don Giuseppe Nespeca

don Giuseppe Nespeca

Giuseppe Nespeca è architetto e sacerdote. Cultore della Sacra scrittura è autore della raccolta "Due Fuochi due Vie - Religione e Fede, Vangeli e Tao"; coautore del libro "Dialogo e Solstizio".

Lunedì, 28 Ottobre 2024 10:57

Ascolta Israele: Ama Dio e il Prossimo

Qualche giorno mi trovavo in un bar. C’erano dei giovani che parlavano dei loro problemi quotidiani, quando a un certo punto esce fuori il problema dell’invidia.

La discussione su questo argomento viene  accolta anche dalle  persone che erano lì e qualcuno scherzando o meno (chissà)  ha espresso: ma come si toglie?

Mi sono tornate in mente vecchie pratiche magiche e superstiziose di quando ero bimbo. Oppure di tutte quelle volte che ho sentito dire di fronte a un insuccesso o situazione poco favorevole:  “devo andare a far togliere l’invidia”. E non solo da gente semplice, ma anche da persone con un certo grado di cultura. Come già sostenuto nei precedenti articoletti, anche l’uomo di scienza ha la sua parte irrazionale.

Nel vocabolario Treccani alla voce invidia si legge: “Sentimento spiacevole  per un bene o qualità altrui che si vorrebbero per sé, accompagnato spesso da avversione e rancore per colui che invece le possiede”.

E’ un sentimento che abbiamo tutti e che ci rifiutiamo di riconoscere perché spesso è una cosa di cui ci vergogniamo. Spesso crediamo che questo sentimento  abbia poteri occulti e per questo crediamo che pseudo pratiche magiche possano liberarci. Nulla di più illusorio.

Melanie Klein ha scritto il libro “Invidia e Gratitudine” dove affronta  tale tematica.

Quest’autrice ha indagato a fondo il primo rapporto che il bambino ha con il seno materno e poi con la madre quando riesce a percepirla come oggetto totale. Rapporto primario che può risultare difficile anche per cause materne: non accettazione del bimbo, difficoltà nel parto, o riluttanza nell’allattarlo. 

Ma ci sono cause che possono scaturire anche dal bambino, e fra queste primeggia proprio l’invidia che gli impedisce un bel rapporto col seno.

Il  bimbo può provare un grosso sentimento di rabbia verso il seno, sia che venga percepito come buono, cioè che lo soddisfi, sia come cattivo - perché non  accontenta i suoi bisogni e genera invidia perché possiede qualcosa che lui non ha.

E allora il lattante prova a danneggiarlo come può, mettendoci le sue parti cattive (sputando, orinando, mordendo, ecc.).

In una persona una forte presenza dell’invidia può danneggiare il proprio modo di vivere, e i suoi rapporti con gli altri; non per cause esterne, ma perché non riesce a comprendere l’oggetto buono.

Ritiene di averlo rovinato e reso cattivo.

Non riesce a sentire i suoi sentimenti buoni, e questo aumenta la sua invidia e il suo odio.

Invece il bambino che è più capace di provare amore e gratitudine per il dono che ha ricevuto,  sperimenta maggiormente l’oggetto buono.

Di conseguenza, acquistando fiducia nella propria bontà, supererà invidia e odio con maggiore facilità.

La persona affetta da invidia  difficilmente  riesce a godere delle gioie della vita, perché il rapporto con la madre e poi con qualsiasi altro oggetto di amore è danneggiato.

I sentimenti positivi spingono il bambino a conservare il latte ricevuto come buono.

Saper sperimentare  gratitudine è la base del piacere, e in seguito egli sarà in grado di stabilire rapporti soddisfacenti, perché sono diminuiti i desideri distruttivi: le sue angosce saranno meno forti.

L’invidia non ci fa vivere bene, per il semplice motivo che va in senso contrario alla vita - e il mondo esterno diventa il nostro nemico.  

Oppure essa ci fa vivere un “seno” troppo idealizzato o troppo cattivo.

Una persona con una buona capacita di  voler bene riesce ad amare l’ “oggetto” pur vedendone i limiti.

Una cosa positiva che l’invidia può operare in noi è la possibilità di migliorarci.  

Spesse volte, per chi chiede aiuto ad un professionista, fra le varie tematiche che la persona porta in analisi, si deve affrontare questo problema. 

Se l’analista ha ben cosciente queste sue parti distruttive, riuscirà a  condurre la persona che ha di fronte a riconoscere le parti negative, e a mitigarle con l’amore e i sentimenti positivi.

La persona ben adattata sopporterà meglio i propri sensi di colpa, e non avrà bisogno di vederli addosso agli altri.  .

Molto spesso è difficile sopportare noi stessi.

 

Francesco Giovannozzi Psicologo – Psicoterapeuta.

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Iniziazione alla Fede

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St Teresa of Avila wrote: “the last thing we should do is to withdraw from our greatest good and blessing, which is the most sacred humanity of Our Lord Jesus Christ” (cf. The Interior Castle, 6, ch. 7) [Pope Benedict]
Santa Teresa d’Avila scrive che «non dobbiamo allontanarci da ciò che costituisce tutto il nostro bene e il nostro rimedio, cioè dalla santissima umanità di nostro Signore Gesù Cristo» (Castello interiore, 7, 6) [Papa Benedetto]
Dear friends, the mission of the Church bears fruit because Christ is truly present among us in a quite special way in the Holy Eucharist. His is a dynamic presence which grasps us in order to make us his, to liken us to him. Christ draws us to himself, he brings us out of ourselves to make us all one with him. In this way he also inserts us into the community of brothers and sisters: communion with the Lord is always also communion with others (Pope Benedict)
Cari amici, la missione della Chiesa porta frutto perché Cristo è realmente presente tra noi, in modo del tutto particolare nella Santa Eucaristia. La sua è una presenza dinamica, che ci afferra per farci suoi, per assimilarci a Sé. Cristo ci attira a Sé, ci fa uscire da noi stessi per fare di noi tutti una cosa sola con Lui. In questo modo Egli ci inserisce anche nella comunità dei fratelli: la comunione con il Signore è sempre anche comunione con gli altri (Papa Benedetto)
Jesus asks us to abide in his love, to dwell in his love, not in our ideas, not in our own self-worship. Those who dwell in self-worship live in the mirror: always looking at themselves. He asks us to overcome the ambition to control and manage others. Not controlling, serving them (Pope Francis)
Gesù ci chiede di rimanere nel suo amore, abitare nel suo amore, non nelle nostre idee, non nel culto di noi stessi. Chi abita nel culto di sé stesso, abita nello specchio: sempre a guardarsi. Ci chiede di uscire dalla pretesa di controllare e gestire gli altri. Non controllare, servirli (Papa Francesco)
In this passage, the Lord tells us three things about the true shepherd:  he gives his own life for his sheep; he knows them and they know him; he is at the service of unity [Pope Benedict]
In questo brano il Signore ci dice tre cose sul vero pastore: egli dà la propria vita per le pecore; le conosce ed esse lo conoscono; sta a servizio dell'unità [Papa Benedetto]
Jesus, Good Shepherd and door of the sheep, is a leader whose authority is expressed in service, a leader who, in order to command, gives his life and does not ask others to sacrifice theirs. One can trust in a leader like this (Pope Francis)
Gesù, pastore buono e porta delle pecore, è un capo la cui autorità si esprime nel servizio, un capo che per comandare dona la vita e non chiede ad altri di sacrificarla. Di un capo così ci si può fidare (Papa Francesco)
In today’s Gospel passage (cf. Jn 10:27-30) Jesus is presented to us as the true Shepherd of the People of God. He speaks about the relationship that binds him to the sheep of the flock, namely, to his disciples, and he emphasizes the fact that it is a relationship of mutual recognition […] we see that Jesus’ work is explained in several actions: Jesus speaks; Jesus knows; Jesus gives eternal life; Jesus safeguards (Pope Francis)
Nel Vangelo di oggi (cfr Gv 10,27-30) Gesù si presenta come il vero Pastore del popolo di Dio. Egli parla del rapporto che lo lega alle pecore del gregge, cioè ai suoi discepoli, e insiste sul fatto che è un rapporto di conoscenza reciproca […] vediamo che l’opera di Gesù si esplica in alcune azioni: Gesù parla, Gesù conosce, Gesù dà la vita eterna, Gesù custodisce (Papa Francesco)

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don Giuseppe Nespeca

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