don Giuseppe Nespeca

don Giuseppe Nespeca

Giuseppe Nespeca è architetto e sacerdote. Cultore della Sacra scrittura è autore della raccolta "Due Fuochi due Vie - Religione e Fede, Vangeli e Tao"; coautore del libro "Dialogo e Solstizio".

Lampade accese, partire subito

(Lc 12,35-38)

 

Per far comprendere cosa significa essere preparati per partire immediatamente, Gesù sollecita il nostro accorgersi, le capacità di percezione.

Egli non spegne l’attitudine al giudizio inedito, e guadagna stupore.

Perché i ruoli s’invertono d’improvviso - quindi bisogna essere aperti alla fiducia: chi pare piccolo diventa “grande” in modo repentino.

La religione antica trascina i problemi, e fa ammalare, inculcando lo spirito di sottomissione e fatica, a salario. E lo schiavo resta tale.

Servitore e padrone sono viceversa in relazione di reciprocità e invertono incessantemente i ruoli.

Come dice Lc, il Signore stesso «si cingerà e li farà adagiare [posizione dei signori del tempo durante i banchetti solenni] e passando li servirà» come fosse un «diacono» (v.37 testo greco).

Ciò attiva una vigilanza totale, pronta a smuovere l’intera persona, i territori (Fratelli Tutti, n.1: «al di là del luogo del mondo»), le gerarchie.

Chi si sentiva “impiegato” diventa “direttore” e protagonista: acquisisce attitudine alla pienezza.

 

Nel Regno di Dio le forme di vita cambiano.

Nelle religioni senza il passo della Fede - viceversa - si consolidano le nomenclature.

Nella Chiesa non si tesoreggia, perché il nostro cuore non vive di mondanità e competizioni: i beni vengono trasformati in relazione e possibilità d’incontro.

Cristo ha mostrato la Via dell’autentico arricchimento. Così ci ha trasformati in esseri forse inquieti, ma alacri.

Non riusciamo neppure a riposare in modo tranquillo: abbiamo un passo che sorvola.

Infatti sembra stranissimo che questo Padrone non giunga all’orario previsto. Invece Cristo vuol essere reinterpretato.

Tale condizione è per noi fonte di crescita: accentua la vigilanza sugli accadimenti, le pieghe della storia; sul senso degli incontri, i moti dell'anima; così via.

Quindi la vita nello Spirito sfida e arricchisce il lato esuberante della personalità, accentuando le più singolari occasioni d’inedito.

 

Il «maggiordomo» posto a servizio della Casa di Dio e dei fratelli ha il compito di aiutare il discernimento dinamico, e il dovere di sostenerlo.

Il suo servizio in favore altrui sarà a tutto tondo, perché ciascuno possa corrispondere alla Chiamata e procedere sulle proprie gambe.

‘Beati’ allora saremo (v.38) senza condizione, ma con la cintura ai fianchi, ossia con l’atteggiamento di chi lascia una terra di schiavitù.

 

«Era ben consapevole di ciò la primitiva comunità cristiana che si considerava quaggiù "forestiera" e chiamava i suoi nuclei residenti nelle città "parrocchie", che significa appunto colonie di stranieri [in greco pàroikoi] (cfr 1Pt 2, 11). In questo modo i primi cristiani esprimevano la caratteristica più importante della Chiesa, che è appunto la tensione verso il cielo» [Papa Benedetto, Angelus 12 agosto 2007]

 

 

[Martedì 29.a sett. T.O.  21 Ottobre 2025]

Lunedì, 13 Ottobre 2025 05:33

Lampade accese, partire subito

Parrocchie: tensione al Cielo, senza gravare né ostacolare

(Lc 12,35-38)

 

Per far comprendere cosa significa essere preparati per partire immediatamente, Gesù sollecita il nostro accorgersi, le capacità di percezione.

Egli non spegne l’attitudine al giudizio inedito, e guadagna stupore.

Perché i ruoli s’invertono d’improvviso - quindi bisogna essere aperti alla fiducia: chi pare piccolo diventa “grande” in modo repentino.

La religione antica trascina i problemi, e fa ammalare, inculcando lo spirito di sottomissione e fatica, a salario. Lo schiavo resta tale, sebbene insegua chissà cosa.

Nell’avventura di Fede, non ci s’impegna per traguardi che non corrispondono. In aggiunta, servitore e padrone sono in relazione di reciprocità e invertono incessantemente i ruoli.

Come dice Lc, il Signore stesso «si cingerà e li farà adagiare [posizione dei signori del tempo durante i banchetti solenni] e passando li servirà» come fosse un «diacono» (v.37 testo greco).

Ciò attiva una vigilanza totale, pronta a smuovere l’intera persona, i territori (Fratelli Tutti, n.1: «al di là del luogo del mondo»), le gerarchie.

Chi si sentiva “impiegato” diventa “direttore” e protagonista: acquisisce attitudine alla pienezza.

Nel Regno di Dio le forme di vita cambiano. Nelle religioni - viceversa - si consolidano le nomenclature, e proprio i sintomi degli errori trovano addirittura una sacralizzazione.

Molte forme devote hanno un altro fondamento, una ben diversa idea di come arricchire l’esistenza, rispetto all’esperienza di Fede.

Nella Chiesa non si tesoreggia, perché il nostro cuore non vive di mondanità e competizioni: i beni vengono trasformati in relazione e possibilità d’incontro.

La mansione particolare e l’esistenza intera di ciascuno diventa fonte di gioia per le persone disperate, nutrimento per chi cerca comprensione, ascolto, accoglienza, un «vero riconoscimento» (Fratelli Tutti, 221).

Dice il Tao Tê Ching (LXVI): «Il santo sta disopra e il popolo non n’è gravato, sta davanti e il popolo non n’è ostacolato».

Cristo ha mostrato la Via dell’autentico arricchimento. Così ci ha trasformati in esseri forse inquieti, ma alacri.

Non riusciamo a dormire neppure di notte, a fare vacanza, a riposare in modo tranquillo, rilassato, normale, ma abbiamo un passo che sorvola.

Sospiriamo di continuo, non per la fortuna materiale, ma perché  l’occasione della vita potrebbe non trovarci pronti a riconoscerla.

Diceva Agostino: «Timeo Dominum transeuntem».

Nelle religioni tutto sembra chiaro e prefissato - e in realtà tutto è lasciato nel dubbio e a una stramba ipotesi di futuro sospirato.

Ed infatti è stranissimo che questo Padrone non giunga all’orario previsto.

Invece Cristo vuol essere reinterpretato.

Egli è vivente in noi, congiunti e coeredi - Incarnato, tutto reale. Se così, dilagherà anche nei ribelli, modificandone la visuale.

Tale condizione è per noi fonte di crescita: accentua la vigilanza sugli accadimenti, le pieghe della storia; sul senso degli incontri, i moti dell'anima, e così via.

Quindi la vita nello Spirito sfida e arricchisce il lato esuberante della personalità, accentuando le più singolari occasioni d’inedito.

Il Signore ammette persino il girovagare: talora abbiamo bisogno di perderci, per ritrovarci - e coincidere con ciò che siamo in essenza, e stiamo diventando.

Il «maggiordomo» posto a servizio della Casa di Dio e dei fratelli ha il compito di aiutare il discernimento dinamico, e il dovere di sostenerlo.

Il suo servizio in favore altrui sarà a tutto tondo, perché ciascuno possa corrispondere alla Chiamata e procedere sulle proprie gambe.

E lo faremo volentieri, senza sforzo alcuno, per eccesso di Grazia che ci si fa incontro: malgrado e a motivo dell’indeterminatezza, perché fatti largamente ricchi da Dio.

Beati (v.38) senza condizione, ma con la cintura ai fianchi, ossia con l’atteggiamento di chi lascia una terra di schiavitù.

 

«Era ben consapevole di ciò la primitiva comunità cristiana che si considerava quaggiù "forestiera" e chiamava i suoi nuclei residenti nelle città "parrocchie", che significa appunto colonie di stranieri [in greco pàroikoi] (cfr 1Pt 2, 11). In questo modo i primi cristiani esprimevano la caratteristica più importante della Chiesa, che è appunto la tensione verso il cielo».

[Papa Benedetto, Angelus 12 agosto 2007]

 

 

Per interiorizzare e vivere il messaggio:

La comunità cristiana accentua la tua percezione personale o la smorza? Ti fa vivere in uno stato paludoso e prevedibile, dove tutte le soluzioni sono pronte, complete e già sperimentate, o ti fa ripartire con prontezza, immediatamente e in modo autonomo?

Lunedì, 13 Ottobre 2025 05:28

Costante tensione

La pagina evangelica, proseguendo il messaggio di domenica scorsa, invita i cristiani a distaccarsi dai beni materiali in gran parte illusori, e a compiere fedelmente il proprio dovere con una costante tensione verso l'alto. Il credente resta desto e vigilante per essere pronto ad accogliere Gesù quando verrà nella sua gloria. Attraverso esempi tratti dalla vita quotidiana, il Signore esorta i suoi discepoli, cioè noi, a vivere in questa disposizione interiore, come quei servi della parabola che sono in attesa del ritorno del loro padrone. "Beati quei servi - Egli dice - che il padrone al suo ritorno troverà ancora svegli" (Lc 12, 37). Dobbiamo dunque vegliare, pregando e operando il bene.

Era ben consapevole di ciò la primitiva comunità cristiana che si considerava quaggiù "forestiera" e chiamava i suoi nuclei residenti nelle città "parrocchie", che significa appunto colonie di stranieri [in greco pàroikoi] (cfr 1Pt 2, 11). In questo modo i primi cristiani esprimevano la caratteristica più importante della Chiesa, che è appunto la tensione verso il cielo. L'odierna liturgia della Parola vuole pertanto invitarci a pensare "alla vita del mondo che verrà", come ripetiamo ogni volta che con il Credo facciamo la nostra professione di fede. Un invito a spendere la nostra esistenza in modo saggio e previdente, a considerare attentamente il nostro destino, e cioè quelle realtà che noi chiamiamo ultime: la morte, il giudizio finale, l'eternità, l'inferno e il paradiso. E proprio così noi assumiamo la responsabilità per il mondo e costruiamo un mondo migliore.

La Vergine Maria, che dal cielo veglia su di noi, ci aiuti a non dimenticare che qui, sulla terra, siamo solo di passaggio, e ci insegni a prepararci ad incontrare Gesù che "siede alla destra di Dio Padre Onnipotente: di là verrà a giudicare i vivi e i morti".

[Papa Benedetto, Angelus 12 agosto 2007]

Lunedì, 13 Ottobre 2025 05:25

Riconoscere i segni

Resta con noi Signore risorto!

È questa anche la nostra quotidiana aspirazione.

Se tu rimani con noi,

il nostro cuore è in pace.

Accompagnaci, come hai fatto

con i discepoli di Emmaus, nel nostro cammino personale ed ecclesiale. Aprici gli occhi, affinché sappiamo riconoscere

i segni della tua ineffabile presenza.

Rendici docili all’ascolto del tuo Spirito.

Nutriti ogni giorno

del tuo Corpo e del tuo Sangue,

sapremo riconoscerti

e ti serviremo nei nostri fratelli.

[Giovanni Paolo II]

Lunedì, 13 Ottobre 2025 05:15

Nostalgici del Cielo

Nell’odierna pagina evangelica (cfr Lc 12,32-48), Gesù richiama i suoi discepoli alla continua vigilanza. Perché? Per cogliere il passaggio di Dio nella propria vita, perché Dio continuamente passa nella vita. E indica le modalità per vivere bene questa vigilanza: «Siate pronti, con le vesti strette ai fianchi e le lampade accese» (v. 35). Questa è la modalità. Anzitutto «le vesti strette ai fianchi», un’immagine che richiama l’atteggiamento del pellegrino, pronto per mettersi in cammino. Si tratta di non mettere radici in comode e rassicuranti dimore, ma di abbandonarsi, di essere aperti con semplicità e fiducia al passaggio di Dio nella nostra vita, alla volontà di Dio, che ci guida verso la meta successiva. Il Signore sempre cammina con noi e tante volte ci accompagna per mano, per guidarci, perché non sbagliamo in questo cammino così difficile. Infatti, chi si fida di Dio sa bene che la vita di fede non è qualcosa di statico, ma è dinamica! La vita di fede è un percorso continuo, per dirigersi verso tappe sempre nuove, che il Signore stesso indica giorno dopo giorno. Perché Lui è il Signore delle sorprese, il Signore delle novità, ma delle vere novità.

E poi – la prima modalità era “le vesti strette ai fianchi” – poi ci è richiesto di mantenere «le lampade accese», per essere in grado di rischiarare il buio della notte. Siamo invitati, cioè, a vivere una fede autentica e matura, capace di illuminare le tante “notti” della vita. Lo sappiamo, tutti abbiamo avuto giorni che erano vere notti spirituali. La lampada della fede richiede di essere alimentata di continuo, con l’incontro cuore a cuore con Gesù nella preghiera e nell’ascolto della sua Parola. Riprendo una cosa che vi ho detto tante volte: portate sempre un piccolo Vangelo in tasca, nella borsa, per leggerlo. È un incontro con Gesù, con la Parola di Gesù. Questa lampada dell’incontro con Gesù nella preghiera e nella sua Parola ci è affidata per il bene di tutti: nessuno, dunque, può ritirarsi intimisticamente nella certezza della propria salvezza, disinteressandosi degli altri. È una fantasia credere che uno possa da solo illuminarsi dentro. No, è una fantasia. La fede vera apre il cuore al prossimo e sprona verso la comunione concreta con i fratelli, soprattutto con coloro che vivono nel bisogno.

E Gesù, per farci capire questo atteggiamento, racconta la parabola dei servitori che attendono il ritorno del padrone quando torna dalle nozze (vv. 36-40), presentando così un altro aspetto della vigilanza: essere pronti per l’incontro ultimo e definitivo col Signore. Ognuno di noi si incontrerà, si troverà in quel giorno dell’incontro. Ognuno di noi ha la propria data dell’incontro definitivo. Dice il Signore: «Beati quei servi che il padrone al suo ritorno troverà ancora svegli; … E, se giungendo nel mezzo della notte o prima dell’alba, li troverà così, beati loro!» (vv. 37-38). Con queste parole, il Signore ci ricorda che la vita è un cammino verso l’eternità; pertanto, siamo chiamati a far fruttificare tutti i talenti che abbiamo, senza mai dimenticare che «non abbiamo qui la città stabile, ma andiamo in cerca di quella futura» (Eb 13,14). In questa prospettiva, ogni istante diventa prezioso, per cui bisogna vivere e agire su questa terra avendo la nostalgia del cielo: i piedi sulla terra, camminare sulla terra, lavorare sulla terra, fare il bene sulla terra, e il cuore nostalgico del cielo.

Noi non possiamo capire davvero in cosa consista questa gioia suprema, tuttavia Gesù ce lo fa intuire con la similitudine del padrone che trovando ancora svegli i servi al suo ritorno: «si cingerà le sue vesti, li farà mettere a tavola e passerà a servirli» (v. 37). La gioia eterna del paradiso si manifesta così: la situazione si capovolgerà, e non saranno più i servi, cioè noi, a servire Dio, ma Dio stesso si metterà a nostro servizio. E questo lo fa Gesù fin da adesso: Gesù prega per noi, Gesù ci guarda e prega il Padre per noi, Gesù ci serve adesso, è il nostro servitore. E questa sarà la gioia definitiva. Il pensiero dell’incontro finale con il Padre, ricco di misericordia, ci riempie di speranza, e ci stimola all’impegno costante per la nostra santificazione e per costruire un mondo più giusto e fraterno.

La Vergine Maria, con la sua materna intercessione, sostenga questo nostro impegno.

[Papa Francesco, Angelus 11 agosto 2019]

Aprire i portoni blindati

(Lc 12,13-21)

 

«Certe parti dell’umanità sembrano sacrificabili a vantaggio di una selezione che favorisce un settore umano degno di vivere senza limiti» [Fratelli Tutti n.18].

 

Basilio il Grande commentava: «Qui non si condanna chi rapina, ma chi non condivide il suo».

Insensatezza dell’accumulare.

 

Il Dono di Dio è completo, ma ciascuno è bisognoso. Perché? Per accentuare il «fecondo interscambio».

E lo stiamo sperimentando: solo la voglia di ‘nascere nella reciprocità’ può combattere l’«impoverimento di tutti» e la stessa «sclerosi culturale» [cf. FT 133-138].

Ogni gesto di generosità cela la fioritura d’una energia vivificante innata, che fa scorrere l’anima e i capitali fuori delle mura compaginate e oltre i bordi di magazzino.

Pungolo che non ripiega le persone sulla convenienza. Impulso che viceversa sposterà la nostra immaginazione verso ben altri orizzonti, credenze e desideri.

Insomma, fare comunione è questione di vita o morte, perché ricco e povero vivono o declinano insieme.

La crescita è dunque nel porgersi e accogliere.

 

Nell’insuperabile Omelia 6, il primo dei Padri cappadoci sottolineava che anche chi sovrabbonda di beni si tormenta sul da farsi, chiedendosi: «Che farò?».

«Si lamenta come i poveri. Non sono forse queste le parole di chi è oppresso dalla miseria? Che farò? [...] Che farò? La risposta era semplice: ‘Sazierò gli affamati, aprirò i granai e chiamerò tutti i poveri’ [...] Non alzare i prezzi. Non aspettare la carestia per aprire i granai [...] Non attendere che il popolo sia ridotto alla fame per accrescere il tuo oro, né la miseria generale per il tuo arricchimento. Non fare commercio sulle umane disgrazie [...] Non esacerbare le ferite inflitte dal flagello dell’avversità. Tu volgi lo sguardo al tuo oro e lo distogli dal tuo fratello, riconosci ogni moneta e sai distinguere quella falsa da quella vera, ma ignori completamente il fratello che si trova nel bisogno».

 

Il ricco della parabola sembra non avere braccianti o parenti, né una moglie, o figli e amici: li aveva, ma nella sua realtà ci sono - davvero - solamente lui e i beni.

«Imbecille!» - gli dice Dio (v.20).

La soluzione era semplicissima: aprire i cancelli, affinché l’alimento ammucchiato potesse traboccare per le necessità dei meno fortunati - invece di perdere tempo a sfasciare e ricostruire immobili.

Forse è morto d’infarto, ma era già defunto nell’anima.

L’imprenditore che scruta i bisogni altrui per tornaconto, perisce immediatamente dentro e fuori; subisce agitazione, insonnia, tormento, per lo stress del gestire quei miraggi esteriori.

Sono questi sogni strampalati che poi tolgono respiro e diventano incubi senza svolta, dissipando le migliori energie.

 

È viceversa in un clima di coesistenza e convivialità delle differenze che si annidano i migliori stimoli e consigli, anche per la scoperta di quanto ci corrisponde.

Basterebbe vincere l’avidità, la vanità e la mentalità comune, per stare meglio.

Abbandonando lo spirito di accaparramento, ci allontaneremo dalle manie del computo e dell’interesse immediato [volatile].

In tale dinamica, ecco l’esperienza aprirsi ai tanti volti della realtà e delle persone, vivendo di Amicizia.

Qui l’intensità dei legami cova lo sprone personale, le sfide, e la fioritura d’amore che spostano la nostra Visione.

 

Ecco la soglia dei nuovi Tesori che viceversa possono emergere: fidarsi della vita, delle nuove strade, delle azioni che non bloccano lo sviluppo di tutti, né minacciano il senso di Fraternità.

Tralasciando l’accaparramento, potremo cedere all’Esodo liberante.

Primo passo lungo la Via della nostra piena Felicità: investire i tanti beni che ancora abbiamo per creare Incontro e Relazione.

Questione di vita o morte (v.20).

 

 

[Lunedì 29.a sett. T.O.  20 Ottobre 2025]

Domenica, 12 Ottobre 2025 03:19

Saggezza e stoltezza

Nel Vangelo […] l’insegnamento di Gesù riguarda proprio la vera saggezza ed è introdotto dalla domanda di uno della folla: «Maestro, di’ a mio fratello che divida con me l’eredità» (Lc 12,13). Gesù, rispondendo, mette in guardia gli ascoltatori dalla brama dei beni terreni con la parabola del ricco stolto, il quale, avendo accumulato per sé un abbondante raccolto, smette di lavorare, consuma i suoi beni divertendosi e s’illude persino di poter allontanare la morte. «Ma Dio gli disse: “Stolto, questa notte stessa ti sarà richiesta la tua vita. E quello che hai preparato, di chi sarà?”» (Lc 13,20). L’uomo stolto nella Bibbia è colui che non vuole rendersi conto, dall’esperienza delle cose visibili, che nulla dura per sempre, ma tutto passa: la giovinezza come la forza fisica, le comodità come i ruoli di potere. Far dipendere la propria vita da realtà così passeggere è, dunque, stoltezza. L’uomo che confida nel Signore, invece, non teme le avversità della vita, neppure la realtà ineludibile della morte: è l’uomo che ha acquistato “un cuore saggio”, come i Santi.

[Papa Benedetto, Angelus 1 agosto 2010]

Domenica, 12 Ottobre 2025 03:15

Vanità delle ricchezze

1. La nostra meditazione sul Salmo 48 sarà scandita in due tappe, proprio come fa la Liturgia dei Vespri, che ce lo propone in due tempi. Ne commenteremo ora in modo essenziale la prima parte, nella quale la riflessione prende lo spunto da una situazione di disagio, come nel Salmo 72. Il giusto deve affrontare «giorni tristi», perché lo «circonda la malizia dei perversi», i quali «si vantano della loro grande ricchezza» (cfr Sal 48,6-7).

La conclusione a cui il giusto arriva è formulata come una sorta di proverbio, che si ritroverà anche nella finale dell’intero Salmo. Essa sintetizza in modo limpido il messaggio dominante della composizione poetica: «L’uomo nella prosperità non comprende, è come gli animali che periscono» (v. 13). In altri termini, la «grande ricchezza» non è un vantaggio, anzi! Meglio è essere povero e unito a Dio.

2. Nel proverbio sembra echeggiare la voce austera di un antico sapiente biblico, l’Ecclesiaste o Qoelet, quando descrive il destino apparentemente uguale di ogni creatura vivente, quello della morte, che rende del tutto vano l’aggrapparsi frenetico alle cose terrene: «Come è uscito nudo dal grembo di sua madre, così se ne andrà di nuovo come era venuto, e dalle sue fatiche non ricaverà nulla da portar con sé… Infatti la sorte degli uomini e quella delle bestie è la stessa; come muoiono queste muoiono quelli... Tutti sono diretti verso la medesima dimora» (Qo 5,14; 3,19.20).

3. Un’ottusità profonda s’impadronisce dell’uomo quando s’illude di evitare la morte affannandosi ad accumulare beni materiali: non per nulla il Salmista parla di un «non comprendere» di impronta quasi bestiale.

Il tema sarà, comunque, esplorato da tutte le culture e da tutte le spiritualità e sarà espresso nella sua sostanza in modo definitivo da Gesù che dichiara: «Guardatevi e tenetevi lontano da ogni cupidigia, perché anche se uno è nell’abbondanza, la sua vita non dipende dai suoi beni» (Lc 12,15). Egli narra poi la famosa parabola del ricco insipiente, che accumula beni a dismisura senza immaginare l’agguato che la morte gli sta tendendo (cfr Lc 12,16-21).

4. La prima parte del Salmo è tutta centrata proprio su questa illusione che conquista il cuore del ricco. Costui è convinto di riuscire a «comprarsi» anche la morte, tentando quasi di corromperla, un po’ come ha fatto per avere tutte le altre cose, ossia il successo, il trionfo sugli altri in ambito sociale e politico, la prevaricazione impunita, la sazietà, le comodità, i piaceri.

Ma il Salmista non esita a bollare come stolta questa pretesa. Egli fa ricorso a un vocabolo che ha un valore anche finanziario, «riscatto»: «Nessuno può riscattare se stesso, o dare a Dio il suo prezzo. Per quanto si paghi il riscatto di una vita, non potrà mai bastare per vivere senza fine, e non vedere la tomba» (Sal 48,8-10).

5. Il ricco, aggrappato alle sue immense fortune, è convinto di riuscire a dominare anche la morte, così come ha spadroneggiato su tutto e su tutti col denaro. Ma per quanto ingente sia la somma che è pronto ad offrire, il suo destino ultimo sarà inesorabile. Egli, infatti, come tutti gli uomini e le donne, ricchi o poveri, sapienti o stolti, dovrà avviarsi alla tomba, così come è accaduto anche ai potenti e dovrà lasciare sulla terra quell’oro tanto amato, quei beni materiali tanto idolatrati (cfr vv. 11-12).

Gesù insinuerà ai suoi ascoltatori questa domanda inquietante: «Che cosa l’uomo potrà dare in cambio della propria anima?» (Mt 16,26). Nessun cambio è possibile perché la vita è dono di Dio, che «ha in mano l’anima di ogni vivente e il soffio d’ogni carne umana» (Gb 12,10).

6. Tra i Padri che hanno commentato il Salmo 48 merita un’attenzione particolare sant’Ambrogio, che ne allarga il senso secondo una visione più ampia, proprio a partire dall’invito iniziale del Salmista: «Ascoltate, popoli tutti, porgete l’orecchio, abitanti del mondo».

L’antico Vescovo di Milano commenta: «Riconosciamo qui, proprio all’inizio, la voce del Signore salvatore che chiama i popoli alla Chiesa, perché rinuncino al peccato, diventino seguaci della verità e riconoscano il vantaggio della fede». Del resto, «tutti i cuori delle varie generazioni umane erano inquinati dal veleno del serpente e la coscienza umana, schiava del peccato, non era in grado di staccarsene». Per questo il Signore «di sua iniziativa promette il perdono nella generosità della sua misericordia, perché il colpevole non abbia più paura, ma, in piena consapevolezza, si rallegri di dover offrire ora i suoi uffici di servo al Signore buono, che ha saputo perdonare i peccati, premiare le virtù» (Commento a dodici Salmi, n. 1: SAEMO, VIII, Milano-Roma 1980, p. 253).

7. In queste parole del Salmo si sente riecheggiare l’invito evangelico: «Venite a me, voi tutti, che siete affaticati e oppressi, e io vi ristorerò. Prendete il mio giogo sopra di voi» (Mt 11,28). Ambrogio continua: «Come uno che verrà a visitare gli ammalati, come un medico che verrà a curare le nostre piaghe dolorose, così egli ci prospetta la cura, perché gli uomini lo sentano bene e tutti corrano con fiduciosa sollecitudine a ricevere il rimedio della guarigione… Chiama tutti i popoli alla sorgente della sapienza e della conoscenza, promette a tutti la redenzione, perché nessuno viva nell’angoscia, nessuno viva nella disperazione» (n. 2: ibid., pp. 253.255).

[Papa Giovanni Paolo II, Udienza Generale 20 ottobre 2004]

Domenica, 12 Ottobre 2025 03:02

Sicurezze che passano

Il Vangelo di oggi (cfr Lc 12, 13-21) si apre con la scena di un tale che si alza tra la folla e chiede a Gesù di dirimere una questione giuridica circa l’eredità di famiglia. Ma Egli nella risposta non affronta la questione, ed esorta a rimanere lontano dalla cupidigia, cioè dall’avidità di possedere. Per distogliere i suoi ascoltatori da questa ricerca affannosa della ricchezza, Gesù racconta la parabola del ricco stolto, che crede di essere felice perché ha avuto la fortuna di una annata eccezionale e si sente sicuro per i beni accumulati. Sarà bello che oggi voi la leggiate; è nel capitolo dodicesimo di San Luca, versetto 13. È una bella parabola che ci insegna tanto. Il racconto entra nel vivo quando emerge la contrapposizione tra quanto il ricco progetta per se stesso e quanto invece Dio gli prospetta.

Il ricco mette davanti alla sua anima, cioè a se stesso, tre considerazioni: i molti beni ammassati, i molti anni che questi beni sembrano assicurargli e terzo, la tranquillità e il benessere sfrenato (cfr v.19). Ma la parola che Dio gli rivolge annulla questi suoi progetti. Invece dei «molti anni», Dio indica l’immediatezza di «questa notte; stanotte morirai»; al posto del «godimento della vita» Gli presenta il «rendere la vita; renderai la vita a Dio», con il conseguente giudizio. Per quanto riguarda la realtà dei molti beni accumulati su cui il ricco doveva fondare tutto, essa viene ricoperta dal sarcasmo della domanda: «E quello che ha preparato, di chi sarà?» (v.20). Pensiamo alle lotte per le eredità; tante lotte di famiglia. E tanta gente, tutti sappiamo qualche storia, che all’ora della morte incomincia a venire: i nipoti, i nipotini vengono a vedere: “Ma cosa tocca a me?”, e portano via tutto. È in questa contrapposizione che si giustifica l’appellativo di «stolto» - perché pensa a cose che lui crede essere concrete ma sono una fantasia - con cui Dio si rivolge a quest’uomo. Egli è stolto perché nella prassi ha rinnegato Dio, non ha fatto i conti con Lui.

La conclusione della parabola, formulata dall’evangelista, è di singolare efficacia: «Così è di chi accumula tesori per sé e non si arricchisce presso Dio» (v.21). È un ammonimento che rivela l’orizzonte verso cui tutti noi siamo chiamati a guardare. I beni materiali sono necessari – sono beni! -, ma sono un mezzo per vivere onestamente e nella condivisone con i più bisognosi. Gesù oggi ci invita a considerare che le ricchezze possono incatenare il cuore e distoglierlo dal vero tesoro che è nei cieli. Ce lo ricorda anche San Paolo nell’odierna seconda lettura. Dice così: «Cercate le cose di lassù. … rivolgete il pensiero alle cose di lassù, non a quelle della terra» (Col 3, 1-2).

Questo – si capisce - non vuol dire estraniarsi dalla realtà, ma cercare le cose che hanno un vero valore: la giustizia, la solidarietà, l’accoglienza, la fraternità, la pace, tutte cose che costituiscono la vera dignità dell’uomo. Si tratta di tendere ad una vita realizzata non secondo lo stile mondano, bensì secondo lo stile evangelico: amare Dio con tutto il nostro essere, e amare il prossimo come lo ha amato Gesù, cioè nel servizio e nel dono di sé. La cupidigia dei beni, la voglia di avere beni, non sazia il cuore, anzi provoca di più fame! La cupidigia è come quelle buone caramelle: tu ne prendi una e dice: “Ah! Che buona”, e poi prendi l’altra; e una tira l’altra. Così è la cupidigia: non si sazia mai. State attenti! L’amore così inteso e vissuto è la fonte della vera felicità, mentre la ricerca smisurata dei beni materiali e delle ricchezze è spesso sorgente di inquietudine, di avversità, di prevaricazioni, di guerre. Tante guerre incominciano per la cupidigia.

La Vergine Maria ci aiuti a non lasciarci affascinare dalle sicurezze che passano, ma ad essere ogni giorno credibili testimoni dei valori eterni del Vangelo.

[Papa Francesco, Angelus 4 agosto 2019]

Sabato, 11 Ottobre 2025 05:00

Preghiera: Fede Appropriazione

Lo scandalo dell’attesa

(Lc 18,1-8)

 

Negli anni 80 le comunità dell’Asia Minore subiscono persecuzione per il fatto che l’imperatore di Roma [il divo Domiziano] pretendeva farsi venerare.

L’istituzione religiosa ufficiale - servile e adulatrice - si adegua. I cristiani no - consapevoli della propria dignità e progetto di mondo alternativo.

Lc intende incoraggiare fedeli e comunità vittime di soprusi mettendo in evidenza come giungere alla disposizione più efficace, in grado d’intaccare i ricatti dell’allontanamento sociale.

 

Il ‘silenzio di Dio’ sugli abusi e il dominio dei prepotenti poneva quesiti e faceva avanzare riserve di fede.

Ma nella parabola, il giudice irresponsabile non è il Padre! L’ingiusto è un’icona che drammatizza la condizione in cui si vengono a trovare i discepoli privati del Maestro, in un mondo di astuti.

Ecco la «vedova»: la comunità dei nuovi ‘Anawim, poveri di Yahweh [nei Vangeli «ptōchôis»] ossia indifesi, esposti a soprusi - che hanno quale unica speranza il Signore.

Essi non restano alla scorza delle situazioni. Colgono i segni del nuovo Regno - di un’umanità alternativa - e li bramano.

Dice Lc: unico mezzo per ritrovarsi e non perdere la propria energia fondante è la Preghiera. Essa non è un ripiegamento (vv.3.7).

L’orazione dei figli è piuttosto un’azione in avanti. Una sorta di balzo che diventa magnetico e infine s’impadronisce con forza del suo desiderio profondo.

Un’appropriazione indebita. Come diceva s. Bernardo: «Quanto mi manca lo usurpo dal costato di Cristo».

 

Insomma, la preghiera cristiana ha il medesimo passo della Fede, e le sue poliedriche sfaccettature.

Quindi non ci pianta sul posto: diventa una Fonte che induce gesti temerari.

Perché? In certi momenti le cose cambiano. Nel “mondo”, solo per calcolo - ma detto questo, anche i più banali interessi muovono qualcosa (vv.4-5).

Vi sono aspetti del nostro Dialogo con Dio caratterizzati da tratti di assenso. Ma la parte “colorata” dell’orazione giunge quando si entra in clima sponsale - di ascolto, intuizione; anche di lotta e litigio personale.

Essi sfociano in una sorta di lettura del peso della propria vicenda, del genio del tempo e degli appigli per un’attualizzazione, che ci porta fuori dalla mediocrità: prendere o lasciare.

Insomma, l’orazione è un gesto concreto. Pone in contatto con una ‘visione’ che dona indicazioni. Vocazione a tutti i costi.

Una sorta di energia primordiale, che si riaffaccia per curare e dirigere situazioni.

Non solo è il grande strumento per non perdere la testa, e un mezzo per non scoraggiare.

Piuttosto, un’azione pungente e seccante, con effetto attrattivo - ‘calamita’.

 

Il nido dinamico, poco rassicurante, dell’orazione, ci riporta al Nucleo dell’essenza, al Sé eminente; nel regno della Chiamata per Nome.

Si fa Lettura e Intuizione che incontra gli stati profondi.

È in tale spostamento di sguardo e Visione che attualizziamo il futuro.

In tal guisa, la preghiera stessa ci guida alla realizzazione del nostro essere individuale e ministeriale-ecclesiale.

Essa infatti crea: pone d’improvviso (v.8) le condizioni calzanti, i momenti acuti della svolta - perché vive Altrove, e nella base dell’anima.

Scorge Dio nei solchi della storia, perciò attiva le energie del divenire: trascina la realtà, l’attira.

Sancisce e attualizza ciò che ‘viene’; interroga e smuove l’istituzione che tende a inaridire.

Col suo Timone, anche fra troppe nebbie solca i marosi delle tossine invecchianti, sorvola le angherie, dischioda il mondo e tutta la nostra vita.

 

 

[29.a Domenica (anno C), 19 Ottobre 2025]

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The Sadducees, addressing Jesus for a purely theoretical "case", at the same time attack the Pharisees' primitive conception of life after the resurrection of the bodies; they in fact insinuate that faith in the resurrection of the bodies leads to admitting polyandry, contrary to the law of God (Pope John Paul II)
I Sadducei, rivolgendosi a Gesù per un "caso" puramente teorico, attaccano al tempo stesso la primitiva concezione dei Farisei sulla vita dopo la risurrezione dei corpi; insinuano infatti che la fede nella risurrezione dei corpi conduce ad ammettere la poliandria, contrastante con la legge di Dio (Papa Giovanni Paolo II)
Are we disposed to let ourselves be ceaselessly purified by the Lord, letting Him expel from us and the Church all that is contrary to Him? (Pope Benedict)
Siamo disposti a lasciarci sempre di nuovo purificare dal Signore, permettendoGli di cacciare da noi e dalla Chiesa tutto ciò che Gli è contrario? (Papa Benedetto)
Jesus makes memory and remembers the whole history of the people, of his people. And he recalls the rejection of his people to the love of the Father (Pope Francis)
Gesù fa memoria e ricorda tutta la storia del popolo, del suo popolo. E ricorda il rifiuto del suo popolo all’amore del Padre (Papa Francesco)
Ecclesial life is made up of exclusive inclinations, and of tasks that may seem exceptional - or less relevant. What matters is not to be embittered by the titles of others, therefore not to play to the downside, nor to fear the more of the Love that risks (for afraid of making mistakes)
La vita ecclesiale è fatta di inclinazioni esclusive, e di incarichi che possono sembrare eccezionali - o meno rilevanti. Ciò che conta è non amareggiarsi dei titoli altrui, quindi non giocare al ribasso, né temere il di più dell’Amore che rischia (per paura di sbagliare).
Zacchaeus wishes to see Jesus, that is, understand if God is sensitive to his anxieties - but because of shame he hides (in the dense foliage). He wants to see, without being seen by those who judge him. Instead the Lord looks at him from below upwards; Not vice versa
Zaccheo desidera vedere Gesù, ossia capire se Dio è sensibile alle sue ansie - ma per vergogna si nasconde nel fitto fogliame. Vuole vedere, senza essere visto da chi lo giudica. Invece il Signore lo guarda dal basso in alto; non viceversa
The story of the healed blind man wants to help us look up, first planted on the ground due to a life of habit. Prodigy of the priesthood of Jesus
La vicenda del cieco risanato vuole aiutarci a sollevare lo sguardo, prima piantato a terra a causa di una vita abitudinaria. Prodigio del sacerdozio di Gesù.
Firstly, not to let oneself be fooled by false prophets nor to be paralyzed by fear. Secondly, to live this time of expectation as a time of witness and perseverance (Pope Francis)
Primo: non lasciarsi ingannare dai falsi messia e non lasciarsi paralizzare dalla paura. Secondo: vivere il tempo dell’attesa come tempo della testimonianza e della perseveranza (Papa Francesco)
O Signore, fa’ che la mia fede sia piena, senza riserve, e che essa penetri nel mio pensiero, nel mio modo di giudicare le cose divine e le cose umane (Papa Paolo VI)
O Lord, let my faith be full, without reservations, and let penetrate into my thought, in my way of judging divine things and human things (Pope Paul VI)
«Whoever tries to preserve his life will lose it; but he who loses will keep it alive» (Lk 17:33)
«Chi cercherà di conservare la sua vita, la perderà; ma chi perderà, la manterrà vivente» (Lc 17,33)

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