don Giuseppe Nespeca

don Giuseppe Nespeca

Giuseppe Nespeca è architetto e sacerdote. Cultore della Sacra scrittura è autore della raccolta "Due Fuochi due Vie - Religione e Fede, Vangeli e Tao"; coautore del libro "Dialogo e Solstizio".

XXVII Domenica del tempo ordinario (B) 6 ottobre 2024

1. Capita spesso, come in questa domenica, che il vangelo e la prima lettura si richiamino a vicenda quasi a completare il messaggio che Dio vuole comunicarci. Nella prima lettura, tratta dal libro della Genesi, leggiamo: “Il Signore Dio disse: “Non è bene che l'uomo sia solo: voglio fargli un aiuto che gli corrisponda” (Gn2,18- 24). E’ meglio subito precisare che la Genesi non è un libro di storia, ma un testo sapienziale che risale al X secolo A.C., quando un teologo, probabilmente alla corte del re Salomone, ha voluto riflettere sulle inquietudini esistenziali dell’essere umano, chiedendosi, ad esempio “Perché la morte? Perché la sofferenza? Perché tanti problemi e difficoltà nella nostra vita? E per cercare una risposta, sviluppa un racconto simbolico analogo alle parabole di Gesù. L’autore del libro della Genesi non è quindi uno scienziato che vuole spiegarci il perché e il quando della creazione, bensì un credente che intende aiutarci a capire il progetto di Dio riguardo all’essere umano, con elementi simbolici da ben interpretare perché non si sta parlando di un’ipotetica prima coppia dell’umanità – Adamo ed Eva - , ma in generale dell’origine dell’umanità e infatti in ebraico la parola Adamo non è il nome di qualcuno, significa invece “terreno” cioè fatto di terra polverosa (adamah). Par la creazione della donna l’autore del testo sacro usa l’immagine del sonno e della costola tratta dall’uomo. Cosa vuole dirci la Parola di Dio? In primo luogo la donna è parte della creazione sin dall’origine e se questo per noi è un dato del tutto ovvio, in quell’epoca affermarlo costituiva una novità assoluta. In Mesopotamia, patria di Abramo, si pensava che la donna non era stata creata sin dall’inizio e che prima l’uomo viveva benissimo da solo.  La Bibbia invece pone la creazione della donna subito all’inizio e soprattutto la introduce come dono di Dio; senza di essa l’uomo non potrebbe essere felice e l’umanità risulterebbe incompleta. Le divinità delle popolazioni dell’epoca, spesso rivali tra di loro, creavano gli uomini per tenerli come schiavi; al contrario nella Bibbia Dio è Uno solo e creando l’uomo lo pone nel giardino del paradiso per essere felice insieme a lui. La frase “Non è bene che l'uomo sia solo” mostra che egli tiene molto alla nostra felicità e ciò costituisce una novità assoluta e importante: cioè la sessualità umana, intesa come relazione d’amore, è bella e buona, parte integrante del disegno originario della creazione, voluta da Diocome elemento unito al godimento relazionale tra uomo e donna.  L’idea della costola tratta da Adamo, evidenzia che il disegno del Creatore non è il dominio dell’uomo sulla donna, ma la loro uguaglianza nel dialogo, che implica al tempo stesso intimità e distanza in un clima di dono reciproco. L’ebraico ci aiuta a meglio percepire perché uomo si dice “Ish” e donna “isha”, due termini vicini che indicano appartenenza alla stessa famiglia, pur nella diversità dell’uno rispetto all’altra.

2. C’è un particolare su cui focalizziamo la nostra attenzione. Nel secondo capitolo della Genesi si legge che il Signore chiese all’uomo di dare il nome a tutto il bestiame, a tutti gli uccelli del cielo e a tutti gli animali selvatici, affidandogli potere sull’intero creato. Adamo però “non trovò un aiuto che gli corrispondesse” (Gn2,20); solo davanti alla donna il suo grido è pieno di emozione e di riconoscenza nel senso che la riconosce come parte di sé stesso e per questo la considera il suo “alter ego”. Nello stupore di questo momento assumono risonanza le parole di Yahweh: ”voglio fargli un aiuto che gli corrisponda”, perché sia la sua “interfaccia”. E quando precisa che “non è bene che l’uomo sia solo” non è da intendersi che è male per l’uomo restare celibe, ma che l’umanità è completa nella sua dualità di uomo e donna, in una relazione di dialogo che armonizza l’intimità col rispetto della reciproca alterità. Sta qui  la vocazione della coppia: essere immagine di Dio Uno e Comunione Trinitaria. Un altro libro sapienziale dell’Antico Testamento, Il Cantico dei Cantici, un poetico dialogo tra due amanti, rivela il mistero dell’intimità divina ricorrendo agli slanci, alla tenerezza e all’intimità d’una coppia di innamorati. Nella tradizione ebraica viene proclamato a Pasqua/Pesach, che cade sempre in primavera, un periodo di rinnovamento e fioritura, che ben si lega ai temi d’amore e fertilità espressi nel Cantico. Ancor più interessante è il fatto che gli ebrei proclamano il Cantico dei Cantici nella celebrazione pasquale, la festa dell’Alleanza tra Dio e il suo popolo assumendo così un significato spirituale profondo: non si tratta solo di un inno all’amore umano, ma di una celebrazione della salvezza e della rinascita spirituale. Come gli ebrei furono liberati dalla schiavitù fisica, così l’amore divino dona alla vita degli uomini un nuovo inizio. E’ stato Il peccato originale a ferire l’incanto della relazione con Dio, e ciò si riflette sul rapporto coniugale diventato faticoso e difficile perché, scrive in proposito sant’Agostino: “il matrimonio è un bene del quale non si può spezzare l’unione senza peccato” (De bono conjugali,24)

3. Nel vangelo i farisei pongono a Gesù una domanda provocatoria sul divorzio, e lui, come sempre, non risponde in maniera diretta, li aiuta invece a cercare essi stessi gli elementi della risposta.  Il divorzio esisteva nell’Antico Testamento insieme all’atto di ripudio, non però codificato in maniera sistematica nella Torah, bensì soltanto citato nel Deuteronomio in un contesto specifico senza stabilire norme dettagliate (Dt 24,1-4). Ai tempi di Gesù era diventato una pratica relativamente diffusa ed esistevano interpretazioni e applicazioni pratiche diverse. Per Gesù non è importante la casistica, ma tornare al progetto originario di Dio che ha creato gli esseri umani a sua immagine - uomo e donna – affinché l’uomo staccatosi dalla sua famiglia si unisca alla donna in modo da formare una sola cosa (Gn 2, 24). Se la coppia riflette l’immagine di Dio la sua vocazione non può che essere l’indivisibilità, l’indissolubilità per cui diventa logica la conclusione: ”Dunque l’uomo non divida quello che Dio ha congiunto” . Facile a dirsi e complicato a realizzarsi come l’esperienza dimostra. Questo perché il matrimonio non è invenzione umana ma progetto di Dio, e diviene possibile portarlo a pieno compimento soltanto con il suo sostegno. Non bastano cioè la buona volontà e le risorse umane per conservare l’unità d’una coppia e della famiglia. Solo quando si prega e si vivere uniti a Dio, con il soccorso della sua misericordia ciò che impossibile umanamente diventa realtà possibile e sorgente di pacifica convivenza.  E’ l’eroismo delle coppie che abbracciano il vangelo sino al martirio dell’amore nonostante tutto: coppie di coniugi canonizzate e molte altre nascoste nella semplicità della fedeltà quotidiana. Esse superano con coraggio ostacoli e accettano che le inevitabili incomprensioni quotidiane non spezzino mai la loro unità che il Signore ha saldato con la consacrazione matrimoniale. Se questo è l’ideale che mai va nascosto né ridotto per paura di chiedere troppo a coloro che sono chiamati al matrimonio cristiano, una domanda interpella spesso le nostre comunità: che fare con le coppie che si sono perse per strada o che preferiscono al matrimonio la convivenza? Ogni pastore ha il dovere di accompagnare tutti con pazienza e apertura d’animo specialmente quando ferite laceranti ne segnato l’esistenza. Tuttavia, pur consapevoli delle problematiche esistenti, sarebbe un errore smettere di credere che soltanto l’amore di Dio può salvare l’unità della coppia e della famiglia dal naufragio del divorzio. Nel vangelo Gesù aggiunge: “per la durezza del vostro cuore” Mosè ha permesso di scrivere un atto di ripudio facendo comprendere che la legge è solo una tappa della pedagogia divina, mentre l’obbiettivo resta sempre la suprema legge dell’amore. Il rischio è dunque “l’indurimento del cuore”, cioè la pretesa di poter contare soltanto sulle proprie forze. Facendo riferimento ai bambini, Gesù insegna che se si vuole conservare l’unità nella famiglia occorre conservare l’umile semplicità del bambino pieno di fiducia verso chi lo ama. Il segreto dunque è sperimentare l’amore misericordioso di Dio.

Buona domenica a tutti.

+Giovanni D’Ercole

Martedì, 01 Ottobre 2024 21:03

Matrimonio e ripudio: esigenze o precetti?

Venerdì, 27 Settembre 2024 12:38

Lo scandalo della divisione

XXVI Domenica del Tempo Ordinario B  (29 settembre 2024)

1. La pagina evangelica odierna è alla fine del capitolo 9 del vangelo di Marco e chiude il discorso che Gesù tiene ai discepoli che li invita a ben riflettere sul loro modo di comportarsi nei confronti dei “piccoli che credono in me” usando toni molto decisi. Dice infatti che è preferibile restare senza una mano, un piede o cavarsi un occhio piuttosto che essere motivo di scandalo perché “è meglio entrare nel regno di Dio con un occhio solo anziché con due occhi essere gettati nella Geenna dove il loro verme non muore e il fuoco non lo estingue”. Qui si ferma il testo che questa domenica la liturgia propone alla nostra meditazione; se però continuiamo a leggere, troviamo negli ultimi due versetti del capitolo questa raccomandazione: “Abbiate sale in voi stessi e siate in pace gli uni con gli altri”.  A me sembra che quest’invito conclusivo ci permette di dare capire il senso e il valore  dei consigli e precetti di Gesù che san Marco ha raccolto e che ci tiene a precisare sono rivolti proprio ai Dodici.  Ma procediamo con ordine.

2. La scorsa domenica ci siamo soffermati a contemplare Gesù, che giunto a Cafarnao con gli apostoli, discorre della missione che sta per affidare loro e, sentendoli discutere su chi sarà il più grande, non afferma che è male aspirare a essere il primo, ma indica la strada per giungervi: farsi l’ultimo e il servo di tutti. Musica sgradevole per le loro orecchie come appare subito dalla replica di Giovanni, che Gesù soprannomina insieme al fratello Giacomo “i figli del tuono”: “Maestro, abbiamo visto uno che scacciava demoni nel tuo nome e volevamo impedirglielo perché non ci seguiva”. Nel capitolo terzo del suo vangelo Marco annota che “Gesù chiamò a sé quelli che egli volle… ne costituì Dodici che stessero con lui e anche per mandarli a predicare e perché avessero il potere di scacciare i demoni” (3,13-19).  Il gruppo degli apostoli è dunque ben consapevole dell’autorità loro concessa e del potere ricevuto di scacciare i demoni a causa del loro legame con Gesù. Comprensibile allora è la reazione davanti alla pretesa di coloro, che non fanno parte del gruppo ma osano scacciare i diavoli persino in suo nome. Giovanni reagisce come il giovane Giosuè che abbiamo ascoltato nella prima lettura. Cresciuto dall’infanzia con Mosè era in buona confidenza con lui per permettersi di fargli notare che quando egli tolse parte dello spirito che era su di lui e lo pose sopra i settanta anziani scelti come collaboratori, in verità mancavano due, Eldad e Medad, rimasti nell’accampamento e il problema, secondo lui, era che pure loro avevano cominciato a profetizzare.  Non era giusto che quei due, nonostante non avessero risposto alla convocazione del capo, agissero ugualmente sotto l’azione dello spirito. Mosè invece se ne rallegra e lo rimprovera per la sua invidia. La stessa cosa fa Gesù che interdice agli apostoli di coltivare lo spirito dell’esclusione per cui a Giovanni, che lo informa di aver impedito a una persona che non era del gruppo di scacciare i demoni, risponde con fermezza: “Non glielo impedite”. Una pace straordinaria abita il cuore di Cristo: non pretende avere tutto sotto controllo e quando costata il bene che si fa, ammette che qualcuno possa compiere miracoli in suo nome anche se non fa parte di coloro che egli si è scelto come discepoli.  Ed è come se riconoscesse che la sua stessa missione in qualche modo sfugge al suo controllo perché la condivide, a sua insaputa, con delle persone che nemmeno conosce. Invita così i Dodici a non tenere chiusa la porta del cuore: “Chi non è contro di noi è per noi”, un modo per sottolineare che ci sono persone “dei nostri” anche se non sono sulla nostra lista. Cogliamo qui un invito ad allargare la nostra visione di cristiani nel mondo: non abbiamo l’esclusiva; Dio opera come vuole ben oltre noi stessi e si serve, per i suoi piani di salvezza, di chiunque.  Mi viene in mente il passo degli Atti degli Apostoli 18, 9-11 che narra come nella pagana e mondana Corinto, che era il cuore della Provincia romana dell’Acaia, san Paolo sperimenta una drammatica rottura con la comunità ebraica che rifiuta la sua testimonianza su Gesù Cristo. E’ triste e scoraggiato, ma nella notte, apparendogli in visione, il Signore gli dice: “Non aver paura; continua a parlare e non tacere, perché io sono con te e nessuno cercherà di farti del male: in questa città io ho un popolo numeroso”. Non capita talvolta pure a noi di sentire l’inutilità del nostro ministero quando vediamo calare il numero dei fedeli e costatare che alcuni escono dal nostro ovile e ottengono un successo che pretendiamo dover essere soltanto della nostra comunità? Oppure ci dà fastidio notare che all’interno della comunità esistono persone o gruppi che pensano e fanno cose diverse da noi? Gesù continua a ripeterci di non tormentarci con troppe crisi mentali perché egli – assicura – ha un “popolo numeroso” dappertutto. La Corinto di Paolo è ben l’immagine dell’attuale società pluralista, secolarizzata, libertaria, cosmopolita, opulenta e spesso disperata perché fa fatica a trovare una risposta ai tanti ‘perché’ della vita. “Vivere alla corinzia” all’epoca significava coltivare la piena libertà dei costumi e oggi non è da meno. Potrebbe allora crescere la tentazione di scoraggiarsi oppure il rischio di coltivare una certa malcelata invidia e gelosia che crea divisioni nella comunità. Gesù non smette di incoraggiarci: “Continuate a parlare”. Dio ha ovunque il suo popolo, non visibile spesso all’occhio umano, e come Padre di tutti fa diffondere l’azione fecondatrice dello Spirito in tutte le direzioni. A noi non è chiesto di avere sotto controllo la situazione, ma semplicemente di annunciare/testimoniare il Vangelo sempre. Resta tuttavia l’esigenza di un sano discernimento. 

3. Nel vangelo di Matteo Gesù afferma che si riconosce l’albero dai suoi frutti: l’albero buono produce frutti buoni, mentre quello malato dà frutti cattivi (12,33) e conclude: ogni albero che non dà un buon frutto lo si taglia e lo si getta nel fuoco. Quest’esempio manca nel vangelo di Marco, anche se il testo odierno vuol dire esattamente la stessa cosa. Appare allora chiaro il legame, talora non immediatamente percepibile, fra tutte le affermazioni contenute nel discorso di Gesù. Egli vuol dire in primo luogo che ci sono buoni frutti anche oltre le nostre comunità, il che significa che esistono alberi buoni ovunque e noi non abbiamo il copyright del bene e di Dio, ma è Gesù il cuore dell’annuncio dei cristiani.  Marco l’esprime con quest’esempio: “chiunque vi darà da bere un bicchiere d’acqua nel mio nome perché siete di Cristo non perderà la sua ricompensa”.  Al contrario, possono esserci frutti cattivi anche dentro la nostra comunità e Gesù tira questa conclusione: se bisogna eliminare l’albero malato che produce frutti che fanno male, occorre sopprimere in maniera risoluta tutto ciò che nella comunità semina lo scandalo della divisione. E offre questo paragone volutamente esagerato: “Se la tua mano ti è motivo di scandalo tagliala, è meglio per te entrare nella vita con una mano solamente, anziché con le due mani andare nella Geenna”, uguale terapia per il piede, e l’occhio. La Geenna, che Gesù evoca, è la ben nota voragine che circonda Gerusalemme da sud a ovest dove si bruciava l’immondizia e al tempo dei re Acaz e Manasse si sacrificavano i bambini, pratica così duramente stigmatizzata dai profeti al punto che la Geenna divenne il simbolo del più grande orrore possibile e il segno del castigo degli empi nel giorno del giudizio universale.  Si capisce che Gesù non consiglia la mutilazione fisica pur utilizzando espressioni enfaticamente violente. Se a questo ricorre è perché nessuno sottovaluti la gravità di ciò che è in gioco e cioè la comunità. Ricordiamo che il discorso a Cafarnao parte proprio dall’ambizione degli apostoli nella discussione su chi doveva essere il più grande (9,34) e alla fine appare evidente che in ogni comunità cristiana l’unica preoccupazione dei suoi membri dev’essere lasciarsi consumare dalla passione per lui e per il suo vangelo: non altro! In questa luce diventa facile capire la raccomandazione che chiude il capitolo: “Abbiate sale in voi stessi e siate in pace gli uni con gli altri”.

Buona domenica! +Giovanni D’Ercole

Lunedì, 23 Settembre 2024 12:44

Il tizio non ci segue? È da inquisire!

Sabato, 21 Settembre 2024 05:48

Esigenze o precetti

(Mc 10, 2-16)

 

Concezione legalista e durezza di cuore

(Mc 10,1-12)

 

La polemica coi fanatici del diritto mette in rilievo la necessità di una nuova comunità messianica, che superi la concezione morale esclusivamente legalista.

Il tema scelto dai farisei si prestava a mettere Gesù in difficoltà sull’ideale dell’amore.

Il diritto matrimoniale imponeva alla moglie di farsi proprietà del marito.

Quindi in ogni caso il divorzio ridondava a sfavore della donna, sempre vista come essere inferiore.

Nella società del tempo, dominio maschilista ed emarginazione dei deboli erano situazioni assodate.

A tutela della libertà proprio della donna (Dt 24,1-4) la legge imponeva che il marito stufo [anche per una sciocchezza o capriccio] scrivesse comunque una “lettera” di divorzio che la sancisse libera.

A differenza della società romana, la moglie non aveva il medesimo diritto: una piaga sociale, che ne oscurava la dignità.

In pratica era come un oggetto, e schiava anche in casa propria.

Ma nel creare l’essere umano, non era questo l’intento del Creatore. Così Gesù toglie i privilegi - anche domestici - chiedendo massima uguaglianza di diritti e doveri.

Sapeva che gli stessi apostoli preferivano non sposarsi che rinunciare all’esclusiva del comando (Mt 19,10: «Se la situazione dell’uomo con la donna è così, non conviene sposarsi»).

Il Maestro non consente il dominio del forte sul debole, pertanto l’uomo deve perdere l’egemonia sulla donna.

La legge nuova è l'amore, e l'amore non consente possessi, sfruttamenti affettivi, catene fisse di comando.

Sia matrimonio che celibato sono scelte che riconoscono il valore della Persona.

Opzioni da stupore a motivo del Regno di Dio - non a servizio di alcun compromesso, supremazie, o altri interessi che accampino pretese.

Il progetto divino sull'umanità è trasparente, ampio e generoso. La stessa unione matrimoniale è chiamata a esprimere la mèta di una Pienezza.

Il più forte non acquista il più debole in proprietà, ma entrambi si arricchiscono a vicenda - con lealtà e anche nelle divergenze, colte come punte avanzate di una proposta di crescita e dilatazione.

 

Cristo pretende una nuova impostazione dell’etica. Ciò al di là delle regolamentazioni, che cercano di adattare all’ordine.

Quindi l’insegnamento del Signore fa qui appello all’Atto creativo divino che nella natura di persona ha inciso una capacità di dono e crescita - e non può essere regolato da clausole di contratto, né sottomesso a condizionamenti e soggezioni.

 

Il passo della Fede costruisce persone e comunità, completandole senza troppe accelerazioni, o restrizioni d’imperio. Per un Amore che senza posa ci origina.

La Famiglia diventa così una ‘piccola Chiesa domestica’ perché insieme autonoma e comprensiva; senza più nomenclature, compromessi, maschere, bavagli o camicie di forza.

Allora la complementarietà vissuta in modo autentico - senza esteriorità - può andare oltre le casistiche degli ordinamenti.

In tal guisa essa ha buoni esiti personali e sociali, evocando la stessa Presenza di Dio nel mondo.

 

 

Lasciate che gli esclusi a ruota libera vengano a Me

 

La rinuncia all’orgoglio e il Fiuto senza cittadinanza

(Mc 10,13-16)

 

«Nel cammino sinodale, l’ascolto deve tener conto del sensus fidei, ma non deve trascurare tutti quei “presentimenti” incarnati dove non ce l’aspetteremmo: ci può essere un “fiuto senza cittadinanza”, ma non meno efficace. Lo Spirito Santo nella sua libertà non conosce confini, e non si lascia nemmeno limitare dalle appartenenze. Se la parrocchia è la casa di tutti nel quartiere, non un club esclusivo, mi raccomando: lasciate aperte porte e finestre […] Non siate disincantati, preparatevi alle sorprese» (Papa Francesco, Discorso alla Diocesi di Roma 18/09/ 2021).

Gesù s’identifica con i malfermi (v.16). E senza mezzi termini intende addirittura proporli ai seguaci veterani!

Questo proprio per indicare il tipo di credente che sogna diventino (v.15): la persona che riconosce legittimi i desideri degli altri, e non fa troppe storie se si vede diminuito nella considerazione sociale.

I responsabili di chiesa non di rado già dai primi tempi si sentivano esperti e autosufficienti…

Viceversa, devono essere pronti in Cristo Gesù a ‘nascere’ sempre di nuovo, altrimenti il loro occhio resterà malato d’una visione del Regno caricaturale e bloccata.

Il “piccolo” ha invece assai meno riserve mentali - nonché meno zavorre pratiche: si getta in modo genuino ed entusiasta nelle imprese dell’avventura di Fede.

 

Il Signore non ha schifo di «toccare» direttamente (v.13) i considerati impuri, le donne, i piccoli o le loro mamme: obbrobrio secondo le norme rituali dell’epoca.

Donne e ragazzini - insieme ai pagani - erano valutati esseri inaffidabili e impuri per natura, anzi contaminanti.

Il Maestro non ha alcun timore di trasgredire la legge religiosa, o di essere valutato Egli stesso un infetto!

Cristo abbraccia, benedice, mette la sua mano sui servetti - come a riconoscerli e consacrarli davvero: vi si rispecchia come fosse uno di loro.

Vuol dire che la preoccupazione dei discepoli non dev’essere quella della “rieducazione” comune a tutti i vari credo più o meno misterici dell’epoca.

Anzi, il segno più eloquente del Regno di Dio sulla terra è proprio lo spirito di accoglienza dei marginali: coloro che neppure sanno cosa significhi rivendicare diritti solo per se stessi.

 

La qualità di Vita nello Spirito si commisura sulla capacità di recuperare i lati opposti in ciascun fedele che ha desiderio di camminare verso la propria stessa completezza.

Così, in Comunità tale dinamica di ripresa incrementa e rimonta grazie alla ‘integrazione’ che diviene convivialità feconda delle differenze.

Accogliere, ospitare deboli, lontani, piccoli ed esclusi è arricchimento personale e comune - segno eloquente della stessa vita e caratura divina in noi e nella Chiesa.

Non un’istituzione vincente, bensì servitrice dell’umanità bisognosa di tutto.

E proprio i ‘piccoli’ diventano in Cristo professori degli adulti.

Questa la modestia angelica e la ‘piccolezza’ evangelica che ci fa emancipati e subito all’altezza; ma soprattutto felici, contenti di essere «minori» anche malconsiderati.

 

 

[27.a Domenica T.O.  (B)  6 ottobre 2024]

Sabato, 21 Settembre 2024 05:44

Lascerà suo padre e sua madre

Mt 19,3-12 (cf. Gen 2,18-24)

 

Conosciamo le oscillazioni della nostra emotività: la persona che ora mi fa perdere la testa, tra una settimana forse mi darà urto di nervi. Ogni mattina ci alziamo con umore differente; dopo un po’ la psiche dà segnali opposti, quindi torna sulle posizioni precedenti.

Ovvio che il filo invisibile del rapporto di coppia non possa riuscire felice e saldo, se i presupposti sono unicamente seduttivi: si finirà in una escalation di apatia o discussioni.

La Parola di Dio propone uno spunto di discernimento assai sapiente per i fidanzati: la nuova Nascita.

Una ragazza lascerà il padre se nella fiammante relazione scopre una prospettiva di migliorate sicurezze, e paternità o possibilità di protezione inedite ancora maggiori; un giovane lascerà sua madre se nella fiaccola del nuovo rapporto scorge un principio di accoglienza, ascolto e comprensione ignoti o superiori alla propria mamma.

Nuova Genesi: è la prospettiva vocazionale irrinunciabile, unica in grado d’integrare la fatica del mettersi in gioco e accogliere l’idea a due di poter anche uscire dalle proprie posizioni - perfino quelle d’inizio relazione.

Nell’innamoramento ci si lascia attivare e attraversare da una Forza misteriosa che [persino al di là del fascino del partner] vuole condurci a una sorta di sprigionamento delle energie nascoste, nell’incessante ricerca dell’identità-carattere.

L’amore ci origina, fa compiere un sentiero non privo d’interruzioni, che costringono incessantemente all’Inizio; a ri-scegliere i valori su cui ci siamo giocati. Quindi nascere e principiare di nuovo, inopinatamente diventando sempre più “giovani”.

Quella fiaccola ardente ci farà fare incontri straordinari, anzitutto nella direzione significativa dell’intimo rigenerato; così non ci sarà più bisogno di catturare il coniuge, per tenerlo fermo o vicino a sé.

È il desiderio sacro che ci crea; poi - a Due - esso diventa ancor più efficacemente sostanza di ciò che ciascuno è chiamato a essere - attraverso passi di felicità che preparano un nuovo originarsi, un distinto abbozzo e destino.

Tutto ciò affinché di onda in onda, di nascita in nascita, e sotto lo stimolo del continuo Dialogo, la nostra essenza si compia, lasciando fiorire la Chiamata per Nome profonda.

 

La naturale complementarietà può consumarsi con l’età, la fatica, le frustrazioni. Invece un riflesso di Amore assoluto, che rimanda e dà le vertigini [perché ci colloca in trame fuori del tempo] è spettacolo che scuote, commuove e conquista.

Irradiare Dio che crea (dentro di noi e nella relazione), riflettere una grande incessante Origine dentro l’unità umana, ci fa essere insieme - a due ma con noi stessi presenti, ed essere-Con la nostra Radice.

Una Sorgente innata che non si esprime in camicie di forza o in una identificazione: dona senso e respiro anche al secondario, al ripetitivo e quotidiano che insidia - e sembra voler farci sfiorire nel disincanto.

Se l’idea del Principio è sempre di casa, non sarà più necessario che la scorza della vita di tutti i giorni modifichi, né che troppe situazioni cambino: è quello sguardo sull’Eternità che fa ri-nascere nel progetto umano (personale ma completo) di Genesi.

È una Presenza… e una Fonte che genera, e l’Orizzonte vitale di Chi si mette dentro le cose… che cambia tanto le nostre piccole cose.

L’Azione di Colui che partorisce alla luminosità antica e nuova dell’anima ci fa crescere e rinascere ancora, per stare sia con se stessi che più saldamente insieme.

La Famiglia diventa una piccola «chiesa domestica» dalla quale «nascono i nuovi cittadini della società umana» (Lumen Gentium n.11).

Essa così manifesta e dispiega l’icona di un Dio che non si esprime in modo rigido, ma nel creare.

Grazie a Genitori in grado di secondare la «vocazione propria di ognuno», nei nuovi albori e nell’incalzare di successivi getti e gemme ciascun virgulto «lascerà suo padre e sua madre».

 

 

Per interiorizzare e vivere il messaggio:

 

L’esperienza ecclesiale cosa ti ha dato in più nella comprensione del rapporto uomo-donna? E circa la comunione e l’autonomia?

 

 

Concezione legalista e durezza di cuore

(Mt 19,3-12)

 

La polemica coi fanatici del diritto mette in rilievo la necessità di una nuova comunità messianica, che superi la concezione morale esclusivamente legalista.

Il tema scelto dai farisei si prestava a mettere Gesù in difficoltà sull’ideale dell’amore.

Il diritto matrimoniale del tempo imponeva alla moglie di farsi proprietà del marito.

Quindi in ogni caso il divorzio ridondava a sfavore della donna, sempre vista come essere inferiore.

Nella società del tempo, dominio maschilista ed emarginazione dei deboli erano situazioni assodate.

A tutela della libertà proprio della donna (Dt 24,1-4) la legge imponeva che il marito stufo [anche per una sciocchezza o capriccio] scrivesse comunque una “lettera” di divorzio che la sancisse libera.

A differenza della società romana, la moglie non aveva il medesimo diritto: una piaga sociale, che ne oscurava la dignità. In pratica era come un oggetto e una schiava anche in casa propria.

Ma nel creare l’essere umano, non era questo l’intento del Creatore. Così Gesù toglie i privilegi - anche domestici - chiedendo massima uguaglianza di diritti e doveri.

Sapeva che gli stessi apostoli preferivano non sposarsi che rinunciare all’esclusiva del comando, anche solo per scapricciarsi: «Se la situazione dell’uomo con la donna è così, non conviene sposarsi» (Mt 19,10).

Il Maestro non consente il dominio del forte sul debole; pertanto l’uomo deve perdere l’egemonia sulla donna.

La legge nuova è l'amore, e l'amore non consente possessi, sfruttamenti affettivi, catene fisse di comando.

Sia matrimonio che celibato sono scelte che riconoscono il valore della Persona. Opzioni da stupore a motivo del Regno di Dio - non a servizio di alcun compromesso, supremazie, o altri interessi che accampino pretese.

Il progetto divino sull'umanità è trasparente, ampio e generoso. La stessa unione matrimoniale - senza per questo sentirsi vincolati a dominazioni o settori - è chiamata a esprimere la mèta di una Pienezza.

Il più forte non acquista il più debole in proprietà, ma [sfumando da quelle rigide posizioni, senza ipocrisie e compromessi di campo] entrambi si arricchiscono a vicenda - con lealtà e anche nelle divergenze, colte come punte avanzate di una proposta di crescita e dilatazione.

Cristo pretende una nuova impostazione dell’etica [un tempo “a giurisdizione”], ora segnata dai valori primari. Ciò al di là delle regolamentazioni, che cercano di adattare all’ordine... arginando forse le nostre parodie, o mediocrità.

Quindi l’insegnamento di Cristo fa qui appello all’Atto creativo divino che nella natura di persona ha inciso una capacità di dono e  crescita - e che non può essere regolato da clausole di contratto, né sottomesso a condizionamenti e soggezioni.

 

Il seme dell’amore va affidato alla terra, anche melmosa; consci della propria debolezza e della potenza di altre forze provvidenziali.

Anche col terreno scosceso o incerto, se non ci si precipita in pregiudizi artificiosi (o lamenti d’ingratitudine) l’intreccio stesso delle radici produrrà genuinamente la sua fioritura.

In tale corrente energetica spontanea, non subordinata, si edificherà una differente abnegazione - ove il dato di fatto da regolare diviene superamento che sprigiona altre virtù o visuali.

Qui il passo di Fede costruisce persone e comunità, completandole (senza troppe accelerazioni, o restrizioni d’imperio). Per un Amore che senza posa ci origina.

La Famiglia diventa così una ‘piccola Chiesa domestica’ perché insieme autonoma e comprensiva; senza più nomenclature, compromessi, maschere, bavagli o camicie di forza.

Allora la complementarietà vissuta in modo autentico - senza esteriorità - può andare oltre le casistiche degli ordinamenti: essa ha buoni esiti personali e sociali, evocando la stessa Presenza di Dio nel mondo.

 

 

Lasciate che gli esclusi vengano a Me

 

La rinuncia all’orgoglio e il Fiuto senza cittadinanza

(Mc 10,13-16)

 

Dopo i sorprendenti consigli sull’uguaglianza nella relazione fra uomo e donna, Gesù rincara la dose proclamando non solo la dignità dei rapporti fra adulti e figli, ma anche tra veterani di comunità e incipienti.

Per i primi della classe, il Regno di Dio era cosa loro e opera loro. Non veniva all’umanità come Dono - anzitutto da ricevere - ma (secondo schema) era necessario raggiungerlo con osservanze e meriti corrispondenti.

Nel passo di Vangelo Cristo non parla d’infantilismo irresponsabile - criterio purtroppo abusato nell’ascetica (e che rende sguarniti)...

Nessuno può occupare il ruolo del Signore sulla terra, semplicemente perché Egli resta Presente e Veniente; non manipolatore.

Se diventiamo semplici e bambini lo siamo unicamente davanti a Dio: nessun istituto può essere in grado di surrogare Gesù.

In passato, una Cristologia umanamente evasiva ha fatto purtroppo il paio con l’ecclesiologia trionfalista.

Davanti ad essa - soprattutto nei territori di provincia o missione - il popolo considerato puerile poteva adempiere talora con fideismo acritico. Al massimo, pronunciare qualche balbettio (mistico o da formulario).

 

Al tempo di Gesù l’inosservanza delle norme di purità escludeva dal culto e dalla vita sociale sia gl’infanti che i considerati infedeli o frammisti, malgrado dessero palese testimonianza di solida carità.

Il termine greco usato - paidìon-paidìa diminutivo di pàis - indicava un’età compresa fra 8-12 anni, tipica dei garzoni di bottega e dei servetti che in casa dovevano scattare a seguito degli ordini altrui (anche di estranei).

Il Maestro assume questi ragazzini come esempio di disponibilità, in primis per i suoi zelanti Apostoli.

Questi ultimi infatti non entravano subito e spontaneamente nel modo di vedere dei famigliari di Dio… come farebbe un autentico credente in quello del Padre.

Solo chi ha l’apertura dei fanciulli può accogliere la salvezza, perché si sente piccolo, permane ricettivo, umilmente sa ricominciare daccapo e perfino da sottozero.

Gesù s’identifica con i malfermi (v.16). E senza mezzi termini intende addirittura proporli di fatto ai seguaci veterani!

Questo proprio per indicare il tipo di credente che sogna diventino (v.15): la persona che riconosce legittimi i desideri degli altri, e non fa troppe storie se si vede diminuito nella considerazione sociale.

I responsabili di chiesa non di rado già dai primi tempi si sentivano esperti e autosufficienti…

Viceversa, devono essere pronti in Cristo Gesù a nascere sempre di nuovo, altrimenti il loro occhio resterà malato d’una visione del Regno caricaturale e bloccata.

Coloro che non si fidano del disegno del Padre, non procederanno con spontaneità e generosità: si smuoveranno solo se rassicurati a monte, recitando un personaggio stagnante, o una mansione ben ricambiata.

Il piccolo e insufficiente ha invece assai meno riserve mentali - nonché meno zavorre pratiche: si getta in modo genuino ed entusiasta nelle imprese dell’avventura di Fede.

Tutto ciò mentre per gli “eletti” (anche della Chiesa ufficiale) gli “incerti” non contano né rappresentano nulla - se non una cornice talora utile per fare numero, ma spesso anche seccante.

 

Prima che i lontani potessero accostarsi all’accoglienza interna effettiva (o alla semplice considerazione) i giudaizzanti volevano sottoporre coloro che si avvicinavano alla soglia delle chiese ad una lunga verifica artificiosa.

Si trattava di una sorta di disciplina dell’arcano (tipica delle varie devozioni) e una snervante trafila di correzioni a codice e casistica - tutte da verificare nel tempo.

Gesù invece non ha schifo di «toccare» direttamente (v.13) i considerati impuri, le donne, i piccoli o le loro mamme: obbrobrio secondo le norme rituali dell’epoca.

Donne e ragazzini - insieme ai pagani - erano valutati esseri inaffidabili e impuri per natura, anzi contaminanti.

Il Maestro non ha alcun timore di trasgredire la legge religiosa, o di essere valutato Egli stesso un infetto!

Il Regno non appartiene agli sterilizzati che ossessionano la vita di altri con precetti d’impurità legale; minuzie futili, esterne, ipocrite, insensate.

Cristo abbraccia, benedice, mette la sua mano sui servetti - come a riconoscerli e consacrarli davvero - assumendo in sé i non promossi delle “sinagoghe” del tempo: vi si rispecchia come fosse uno di loro.

Vuol dire che la preoccupazione dei discepoli non dev’essere quella della rieducazione tradizionale, comune a tutti i vari credo più o meno misterici dell’epoca.

Anzi, il segno più eloquente del Regno di Dio sulla terra è proprio lo spirito di accoglienza dei marginali: coloro che neppure sanno cosa significhi rivendicare diritti solo per se stessi.

Fra l’altro - come ben sperimentiamo semplicemente osservando le nostre stesse realtà - non di rado gli scartati sono meglio introdotti nella pratica della carità anche sommaria, rispetto a coloro che ricoprono ruoli di prestigio disincarnato.

 

Le pretese e le sole sofisticazioni degradano la concretezza del discepolato. Esse escludono il valore specifico del nuovo Regno, sino a trasformarlo e corromperlo - capovolgendolo nella caricatura.

La qualità di Vita nello Spirito si commisura sulla capacità di recuperare i lati opposti in ciascun fedele che ha desiderio di camminare verso la propria stessa completezza.

Così, in Comunità tale dinamica di ripresa incrementa e rimonta grazie all’integrazione che diviene convivialità feconda delle differenze.

Accogliere, ospitare deboli, lontani, piccoli ed esclusi è arricchimento personale e comune - segno eloquente della stessa vita e caratura divina in noi e nella Chiesa. Non istituzione vincente, bensì servitrice dell’umanità bisognosa di tutto.

E proprio i piccoli - totalmente privi dello spirito di autarchia - diventano in Cristo professori degli adulti, ossia dei dirigenti vitalizi, capi, reduci e superApostoli.

Questa la modestia angelica e la piccolezza evangelica che ci fa emancipati e subito all’altezza; ma soprattutto felici, contenti di essere minori (anche malconsiderati).

Insomma il Regno non è ambiente per adultoidi che bastano a se stessi.

 

 

Per interiorizzare e vivere il messaggio:

 

Cosa hai imparato dai lontani e dal loro appello? E la tua comunità è pronta all’accoglienza, all’ospitalità?

O si ritiene autosufficiente, e si pone solo come gran protagonista di elemosine - che trasforma gli altri in oggetti di paternalismo?

 

 

Il Fiuto senza cittadinanza

 

Nel cammino sinodale, l’ascolto deve tener conto del sensus fidei, ma non deve trascurare tutti quei “presentimenti” incarnati dove non ce l’aspetteremmo: ci può essere un “fiuto senza cittadinanza”, ma non meno efficace. Lo Spirito Santo nella sua libertà non conosce confini, e non si lascia nemmeno limitare dalle appartenenze. Se la parrocchia è la casa di tutti nel quartiere, non un club esclusivo, mi raccomando: lasciate aperte porte e finestre, non vi limitate a prendere in considerazione solo chi frequenta o la pensa come voi – che saranno il 3, 4 o 5%, non di più. Permettete a tutti di entrare… Permettete a voi stessi di andare incontro e lasciarsi interrogare, che le loro domande siano le vostre domande, permettete di camminare insieme: lo Spirito vi condurrà, abbiate fiducia nello Spirito. Non abbiate paura di entrare in dialogo e lasciatevi sconvolgere dal dialogo: è il dialogo della salvezza.

Non siate disincantati, preparatevi alle sorprese. C’è un episodio nel libro dei Numeri (cap. 22) che racconta di un’asina che diventerà profetessa di Dio. Gli ebrei stanno concludendo il lungo viaggio che li condurrà alla terra promessa. Il loro passaggio spaventa il re Balak di Moab, che si affida ai poteri del mago Balaam per bloccare quella gente, sperando di evitare una guerra. Il mago, a suo modo credente, domanda a Dio che fare. Dio gli dice di non assecondare il re, che però insiste, e allora lui cede e sale su un’asina per adempiere il comando ricevuto. Ma l’asina cambia strada perché vede un angelo con la spada sguainata che sta lì a rappresentare la contrarietà di Dio. Balaam la tira, la percuote, senza riuscire a farla tornare sulla via. Finché l’asina si mette a parlare avviando un dialogo che aprirà gli occhi al mago, trasformando la sua missione di maledizione e morte in missione di benedizione e vita.

Questa storia ci insegna ad avere fiducia che lo Spirito farà sentire sempre la sua voce. Anche un’asina può diventare la voce di Dio, aprirci gli occhi e convertire le nostre direzioni sbagliate. Se lo può fare un’asina, quanto più un battezzato, una battezzata, un prete, un Vescovo, un Papa. Basta affidarsi allo Spirito Santo che usa tutte le creature per parlarci: soltanto ci chiede di pulire le orecchie per sentire bene.

(Papa Francesco, Discorso 18 settembre 2021)

 

Cf 19(s) ok; 27 B (2)

Sabato, 21 Settembre 2024 05:36

Non lasciarsi travolgere

Cari fratelli e sorelle! In questa domenica, il Vangelo ci presenta le parole di Gesù sul matrimonio. A chi gli domandava se fosse lecito al marito ripudiare la propria moglie, come prevedeva un precetto della legge mosaica (cfr Dt 24, 1), Egli rispose che quella era una concessione fatta da Mosè a motivo della "durezza del cuore", mentre la verità sul matrimonio risaliva "all'inizio della creazione", quando "Dio - come sta scritto nel Libro della Genesi - li creò maschio e femmina; per questo l'uomo lascerà suo padre e sua madre e i due saranno una carne sola" (Mc 10, 6-7; cfr Gn 1, 27; 2, 24). E Gesù aggiunse: "Sicché non sono più due, ma una carne sola. L'uomo dunque non separi ciò che Dio ha congiunto" (Mc 10, 8-9). È questo il progetto originario di Dio, come ha ricordato anche il Concilio Vaticano II nella Costituzione Gaudium et spes: "L'intima comunione di vita e di amore coniugale, fondata dal Creatore e strutturata con leggi proprie, è stabilita dal patto coniugale... Dio stesso è l'autore del matrimonio" (n. 48).

Il mio pensiero va a tutti gli sposi cristiani: ringrazio con loro il Signore per il dono del Sacramento del matrimonio, e li esorto a mantenersi fedeli alla loro vocazione in ogni stagione della vita, "nella gioia e nel dolore, nella salute e nella malattia", come hanno promesso nel rito sacramentale. Consapevoli della grazia ricevuta, possano i coniugi cristiani costruire una famiglia aperta alla vita e capace di affrontare unita le molte e complesse sfide di questo nostro tempo. C'è oggi particolarmente bisogno della loro testimonianza. C'è bisogno di famiglie che non si lascino travolgere da moderne correnti culturali ispirate all'edonismo e al relativismo, e siano pronte piuttosto a compiere con generosa dedizione la loro missione nella Chiesa e nella società.

Nell'Esortazione apostolica Familiaris consortio, il servo di Dio Giovanni Paolo II ha scritto che "il sacramento del matrimonio costituisce i coniugi e i genitori cristiani testimoni di Cristo "fino agli estremi confini della terra", veri e propri "missionari" dell'amore e della vita" (cfr n. 54). Questa missione è diretta sia all'interno della famiglia - specialmente nel servizio reciproco e nell'educazione dei figli -, sia all'esterno: la comunità domestica, infatti, è chiamata ad essere segno dell'amore di Dio verso tutti. È missione, questa, che la famiglia cristiana può portare a compimento solo se sorretta dalla grazia divina. Per questo è necessario pregare senza mai stancarsi e perseverare nel quotidiano sforzo di mantenere gli impegni assunti il giorno del matrimonio. Su tutte le famiglie, specialmente su quelle in difficoltà, invoco la materna protezione della Madonna e del suo sposo Giuseppe. Maria, Regina della famiglia, prega per noi!

[Papa Benedetto, Angelus 8 ottobre 2006]

Sabato, 21 Settembre 2024 05:30

Dualità sin dal principio, e non banalizzare

Carissimi Fratelli e Sorelle!

1. Anche quest'oggi vorrei proseguire nella riflessione sul matrimonio, la famiglia e la legge naturale. Alla base della famiglia c'è l'amore tra un uomo e una donna: un amore inteso come dono di sé, reciproco e profondo, espresso anche nell'unione sessuale, coniugale.

Alla Chiesa si rimprovera talvolta di fare del sesso un "tabù". La verità è ben altra! Nel corso della storia, in contrasto con le tendenze manichee, il pensiero cristiano ha sviluppato una visione armonica e positiva dell'essere umano, riconoscendo il ruolo significativo e prezioso che la mascolinità e la femminilità svolgono nella vita dell'uomo.

Del resto il messaggio biblico è inequivocabile: "Dio creò l'uomo a sua immagine . . . Maschio e femmina li creò" (Gen 1, 27). In questa affermazione, è scolpita la dignità di ogni uomo e di ogni donna, nella loro uguaglianza di natura, ma anche nella loro diversità sessuale. Essa è un dato che tocca profondamente la costituzione dell'essere umano. "Dal sesso infatti la persona umana deriva le caratteristiche che sul piano biologico, psicologico e spirituale la fanno uomo o donna" (Congr. pro Doctrina Fidei, Persona humana, 1).

L'ho ribadito di recente nella Lettera alle famiglie: "L'uomo è creato "sin dal principio" come maschio e femmina: la vita dell'umana collettività - delle piccole comunità come dell'intera società - porta il segno di questa dualità originaria. Da essa derivano la "mascolinità" e la "femminilità" dei singoli individui, così come da essa ogni comunità attinge la propria caratteristica ricchezza nel reciproco completamento delle persone" (Giovanni Paolo II, Lettera alle famiglie, n. 6).

2. La sessualità appartiene dunque al disegno originario del Creatore, e la Chiesa non può fare a meno di averne una grande stima. Al tempo stesso, neppure può fare a meno di chiedere a ciascuno di rispettarla nella sua natura profonda.

Quale dimensione inscritta nella totalità della persona, la sessualità costituisce un "linguaggio" a servizio dell'amore, e non può dunque essere vissuta come pura istintualità. Essa va governata dall'uomo quale essere intelligente e libero.

Ciò non vuol dire, tuttavia, che essa possa essere manipolata ad arbitrio. Essa possiede infatti una sua tipica struttura psicologica e biologica, finalizzata sia alla comunione tra uomo e donna che alla nascita di nuove persone. Rispettare tale struttura e tale inscindibile connessione non è "biologismo" o "moralismo", è l'attenzione alla verità dell'essere uomo, dell'essere persona. E’ in forza di tale verità, percepibile anche alla luce della ragione, che sono moralmente inaccettabili il cosiddetto "libero amore", l'omosessualità, la contraccezione. Si tratta infatti di comportamenti che stravolgono il significato profondo della sessualità, impedendole di porsi al servizio della persona, della comunione e della vita.

3. La Vergine Santa, modello di femminilità, di tenerezza e di dominio di sé, aiuti gli uomini e le donne del nostro tempo a non banalizzare il sesso, in nome di una falsa modernità. A Lei guardino i giovani, le donne, le famiglie. Voglia Maria, Madre castissima, illuminare i rappresentanti delle nazioni perché nella prossima riunione a Il Cairo assumano decisioni ispirate agli autentici valori umani, che sono alla base dell'auspicata civiltà dell'amore.

[Papa Giovanni Paolo II, Angelus 26 giugno 1994]

Sabato, 21 Settembre 2024 05:21

Chiamati a riconoscersi e completarsi

Il Vangelo di questa domenica (cfr Mc 10,2-16) ci offre la parola di Gesù sul matrimonio. Il racconto si apre con la provocazione dei farisei che chiedono a Gesù se sia lecito a un marito ripudiare la propria moglie, così come prevedeva la legge di Mosè (cfr vv. 2-4). Gesù anzitutto, con la sapienza e l’autorità che gli vengono dal Padre, ridimensiona la prescrizione mosaica dicendo: «Per la durezza del vostro cuore egli – cioè l’antico legislatore – scrisse per voi questa norma» (v. 5). Si tratta cioè di una concessione che serve a tamponare le falle prodotte dal nostro egoismo, ma non corrisponde all’intenzione originaria del Creatore.

E qui Gesù riprende il Libro della Genesi: «Dall’inizio della creazione (Dio) li fece maschio e femmina; per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due diventeranno una carne sola» (vv. 6-7). E conclude: «Dunque l’uomo non divida quello che Dio ha congiunto» (v. 9). Nel progetto originario del Creatore, non c’è l’uomo che sposa una donna e, se le cose non vanno, la ripudia. No. Ci sono invece l’uomo e la donna chiamati a riconoscersi, a completarsi, ad aiutarsi a vicenda nel matrimonio.

Questo insegnamento di Gesù è molto chiaro e difende la dignità del matrimonio, come unione di amore che implica la fedeltà. Ciò che consente agli sposi di rimanere uniti nel matrimonio è un amore di donazione reciproca sostenuto dalla grazia di Cristo. Se invece prevale nei coniugi l’interesse individuale, la propria soddisfazione, allora la loro unione non potrà resistere.

Ed è la stessa pagina evangelica a ricordarci, con grande realismo, che l’uomo e la donna, chiamati a vivere l’esperienza della relazione e dell’amore, possono dolorosamente porre gesti che la mettono in crisi. Gesù non ammette tutto ciò che può portare al naufragio della relazione. Lo fa per confermare il disegno di Dio, in cui spiccano la forza e la bellezza della relazione umana. La Chiesa, da una parte non si stanca di confermare la bellezza della famiglia come ci è stata consegnata dalla Scrittura e dalla Tradizione; nello stesso tempo, si sforza di far sentire concretamente la sua vicinanza materna a quanti vivono l’esperienza di relazioni infrante o portate avanti in maniera sofferta e faticosa.

Il modo di agire di Dio stesso con il suo popolo infedele – cioè con noi – ci insegna che l’amore ferito può essere sanato da Dio attraverso la misericordia e il perdono. Perciò alla Chiesa, in queste situazioni, non è chiesta subito e solo la condanna. Al contrario, di fronte a tanti dolorosi fallimenti coniugali, essa si sente chiamata a vivere la sua presenza di amore, di carità e di misericordia, per ricondurre a Dio i cuori feriti e smarriti.

Invochiamo la Vergine Maria, perché aiuti i coniugi a vivere e rinnovare sempre la loro unione a partire dal dono originario di Dio.

[Papa Francesco, Angelus 7 ottobre 2018]

Venerdì, 20 Settembre 2024 23:04

L’unica preghiera di Gesù poco insegnata

Scienziati e Piccoli: mondo astratto e incarnazione

(Lc 10,17-24)

 

A differenza dell’azione infruttuosa degli Apostoli [Lc 9 passim], il ritorno dei nuovi evangelizzatori è pieno di gioia e risultati (vv.17-20). Perché?

I capi guardavano la religiosità con scopi d’interesse. I professori di teologia erano abituati a valutare ogni virgola partendo dal proprio sapere, ridicolo ma supponente - estraneo alle vicende reali.

Ciò che rimane vincolato a costumanze e soliti protagonisti non fa sognare, non è apparizione e testimonianza stupefacente d’Altrove; toglie ricchezza espressiva all’Annuncio e alla vita.

Il Maestro si rallegra della sua stessa esperienza, che reca una gioia non epidermica e un insegnamento dallo Spirito - su chi è ben disposto, e capace di comprendere le profondità del Regno, nelle cose comuni.

Insomma, dopo un primo momento di folle entusiaste, il Maestro approfondisce le tematiche e si ritrova tutti contro, tranne Dio e i minimi: i senza peso, ma con tanta voglia di cominciare da zero.

Barlume del Mistero che lievita la storia - senza farne un possesso.

 

In un primo tempo anche Gesù rimane sbalordito per il rifiuto di chi si riteneva già soddisfatto e non attendeva più nulla che potesse destare le abitudini.

Poi comprende, loda e benedice il disegno del Padre: la persona autentica nasce dai bassifondi, e possiede «lo spirito del vicinato» (FT n.152).

Dio è Relazione semplice: demitizza l’idolo della grandezza.

L’Eterno non è il padrone del creato: è Ristoro che rinfranca, perché fa sentire completi e amabili; ci cerca, si fa attento al linguaggio del cuore.

Egli è Custode del mondo, anche dei non istruiti - degli «infanti» (v.21) spontaneamente vuoti di spirito borioso, ossia di coloro che non restano chiusi nella loro sufficiente appartenenza.

Così il rapporto Padre-Figlio è comunicato ai poveri di Dio: coloro che sono dotati di un’attitudine da Famigliari (v.22).

Insignificanti e invisibili privi di grandi doti, ma che si abbandonano alle proposte della vita provvidente che Viene, come bimbi in braccio a dei genitori.

Con Spirito di pietas che favorisce chi si lascia colmare di saggezza innata. Unica realtà che ci corrisponde e non presenta il “conto”: essa non procede sulle vie del pensiero funzionale, dell’iniziativa calcolante.

Sapienza che trasmette freschezza nella disponibilità a ricevere accogliere ritemprare personalmente la Verità come Dono, e l’entusiasmo spontaneo stesso, in grado di realizzarla.

 

Una preghiera di benedizione semplice, per i semplici - questa di Gesù (v.21) - che ci fa crescere nella stima, calza perfettamente con la nostra esperienza, e va d’accordo con noi stessi.

Non presuppone l’energia dei ‘modelli’, né la potenza aggressiva dei “pezzi grossi”.

Nella prospettiva della Pace-Felicità [Shalom] da annunciare, quelli che erano sempre sembrati imperfezioni e difetti diventano energie preparatorie, che ci completano e realizzano anche spiritualmente.

E invece che solo con il “grande” ed esterno, bisogna vivere di Comunione pur con il ‘piccolo’ di sé, o non c’è amabilità, né autentica vita.

 

 

Per interiorizzare e vivere il messaggio:

 

Cosa provi quando ti senti dire: «Tu non conti»? Rimane un disprezzo umiliante o la consideri una grande Luce ricevuta, come ha fatto Gesù?

 

 

[Sabato 26.a sett. T.O.  5 ottobre 2024]

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The family in the modern world, as much as and perhaps more than any other institution, has been beset by the many profound and rapid changes that have affected society and culture. Many families are living this situation in fidelity to those values that constitute the foundation of the institution of the family. Others have become uncertain and bewildered over their role or even doubtful and almost unaware of the ultimate meaning and truth of conjugal and family life. Finally, there are others who are hindered by various situations of injustice in the realization of their fundamental rights [Familiaris Consortio n.1]
La famiglia nei tempi odierni è stata, come e forse più di altre istituzioni, investita dalle ampie, profonde e rapide trasformazioni della società e della cultura. Molte famiglie vivono questa situazione nella fedeltà a quei valori che costituiscono il fondamento dell'istituto familiare. Altre sono divenute incerte e smarrite di fronte ai loro compiti o, addirittura, dubbiose e quasi ignare del significato ultimo e della verità della vita coniugale e familiare. Altre, infine, sono impedite da svariate situazioni di ingiustizia nella realizzazione dei loro fondamentali diritti [Familiaris Consortio n.1]
"His" in a very literal sense: the One whom only the Son knows as Father, and by whom alone He is mutually known. We are now on the same ground, from which the prologue of the Gospel of John will later arise (Pope John Paul II)
“Suo” in senso quanto mai letterale: Colui che solo il Figlio conosce come Padre, e dal quale soltanto è reciprocamente conosciuto. Ci troviamo ormai sullo stesso terreno, dal quale più tardi sorgerà il prologo del Vangelo di Giovanni (Papa Giovanni Paolo II)
We come to bless him because of what he revealed, eight centuries ago, to a "Little", to the Poor Man of Assisi; - things in heaven and on earth, that philosophers "had not even dreamed"; - things hidden to those who are "wise" only humanly, and only humanly "intelligent"; - these "things" the Father, the Lord of heaven and earth, revealed to Francis and through Francis (Pope John Paul II)
Veniamo per benedirlo a motivo di ciò che egli ha rivelato, otto secoli fa, a un “Piccolo”, al Poverello d’Assisi; – le cose in cielo e sulla terra, che i filosofi “non avevano nemmeno sognato”; – le cose nascoste a coloro che sono “sapienti” soltanto umanamente, e soltanto umanamente “intelligenti”; – queste “cose” il Padre, il Signore del cielo e della terra, ha rivelato a Francesco e mediante Francesco (Papa Giovanni Paolo II)
But what moves me even more strongly to proclaim the urgency of missionary evangelization is the fact that it is the primary service which the Church can render to every individual and to all humanity [Redemptoris Missio n.2]
Ma ciò che ancor più mi spinge a proclamare l'urgenza dell'evangelizzazione missionaria è che essa costituisce il primo servizio che la chiesa può rendere a ciascun uomo e all'intera umanità [Redemptoris Missio n.2]
That 'always seeing the face of the Father' is the highest manifestation of the worship of God. It can be said to constitute that 'heavenly liturgy', performed on behalf of the whole universe [John Paul II]
Quel “vedere sempre la faccia del Padre” è la manifestazione più alta dell’adorazione di Dio. Si può dire che essa costituisce quella “liturgia celeste”, compiuta a nome di tutto l’universo [Giovanni Paolo II]

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