivo per l’Amore a tutto tondo.

Lasciarsi andare a qualche battuta sulla falsariga credente è dominio di tutti [individualista o di cerchia] ma la capacità di entrare in merito è solo di quanti hanno voluto vagliare e vivere le tematiche - perché più interessati a comprendere il Volto di Dio e il suo Disegno sull’umanità che a ribadire finte sicurezze narrative.

Innaturale sarebbe riconoscere un Padrone del Cielo che non Viene incontro; come se ci sovrastasse con un “suo” obbiettivo (a noi estrinseco) e così rendesse tutti marginali.

[Nelle sètte - perfino quelle dall’aspetto bonario - è fatto divieto l’approfondire, per capire: la posizione c’è già, il candidato deve “solo” adeguarsi].

 

«Come (e perché) te stesso» [senso del testo greco: Mt 22,39; Mc 12,31; Lc 10,27]: è una nuova Nascita di vita, nuova Genesi nello spirito di Dono.

Il paradosso suggerito da Gesù supera la norma antica di Lv 19,18. 

Amiamo non solo i figli del nostro popolo, «per il fatto che» abbiamo cura d’incontrarci e vogliamo arricchire noi stessi insieme, dilatando l’io nel Tu.

Il «Comando grande» di Dio investe la vita reale e riguarda non solo la qualità di relazione col mondo e il prossimo, ma il globale riflessivo con sé.

Non bisogna aver paura di altre dottrine e discipline, trascurando sfide analitiche oltre quelle “organiche” - quelle di lungo periodo.

Tutte rimettono in discussione credenze, opere, la propria visione del mondo; linguaggio, stile, e pensiero stesso.

Abbiamo ancora un gran bisogno di allargare la mente e diventare vasti come un panorama. E riarmonizzare gli opposti che ci trasciniamo dentro.

Lati e Perle nascoste cui ancora non abbiamo dato respiro, o visibilità - e forse mai considerato Alleati.

 

Resta unica la sorte travagliata che accomuna i profeti, ma non sono le certezze (antiche, o sofisticate, alla moda, à la page) il valore aggiunto dell’avventura di Fede nell’Amore - bensì il rischio del mettersi in bilico e la rielaborazione a tutto campo.

Inutile poi lamentarsi, se le realtà ecclesiali che non si aggiornano, e permangono nei luoghi comuni ereditati, lentamente decadono, quindi scompaiono.

A dispetto del loro patrimonio eclatante e dei fiabeschi eventi.

 

In tal guisa, il «dottore della legge» è forse già vicino [Mc 12,34; Lc 10,28] ma deve ancora tenere d’occhio Gesù, per comprendere in Lui il senso più dilatato del dono totale, nello specifico personalizzante, che non è ingenuo.

Il Signore riporta il senso delle norme alla loro funzione profonda e originaria: farsi viatico di ogni Incontro che solleva accadimenti, persone di qualsiasi estrazione, e il creato.

 

In conclusione, esperienza e rito hanno il loro fulcro nella reciprocità dell’amore.

La vita in tutte le sue sfaccettature diventa Liturgia più significativa del gesto di culto accreditato; il suo Pane davvero spezzato si fa appello convincente alla Comunione e Missione.

Anche se non fa notizia, termometro autentico del nostro cammino non sarà il volume o il mucchio di cose importanti che facciamo, bensì un pulsare di cuore e mente rigenerati.

Per questo alle note antiche del vero Amore il Figlio di Dio aggiunge la qualità del pensiero: non siamo dei creduloni, sprovveduti, unilaterali.

Le nostre mani tese sono frutto di scelta libera e consapevole. Nessuna arrendevolezza forzata.

«Una fede che non diventa cultura è una fede non pienamente accolta, non interamente pensata, non fedelmente vissuta» [Giovanni Paolo II].

 

 

Per interiorizzare e vivere il messaggio:

 

Cos’è Grande per te? Titoli? Avere, potere, apparire?

Qual è nella tua esperienza dell’Amore il punto di Partenza, il Centro e l’Arrivo?

Ti documenti e aggiorni per poter corrispondere meglio alla Chiamata di Dio?

Giovedì, 15 Agosto 2024 15:46

Contiene l’elemento razionale!

La Parola del Signore, risuonata poc’anzi nel Vangelo, ci ha ricordato che nell’amore si riassume tutta la Legge divina. L’Evangelista Matteo racconta che i farisei, dopo che Gesù ebbe risposto ai sadducei chiudendo loro la bocca, si riunirono per metterlo alla prova (cfr 22,34-35). Uno di questi, un dottore della legge, gli chiese: "Maestro, nella Legge, qual è il grande comandamento?" (v. 36). La domanda lascia trasparire la preoccupazione, presente nell’antica tradizione giudaica, di trovare un principio unificatore delle varie formulazioni della volontà di Dio. Era domanda non facile, considerato che nella Legge di Mosè sono contemplati ben 613 precetti e divieti. Come discernere, tra tutti questi, il più grande? Ma Gesù non ha nessuna esitazione, e risponde prontamente: "Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente. Questo è il grande e primo comandamento" (vv. 37-38). Nella sua risposta, Gesù cita lo Shemà, la preghiera che il pio israelita recita più volte al giorno, soprattutto al mattino e alla sera (cfr Dt 6,4-9; 11,13-21; Nm 15,37-41): la proclamazione dell’amore integro e totale dovuto a Dio, come unico Signore. L’accento è posto sulla totalità di questa dedizione a Dio, elencando le tre facoltà che definiscono l’uomo nelle sue strutture psicologiche profonde: cuore, anima e mente. Il termine mente, diánoia, contiene l’elemento razionale. Dio non è soltanto oggetto dell’amore, dell’impegno, della volontà e del sentimento, ma anche dell’intelletto, che pertanto non va escluso da questo ambito. E’ anzi proprio il nostro pensiero a doversi conformare al pensiero di Dio. Poi, però, Gesù aggiunge qualcosa che, in verità, non era stato richiesto dal dottore della legge: "Il secondo poi è simile a quello: Amerai il tuo prossimo come te stesso" (v. 39). L’aspetto sorprendente della risposta di Gesù consiste nel fatto che egli stabilisce una relazione di somiglianza tra il primo e il secondo comandamento, definito anche questa volta con una formula biblica desunta dal codice levitico di santità (cfr Lv 19,18). Ed ecco quindi che nella conclusione del brano i due comandamenti vengono associati nel ruolo di principio cardine sul quale poggia l’intera Rivelazione biblica: "Da questi due comandamenti dipendono tutta la Legge e i Profeti" (v. 40).

La pagina evangelica sulla quale stiamo meditando pone in luce che essere discepoli di Cristo è mettere in pratica i suoi insegnamenti, che si riassumono nel primo e più grande comandamento della Legge divina, il comandamento dell’amore. Anche la prima Lettura, tratta dal libro dell’Esodo, insiste sul dovere dell’amore; un amore testimoniato concretamente nei rapporti tra le persone: devono essere rapporti di rispetto, di collaborazione, di aiuto generoso. Il prossimo da amare è anche il forestiero, l’orfano, la vedova e l’indigente, quei cittadini cioè che non hanno alcun "difensore". L’autore sacro scende a dettagli particolareggiati, come nel caso dell’oggetto dato in pegno da uno di questi poveri (cfr Es 20,25-26). In tal caso è Dio stesso a farsi garante della situazione di questo prossimo.

E’ un amore che accetta anche dure prove per la verità della parola divina e proprio così il vero amore cresce e la verità risplende in tutto il suo fulgore. Quanto è importante allora ascoltare la Parola e incarnarla nell’esistenza personale e comunitaria!

[Papa Benedetto, Sinodo dei vescovi 26 ottobre 2008]

2. Cristo dice: “Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui...” (Gv 14,23). Nel centro stesso dell’insegnamento di Cristo si trova il grande comandamento dell’amore. Questo comandamento è stato iscritto già nella tradizione dell’Antico Testamento, come lo testimonia la prima lettura d’oggi, desunta dal libro del Deuteronomio.

Quando il Signore Gesù risponde alla domanda di uno degli scribi, risale a questa stesura della Legge divina, rivelata nell’Antica alleanza: “Qual è il primo di tutti i comandamenti!”. “Il primo è... amerai... il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza”. “E il secondo è questo. Amerai il prossimo tuo come te stesso”. “Non c’è altro comandamento più importante di questi” (Mc 12,29-31).

3. Quell’interlocutore, che è stato rievocato da San Marco, ha accettato con riflessione la risposta di Cristo. L’ha accettata con profonda approvazione. Occorre che anche noi, oggi, riflettiamo brevemente su questo “più grande comandamento”, per poterlo accettare di nuovo con piena approvazione e con profonda convinzione. Prima di tutto, Cristo diffonde il primato dell’amore nella vita e nella vocazione dell’uomo. La più grande vocazione dell’uomo è la chiamata all’amore. L’amore dà pure il significato definitivo alla vita umana. Esso è la condizione essenziale della dignità dell’uomo, la prova della nobiltà della sua anima. San Paolo dirà che esso è “il vincolo della perfezione” (Col 3,14). È la cosa più grande nella vita dell’uomo, perché il vero amore porta in sé la dimensione dell’eternità. È immortale: “la carità non avrà mai fine” leggiamo nella prima lettera ai Corinzi (1Cor 13,8). L’uomo muore per quanto riguarda il corpo, perché tale è il destino di ognuno sulla terra, però questa morte non danneggia l’amore, che è maturato nella sua vita. Certo, esso rimane soprattutto per rendere testimonianza dell’uomo dinanzi a Dio, che è l’amore. Esso designa il posto dell’uomo nel Regno di Dio; nell’ordine della Comunione dei Santi. Il Signore Gesù al suo interlocutore nel Vangelo odierno – vedendo che egli comprende il primato dell’amore tra i comandamenti – dice: “Non sei lontano dal regno di Dio) (Mc 12,34).

4. Sono due i comandamenti dell’amore – come afferma espressamente il Maestro nella sua risposta – ma l’amore è uno solo. Uno e identico abbraccia Dio e il prossimo. Dio: sopra ogni cosa, perché egli è sopra di tutto. Il prossimo: con la misura dell’uomo, e quindi “come se stesso”.

Questi “due amori” sono così strettamente collegati tra di loro, che l’uno non può esistere senza l’altro. Lo dice in altro luogo San Giovanni: “Chi infatti non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede” (1Gv 4,20). Non si può quindi separare un amore dall’altro. Il vero amore dell’uomo, del prossimo, perciò stesso che è vero amore, è, nello stesso tempo, amore verso Dio. Questo può stupire qualcuno. Stupisce certamente. Quando il Signore Gesù presenta ai suoi ascoltatori la visione dell’ultimo giudizio, riferita nel Vangelo di San Matteo, dice: “Io ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere; ero forestiero e mi avete ospitato, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, carcerato e siete venuti a trovarmi (Mt 25,35-36).

Allora coloro che ascoltano queste parole si meravigliano, poiché sentiamo che domandano: “Signore, quando mai ti abbiamo fatto tutto ciò?”. E la risposta: “In verità vi dico: ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi fratelli più piccoli – cioè al vostro prossimo: a uno degli uomini – l’avete fatto a me” (cf. Mt 25,37.40).

5. Questa verità è molto importante per tutta la nostra vita e per il nostro comportamento. È particolarmente importante per coloro che cercano di amare gli uomini, ma “non sanno se amano Dio” o addirittura dichiarano di non “saper” amarlo.

Tale difficoltà è facile da spiegare quando si prende in considerazione tutta la natura dell’uomo, tutta la sua psicologia. All’uomo è, in certo qual modo, più facile amare quello che vede che quello che non vede (cf. 1Gv 4,20).

6. Eppure l’uomo è chiamato ed è chiamato con grande fermezza, lo testimoniano le parole del Signore Gesù, all’amore verso Dio, all’amore che è sopra ogni cosa. Se facciamo una riflessione su questo comandamento, sul significato delle parole scritte già nell’Antico Testamento e ripetute con tanta determinazione da Cristo, dobbiamo riconoscere che esse ci dicono molto dell’uomo stesso. Svelano la più profonda e, insieme, definitiva prospettiva del suo essere, della sua umanità. Se Cristo assegna all’uomo come un compito tale amore, cioè l’amore di Dio che egli, uomo, non vede, questo vuol dire che il cuore umano nasconde in sé la capacità di quest’amore, che il cuore umano è creato “su misura di tale amore”. Non è forse questa la prima verità sull’uomo, cioè che egli è l’immagine e la somiglianza di Dio stesso? Sant’Agostino non parla del cuore umano che rimane inquieto fino a che non riposi in Dio? Così dunque il comandamento dell’amore di Dio sopra ogni cosa svela una scala delle possibilità interiori dell’uomo. Questa non è una scala astratta. È stata riconfermata e costantemente trova una conferma da parte di tutti gli uomini che prendono sul serio la loro fede, il fatto di essere cristiani. Eppure non mancano gli uomini che hanno confermato eroicamente questa scala delle possibilità interiori dell’uomo.

[Papa Giovanni Paolo II, omelia 4 novembre 1979]

Nell’odierna pagina evangelica (cfr Mt 22,34-40), un dottore della Legge domanda a Gesù quale sia «il grande comandamento» (v. 36), cioè il comandamento principale di tutta la Legge divina. Gesù risponde semplicemente: «“Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente”» (v. 37). E subito aggiunge: «Il secondo poi è simile a quello: “Amerai il tuo prossimo come te stesso”» (v. 39).

La risposta di Gesù riprende e unisce due precetti fondamentali, che Dio ha dato al suo popolo mediante Mosè (cfr Dt 6,5; Lv 19,18). E così supera il trabocchetto che gli è stato teso «per metterlo alla prova» (v. 35). Il suo interlocutore, infatti, cerca di trascinarlo nella disputa tra gli esperti della Legge sulla gerarchia delle prescrizioni. Ma Gesù stabilisce due cardini essenziali per i credenti di tutti i tempi, due cardini essenziali della nostra vita. Il primo è che la vita morale e religiosa non può ridursi a un’obbedienza ansiosa e forzata. C’è gente che cerca di compiere i comandamenti in modo ansioso o forzato, e Gesù ci fa capire che la vita morale e religiosa non può ridursi a un’obbedienza ansiosa e forzata, ma deve avere come principio l’amore. Il secondo cardine è che l’amore deve tendere insieme e inseparabilmente verso Dio e verso il prossimo. Questa è una delle principali novità dell’insegnamento di Gesù e ci fa capire che non è vero amore di Dio quello che non si esprime nell’amore del prossimo; e, allo stesso modo, non è vero amore del prossimo quello che non attinge dalla relazione con Dio.

Gesù conclude la sua risposta con queste parole: «Da questi due comandamenti dipendono tutta la Legge e i Profeti» (v. 40). Ciò significa che tutti i precetti che il Signore ha dato al suo popolo devono essere messi in rapporto con l’amore di Dio e del prossimo. Infatti, tutti i comandamenti servono ad attuare, ad esprimere quel duplice indivisibile amore. L’amore per Dio si esprime soprattutto nella preghiera, in particolare nell’adorazione. Noi trascuriamo tanto l’adorazione a Dio. Facciamo la preghiera di ringraziamento, la supplica per chiedere qualche cosa…, ma trascuriamo l’adorazione. È adorare Dio proprio il nocciolo della preghiera. E l’amore per il prossimo, che si chiama anche carità fraterna, è fatto di vicinanza, di ascolto, di condivisione, di cura per l’altro. E tante volte noi tralasciamo di ascoltare l’altro perché è noioso o perché mi toglie del tempo, o di portarlo, accompagnarlo nei suoi dolori, nelle sue prove… Ma troviamo sempre il tempo per chiacchierare, sempre! Non abbiamo tempo per consolare gli afflitti, ma tanto tempo per chiacchierare. State attenti! Scrive l’apostolo Giovanni: «Chi non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede» (1 Gv 4,20). Così si vede l’unità di questi due comandamenti.

Nel Vangelo di oggi, ancora una volta, Gesù ci aiuta ad andare alla sorgente viva e zampillante dell’Amore. E tale sorgente è Dio stesso, da amare totalmente in una comunione che niente e nessuno può spezzare. Comunione che è dono da invocare ogni giorno, ma anche impegno personale perché la nostra vita non si lasci schiavizzare dagli idoli del mondo. E la verifica del nostro cammino di conversione e di santità è sempre nell’amore del prossimo. Questa è la verifica: se io dico “amo Dio” e non amo il prossimo, non va. La verifica che io amo Dio è che amo il prossimo. Finché ci sarà un fratello o una sorella a cui chiudiamo il nostro cuore, saremo ancora lontani dall’essere discepoli come Gesù ci chiede. Ma la sua divina misericordia non ci permette di scoraggiarci, anzi ci chiama a ricominciare ogni giorno per vivere coerentemente il Vangelo.

L’intercessione di Maria Santissima ci apra il cuore per accogliere il “grande comandamento”, il duplice comandamento dell’amore, che riassume tutta la legge di Dio e da cui dipende la nostra salvezza.

[Papa Francesco, Angelus 25 ottobre 2020]

Mercoledì, 14 Agosto 2024 03:19

La Festa, la Veste

Tutti chiamati, ma con quale corredo? Senza artifizi

(Mt 22,1-14)

 

La «veste di nozze» (vv.11-12) è figura dell’essenziale - l’imprescindibile senz’ammennicoli di ricercatezza.

Il Regno di Dio annunciato da Gesù non ammette noncuranze personali e civili [cf. Mt 21]. E il Banchetto predicato dal Maestro non è un Giardino di Eden per un futuro nell’aldilà, bensì un filo diretto.

La sua Mensa imbandita è la nuova condizione in cui viene introdotta la persona che si fida della sua proposta.

Ma c’è chi si sente sazio, perché ritiene di possedere già quanto basta per una vita senza troppi problemi.

Era la situazione delle autorità, soddisfatte della sovrabbondante struttura religiosa, la quale sembrava offrisse una giusta sicurezza sociale, e certezza anche davanti a Dio.

Tutti sono chiamati (v.14) al Banchetto, tuttavia qualcuno non ha mantenuto il vestitino bianco del Battesimo in Cristo. Ha totalmente cambiato corredo, e si presenta con gli stracci della vita antica.

Gesù riprende a parlare con i leaders e li affronta senza mezze misure, perché non paragona il Regno del Padre a un’assemblea solenne, bensì a una festa nuziale!

Nella franchezza semplice, popolare, immediata e gioconda di uno sposalizio c’è una realtà umana caratterizzante la condizione divina: la Gioia spontanea delle relazioni franche, a tu per tu.

La proposta di novità festante viene però rifiutata. Gli autosufficienti ed esperti venerano un altro padrone: l’interesse. 

L’opportunismo non può essere ingrediente del Sacro: il tornaconto ripiega le persone su di sé, chiude lo sguardo, rende unilaterali, cupi.

E i calcoli spregevoli portano il popolo a distruzione (v.7).

Lo sfondo della parabola è l’attrito fra giudei e pagani convertiti.

Considerandosi prescelti - «eletti» (v.14) - i primi si rifiutavano di spezzare il Pane, condividere, mettersi alla pari coi secondi.

Interessante invece che proprio i servitori fedeli, spingi spingi, si distinguessero a rovescio: in qualsiasi circostanza restavano disposti a entrare “ultimi” al Banchetto.

Insomma, lo spazio aperto dall’auto-esclusione del popolo chiamato per primo non sarebbe riuscita a mettere la parola “fine” agli sforzi di coloro che da sempre lottano per la vita e l'autenticità.

Gli alberi fruttiferi non amano prevaricare. Rischiano e occupano solo l’ultimo posto; per stare vicini agli incerti, e incoraggiarli. 

Quindi al v.9 Mt invita ad andare agli «sbocchi delle vie» [testo greco] ossia nelle periferie esistenziali dove la vita non è scontata, ma pulsa sempre nuova. Lì dove non si può essere indifferenti.

Il termine greco indica la fine delle strade urbane (rassicuranti) e l’inizio dei sentieri poco curati e rischiosi.

Nella mentalità semitica, erano il confine del territorio puro e la soglia dei luoghi precari, contaminati.

Non solo: l’offerta d’amore di Dio raduna per primi i “cattivi” [«malvagi»: v.10 testo greco] per sottolineare che il Cielo non è a punti’.

Esso è a disposizione dei bisognosi, di chi si riconosce tale.

Però tutti possono essere malvestiti fuori, non dentro: ossia vigili al fratello e diligenti. Siamo chiamati ad abbandonare trascuratezze e noncuranze.

Per Fede che ci incorpora senza condizioni allo Sposo, l’abito pulito e fastoso è sempre messo a disposizione dal Padrone di Casa.

Ma indossarlo è frutto di una scelta consapevole, fatta propria: voler «partorire un mondo nuovo, dove tutti siamo fratelli, dove ci sia posto per ogni scartato» [Fratelli Tutti, n. 278].

Il popolo di Dio non può vivere in un mondo parallelo, scollegato e doppio - come se l’unico Dio adorato fosse ‘marketing e convenienza’.

 

 

[Giovedì 20.a sett. T.O.  22 agosto 2024]

Mercoledì, 14 Agosto 2024 03:15

La Festa, la Veste

Tutti chiamati, ma con quale corredo? Senza artifizi

Mt 22,1-14 (1-21)

 

La «veste di nozze» (vv.11-12) è figura dell’essenziale - l’imprescindibile anche precario, senz’ammennicoli di ricercatezza.

«“Ognuno di voi, dunque, che nella Chiesa ha fede in Dio ha già preso parte al banchetto di nozze, ma non può dire di avere la veste nuziale se non custodisce la grazia della Carità” (Homilia 38,9: PL 76,1287). E questa veste è intessuta simbolicamente di due legni, uno in alto e l’altro in basso: l’amore di Dio e l’amore del prossimo (cfr ibid.,10: PL 76,1288)» (Gregorio Magno; Papa Benedetto, 9 ottobre 2011).

 

Il Regno di Dio annunciato da Gesù è diverso da quello immaginato dai rabbini, la cui dottrina poteva ammettere noncuranze personali e civili [es: venditori nel tempio, fico sterile, obiezione sull’autorità, vignaioli omicidi, così via: Mt 21].

Il Banchetto predicato dal Maestro non è un Giardino di Eden allestito per un futuro nell’aldilà, che intanto - sebbene a sprazzi - possa sopportare l’inautenticità. Bensì un filo diretto.

La sua Mensa imbandita è la nuova condizione in cui viene introdotta la persona che si fida della sua proposta di condivisione.

C’è chi si sente sazio, perché ritiene di possedere già quanto basta per una vita senza troppi problemi - e allora si adatta a qualsiasi occasione, perfino meschina.

Era la situazione delle autorità, soddisfatte della sovrabbondante struttura religiosa, la quale sembrava offrisse una giusta sicurezza sociale, e certezza anche davanti a Dio.

Invece (come dire): non basta avere il proprio nome trascritto nei registri parrocchiali, e poi presentarsi con gli stracci della vita antica.

 

Oggi la rinascita dalla crisi globale chiama a opzioni fondamentali, a cambiare radicalmente mentalità e realtà.

Bisogna davvero rinnovare il ‘vestiario’, ossia impostare le scelte su nuovi valori. 

È opportuno ridiventare plastici, rimodellarci sulla Persona del Cristo,  non rifiutare i mutamenti che stimolano - sino a costruire un comune progetto di vita, e riedificare il mondo attorno.

Tutti sono chiamati (v.14), però qualcuno non ha mantenuto il vestitino bianco del Battesimo. Ha totalmente cambiato corredo, purtroppo - malgrado in alcuni casi presieda e difenda l’istituzione.

Gesù riprende a parlare con i leaders e li offende senza mezze misure, perché non paragona il Regno del Padre a un’assemblea liturgica delle loro, quelle ben allestite, di grandi autorità, piena di artifici… bensì a una festa nuziale, senza sacri stendardi!

In quella semplicità festosa, nella franchezza immediata e gioconda di uno sposalizio c’è una realtà umana caratterizzante la condizione divina: la Gioia spontanea delle relazioni franche, a tu per tu - ormai smarrita nei formalismi della religione assuefatta.

La proposta di novità festante viene però rifiutata. Gli autosufficienti ed esperti (che la sanno lunga) venerano un altro padrone: l’interesse.

L’opportunismo non può essere ingrediente del Sacro: il tornaconto ripiega le persone su di sé, chiude lo sguardo, rende unilaterali e cupi.

Consegna la Chiesa alle cordate.

Gesù si accorge: tutto quello che gli astuti e affezionati di messinscene facevano era funzione del loro utile. Infatti pensavano il Regno in modo elettivo, già selezionato [e commerciale, solito].

Come per gli operai dell’ultima ora [Mt 20,1-16] unica moneta per tutti è Cristo stesso. Ma ai veterani che si considerano primi della classe per diritto, la felicità delle persone non interessa.

Quindi il destino dei Profeti non era altro che l’esito disattento di calcoli spregevoli [in Luca 14,18-20 “normalissimi” doveri quotidiani] i quali però stavano portando il popolo a distruzione (v.7).

 

Lo sfondo della parabola è l’attrito fra giudei convertiti e pagani convertiti.

Considerandosi prescelti - “eletti” (v.14) - i primi si rifiutavano di spezzare il Pane, condividere e mettersi alla pari coi secondi.

Interessante invece che proprio i servitori fedeli, spingi spingi, si distinguessero a rovescio: già li si riconosceva perché in qualsiasi circostanza restavano disposti a entrare “ultimi” al Banchetto.

Insomma, lo spazio aperto dall’auto-esclusione del popolo chiamato per primo non sarebbe riuscita a mettere la parola “fine” agli sforzi di coloro che da sempre lottano per la vita e l'autenticità.

Gli alberi fruttiferi - sostiene Gesù, e lo vediamo anche oggi ovunque - non amano prevaricare: preferiscono produrre, senza rivendicazioni opportuniste, né invidie.

Rischiano, e occupano solo l’ultimo posto; per stare vicini agli incerti, e incoraggiarli. 

Quindi al v.9 Mt non parla di andare nei crocicchi [traduzione CEI] bensì agli sbocchi delle vie [testo greco].

Papa Francesco direbbe: nelle periferie esistenziali, dove la vita non è scontata, ma pulsa sempre nuova. Lì dove non si può essere indifferenti.

Il termine greco indica la fine delle strade urbane (rassicuranti) e l’inizio dei sentieri poco curati e rischiosi.

Nella mentalità semitica, erano il confine del territorio puro e la soglia dei luoghi precari, contaminati.

Non solo: l’offerta d’amore di Dio raduna per primi i “cattivi” [«malvagi»: v.10 testo greco] per sottolineare che il Cielo non è a punti’.

Esso è a disposizione dei bisognosi, di chi si riconosce tale.

 

Però tutti possono essere malvestiti fuori, non dentro: ossia vigili al fratello e diligenti.

Siamo chiamati ad abbandonare trascuratezze e noncuranze.

Per non creare confusione sul Volto di Dio e non rovinare la vita dei più motivati, all’interno della Chiesa è necessario un cambiamento di mentalità.

Una decisa sostituzione di princìpi e convenienze, rovesciando ogni ideologia piramidale, di tornaconto e di potere.

Per Fede che ci incorpora senza condizioni allo Sposo, l’abito pulito e fastoso è sempre messo a disposizione dal Padrone di Casa.

Ma indossarlo è frutto di una scelta consapevole, fatta propria: voler «partorire un mondo nuovo, dove tutti siamo fratelli, dove ci sia posto per ogni scartato» [Fratelli Tutti, n. 278].

Ovvero continueremo a subire il viaggio nel mondo parallelo - talora anche comunitario - dove tutto è scollegato e doppio: esito di pessimi indottrinamenti, corrotte opzioni e diaboliche ragioni.

Come se l’unico Dio adorato fosse ‘marketing e convenienza’.

 

 

Per interiorizzare e vivere il messaggio:

 

Cosa ritieni diabolico e immagini possa allontanarti dalla via spirituale?Pensi a Dio in modo serioso o lo associ alla gioia di una festa di nozze?

 

 

Restituire a Dio l’immagine dell’umanità vera. Quale Sigla?

 

(Mt 22,15-21)

 

Dopo la cacciata dei venditori dal Tempio, l’obiezione sull’autorità  e le parabole dei due figli, dei vignaioli omicidi, del banchetto rifiutato (riferite tutte all’élite), ecco un altro scontro fra Gesù e i leaders politici e religiosi - questi ultimi piazzati dietro le quinte.

Gesù (nei suoi) smantella sistematicamente le trappole allestite da direttori e soliti esperti.

Con sperimentata doppiezza, essi si accostano a Lui cercando di accarezzarne l’amor proprio (v.16: situazioni che capitano spesso anche ai testimoni critici).

L’interesse dei furbi si scontra però con l'attenzione del Cristo, tutto proteso al bene reale delle persone e al rispetto dell’intelligenza delle cose - non alla smania di approvazioni o all’opportunismo.

Proprio nel Tempio (Mt 21,23) - l’eminente Dimora del Dio unico Signore - questi gendarmi provocano il nuovo Rabbi sul pagamento delle tasse ai romani (22,17).

Sappiamo cosa c’era in ballo: l’accusa di non essere un profeta secondo il Diritto divino, o (viceversa) quella di collaborazionismo con gli occupanti.

Il Maestro non si lascia ingannare dall’ostentazione di vicinanza al Dio d’Israele - falsa perché cercata all’esterno - e li gioca facilmente.

Nel Tempio di Gerusalemme era vietato portare monete romane, che raffiguravano profili e insegne imperiali (contrarie al Comandamento “Non ti farai immagine alcuna”).

Egli però le chiede, perché effettivamente non ne aveva. Ma proprio i paludati gliene porgono una... La scena rasenta il ridicolo.

Traendo la moneta vietata dal sacchetto celato sotto il mantello, proprio i dirigenti palesano il loro vero Dio: l’interesse (ben nascosto sotto maniere devotissime e ostentate, che fanno solo da paravento).

Cristo invita a non lasciarci lusingare dalla doppiezza ostentata delle insegne: quel che conta è non ingannare la gente usando forme pie come maschera da teatranti (v.18 testo greco).

I fanatici della purezza vivono solo l’angolo epidermico; e ad esso si affidano: non di rado nascondono bene le medesime passioni materiali che disdegnano. Con Cristo non funziona.

Ciascuno è chiamato a restituire al suo vero signore l’immagine e somiglianza indelebile che vi è stata incisa. Dunque la moneta venga data indietro al suo padrone.

La donna e l’uomo - creature in cui è impressa l’immagine e somiglianza di Dio - restituiscano se stessi in autenticità, al Creatore (v.21) che dimora nella loro essenza di persone.

L'umanità è siglata da ben altra appartenenza intima e naturale, che quelle di comodo.

 

 

Eucaristia, gratuità e sconosciuti: inaudito o marketing

(Lc 14,15-24)

 

Gesù non paragona il Regno del Padre a un’assemblea solenne, bensì a una grande Cena!

La proposta di novità festante viene però rifiutata. Gli autosufficienti ed esperti hanno altri impegni e interessi…

Dopo la distruzione del Tempio, il governo delle sinagoghe fu assunto dai farisei, salvatisi dal disastro perché il loro tradizionalismo non aveva esplicite venature politico-nazionaliste.

Ritenevano infatti che l’attesa del Messia non aveva nulla a che fare con la lotta contro Roma; in questo sembravano in sintonia coi cristiani.

Ma di continuo esigevano nei seguaci il rigido compimento delle norme che identificavano la religione giudaica tradizionale.

Dopo l’anno 70 tale pretesa li condusse a una sempre più ossessiva condanna dei giudei convertiti al Signore Gesù - e a fine secolo alla cacciata dalle sinagoghe.

I leaders religiosi fondamentalisti finirono quindi per emarginare anche socialmente i fedeli al più giovane Messia, rei di trascurare le distinzioni fra costumanze d’Israele e quelle di altri popoli.

Nelle comunità di Lc la situazione era meno lacerante, ma ugualmente viva.

I convertiti alla fede in Cristo provenivano in buona parte dal paganesimo, che nonostante diversità di bagaglio culturale e ceto, vivevano qua e là [senza quelle tare ideologiche puriste] l’ideale della condivisione e della comunione anche dei beni.

L’invito a prendere parte alla Festa è stato inizialmente rivolto ai figli d’Israele, che ancora paragonavano i tempi messianici a un grande Banchetto, caratterizzato da gratitudine e fraternità (interna).

Ma le difficoltà ad allargare i criteri di comunione venivano appunto dai convertiti dal giudaismo, che per lunga pratica conservavano l’usanza di non condividere il cibo coi lontani; così lo spezzare del Pane eucaristico.

Nell’ambito delle loro usanze e delle norme sacrali attestate nella Torah (Dt 20,5-7) il comportamento di coloro che rifiutano l’invito della parabola del Banchetto (vv.18-20) era legittimo dal punto di vista del diritto riconosciuto - non dell’amicizia.

È per accentuare il senso del gesto che il padrone della festa ordina ai servitori di raccogliere proprio coloro che erano socialmente esclusi dalla religione antica, perché considerati impuri: i pagani. Aperti all’attesa.

Cristo continua a tracciare una linea divisoria tra chi propugna un ordine e ideali intoccabili sopra la realtà umana, e coloro che essendo in periferia sono sempre ben disposti a partecipare alla Festa.

Non sono i “tutti preoccupati del rito”, delle maniere, dell’apparire; ma della vita che spargono.

Questi ultimi non si lasciano condizionare da privilegi, loro cose, e leggi: danno senza tenere conti a partita doppia, accettano con prontezza naturale; si rallegrano della realtà e non della distinzione fra sacro e profano. Non pensano di avere già la risposta, e non finiscono con l’esserne schiavi.

L’insegnamento di Gesù invita a non limitare gli affetti e non lasciarsi ingombrare il cuore dalle consuetudini, dalla mentalità particolare o corrente, da blocchi legalisti - o dalle ‘tante cose’.

Nell’assemblea dei figli non sono i ben provveduti [persone serie, piene d’impegni, che non hanno tempo da perdere, con troppi beni e inviti da gestire] ma la gente dappoco... che passa in primo piano... malgrado le scarse attitudini.

Tutto ciò, perché caratteristica dei Piccoli e pitocchi è la disponibilità a valicare steccati: ciò che rende atti a cogliere la convocazione di Dio.

I lontani - benché alle strette - riempiono la casa del Padre.

In società il povero è uno dei tanti, ma l’invito a Mensa gli trasmette il senso dei valori che non soffocano la vita di meschinità, e legami; anzi, l’indigente ha spesso una migliore comprensione delle cose divino-umane.

Questa sempre più cosciente rassomiglianza al Figlio di Dio si accentua nello stento dei mezzi “adeguati”: penuria che rende veri, che induce altri a riflettere - restando poco eclatanti, incapaci di fare fulmini.

Tale consapevolezza intima, luminosa, trasfigurante, impallidisce e si spegne nel vortice dei legalismi, delle convenzioni culturali.

Sembra attenuarsi nel moltiplicare vertiginoso delle attività - esse che non riformano: ci rendono esterni e condizionati dai vantaggi della sicurezza mondano-sacrale, purtroppo monopolista.

Un banchetto obbligatorio non sarebbe un Banchetto... certamente non è una Festa, un Dono da curare - confuso con vantaggi o perfezioni [pessima interpretazione dei circoli osservanti cocciuti].

Per questo motivo molti preferiscono il loro purgatorio particolare al Cielo sulla terra che il Padre offre.

La nostra solidarietà non è un fatto di simpatia, interessi comuni e spirito di corpo, bensì il risultato di una Chiamata estesa, di un’unica Vita potente che circola in tutti, rispettandone libertà e realtà - nonché le fasi di mutamento.

Parafrasando l'enciclica Fratelli Tutti (nn.13-15, passim) secondo il passo di Lc bisogna rimanere attenti a non impoverire la vita di Fede, trasformandola in un distaccato impegno alla «colonizzazione culturale».

Se così fosse, anche l’orizzonte universale-cattolico d’una convivialità delle differenze si dissolverebbe in un invito troppo normalizzato, assolutamente prevedibile, infine desertico.

Il rifiuto ingessato o interessato al Banchetto recherebbe con sé - come sotto i nostri occhi - l’«ulteriore disgregazione» del «pensiero critico», dell’azione «per la giustizia», dei suoi «percorsi d’integrazione».

Anche la società ecclesiale può infatti correre il rischio di «alterare le grandi parole», «rischiare d’impoverirsi»; quindi «ridursi alla prepotenza del più forte» e alle «ricette solo effimere di marketing, che trovano nella distruzione dell’altro la risorsa più efficace».

Ma il popolo di Dio non può vivere in un mondo parallelo, scollegato e doppio - come se l’unico Eterno adorato fosse un coacervo di astuzie, marketing e convenienza.

 

 

Per interiorizzare e vivere il messaggio:

 

Cosa trasmette l’Eucaristia nella tua realtà ecclesiale o di gruppo? Che invito particolare e speciale comunica?

Mercoledì, 14 Agosto 2024 03:12

La veste nuziale o al primo posto gli interessi

Gesù nel Vangelo ci parla della risposta che viene data all’invito di Dio - rappresentato da un re - a partecipare a questo suo banchetto (cfr Mt 22,1-14). Gli invitati sono molti, ma avviene qualcosa di inaspettato: si rifiutano di partecipare alla festa, hanno altro da fare; anzi alcuni mostrano di disprezzare l’invito. Dio è generoso verso di noi, ci offre la sua amicizia, i suoi doni, la sua gioia, ma spesso noi non accogliamo le sue parole, mostriamo più interesse per altre cose, mettiamo al primo posto le nostre preoccupazioni materiali, i nostri interessi. L’invito del re incontra addirittura reazioni ostili, aggressive. Ma ciò non frena la sua generosità. Egli non si scoraggia, e manda i suoi servi ad invitare molte altre persone. Il rifiuto dei primi invitati ha come effetto l’estensione dell’invito a tutti, anche ai più poveri, abbandonati e diseredati. I servi radunano tutti quelli che trovano, e la sala si riempie: la bontà del re non ha confini e a tutti è data la possibilità di rispondere alla sua chiamata. Ma c’è una condizione per restare a questo banchetto di nozze: indossare l’abito nuziale. Ed entrando nella sala, il re scorge qualcuno che non l’ha voluto indossare e, per questa ragione, viene escluso dalla festa. Vorrei fermarmi un momento su questo punto con una domanda: come mai questo commensale ha accettato l’invito del re, è entrato nella sala del banchetto, gli è stata aperta la porta, ma non ha messo l’abito nuziale? Cos’è quest’abito nuziale? Nella Messa in Coena Domini di quest’anno ho fatto riferimento a un bel commento di san Gregorio Magno a questa parabola. Egli spiega che quel commensale ha risposto all’invito di Dio a partecipare al suo banchetto, ha, in un certo modo, la fede che gli ha aperto la porta della sala, ma gli manca qualcosa di essenziale: la veste nuziale, che è la carità, l’amore. E san Gregorio aggiunge: “Ognuno di voi, dunque, che nella Chiesa ha fede in Dio ha già preso parte al banchetto di nozze, ma non può dire di avere la veste nuziale se non custodisce la grazia della Carità” (Homilia 38,9: PL 76,1287). E questa veste è intessuta simbolicamente di due legni, uno in alto e l’altro in basso: l’amore di Dio e l’amore del prossimo (cfr ibid.,10: PL 76,1288). Tutti noi siamo invitati ad essere commensali del Signore, ad entrare con la fede al suo banchetto, ma dobbiamo indossare e custodire l’abito nuziale, la carità, vivere un profondo amore a Dio e al prossimo.

[Papa Benedetto, omelia a Lamezia Terme 9 ottobre 2011]

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The family in the modern world, as much as and perhaps more than any other institution, has been beset by the many profound and rapid changes that have affected society and culture. Many families are living this situation in fidelity to those values that constitute the foundation of the institution of the family. Others have become uncertain and bewildered over their role or even doubtful and almost unaware of the ultimate meaning and truth of conjugal and family life. Finally, there are others who are hindered by various situations of injustice in the realization of their fundamental rights [Familiaris Consortio n.1]
La famiglia nei tempi odierni è stata, come e forse più di altre istituzioni, investita dalle ampie, profonde e rapide trasformazioni della società e della cultura. Molte famiglie vivono questa situazione nella fedeltà a quei valori che costituiscono il fondamento dell'istituto familiare. Altre sono divenute incerte e smarrite di fronte ai loro compiti o, addirittura, dubbiose e quasi ignare del significato ultimo e della verità della vita coniugale e familiare. Altre, infine, sono impedite da svariate situazioni di ingiustizia nella realizzazione dei loro fondamentali diritti [Familiaris Consortio n.1]
"His" in a very literal sense: the One whom only the Son knows as Father, and by whom alone He is mutually known. We are now on the same ground, from which the prologue of the Gospel of John will later arise (Pope John Paul II)
“Suo” in senso quanto mai letterale: Colui che solo il Figlio conosce come Padre, e dal quale soltanto è reciprocamente conosciuto. Ci troviamo ormai sullo stesso terreno, dal quale più tardi sorgerà il prologo del Vangelo di Giovanni (Papa Giovanni Paolo II)
We come to bless him because of what he revealed, eight centuries ago, to a "Little", to the Poor Man of Assisi; - things in heaven and on earth, that philosophers "had not even dreamed"; - things hidden to those who are "wise" only humanly, and only humanly "intelligent"; - these "things" the Father, the Lord of heaven and earth, revealed to Francis and through Francis (Pope John Paul II)
Veniamo per benedirlo a motivo di ciò che egli ha rivelato, otto secoli fa, a un “Piccolo”, al Poverello d’Assisi; – le cose in cielo e sulla terra, che i filosofi “non avevano nemmeno sognato”; – le cose nascoste a coloro che sono “sapienti” soltanto umanamente, e soltanto umanamente “intelligenti”; – queste “cose” il Padre, il Signore del cielo e della terra, ha rivelato a Francesco e mediante Francesco (Papa Giovanni Paolo II)
But what moves me even more strongly to proclaim the urgency of missionary evangelization is the fact that it is the primary service which the Church can render to every individual and to all humanity [Redemptoris Missio n.2]
Ma ciò che ancor più mi spinge a proclamare l'urgenza dell'evangelizzazione missionaria è che essa costituisce il primo servizio che la chiesa può rendere a ciascun uomo e all'intera umanità [Redemptoris Missio n.2]
That 'always seeing the face of the Father' is the highest manifestation of the worship of God. It can be said to constitute that 'heavenly liturgy', performed on behalf of the whole universe [John Paul II]
Quel “vedere sempre la faccia del Padre” è la manifestazione più alta dell’adorazione di Dio. Si può dire che essa costituisce quella “liturgia celeste”, compiuta a nome di tutto l’universo [Giovanni Paolo II]

Due Fuochi due Vie - Vol. 1 Due Fuochi due Vie - Vol. 2 Due Fuochi due Vie - Vol. 3 Due Fuochi due Vie - Vol. 4 Due Fuochi due Vie - Vol. 5 Dialogo e Solstizio I fiammiferi di Maria

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