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Dic 6, 2025 Scritto da 
il Mistero

Due Venute: l’ultima per purificare. E la Prima, per soppiantare

(Mt 11,2-11)

 

La Crisi dello spirito titanico. Perplessità del Battista

(Mt 11,2-6)

 

È la cosiddetta crisi del Battista. In fondo, è il crocevia della nostra stessa esperienza nella crescita della Fede.

Il nome Giovanni significa Dio-è-misericordioso, ma qui l’ultimo dei profeti antichi e battistrada del Cristo prova scandalo per la Misericordia eccessiva: senza condizioni.

Gesù compie tutti segni positivi, di recupero. Nessuna condanna, nessun castigo: questa la Parola prodigiosa!

Il popolo dei giusti è ora di altra natura - sconcertante, in quanto si compone anche di miscredenti.

Come per Zaccheo-Matteo [Lc 19,1-10]: chi si vergogna di farsi vedere e presentarsi non è messo in castigo, ma viene riqualificato in società. 

Le viscere di Misericordia di Dio pongono vita in coloro che l’hanno smarrita.

Cristo non spezza, aggiusta: persino chi si ritrova fuori strada “secondo religione” - e si sente ripugnante, repellente anche a se stesso.

Censura la vendetta (v.5) degli oracoli messianici del Primo Testamento [cf. Is 29,20s. 61,2]: perché l’autentica «Terra che darà alla luce le ombre» (Is 26,19), il vero «suolo riarso che diventa sorgenti d’acqua» [Is 35,7 - non si capisce perché escluso dalla liturgia] non sarà dirigista né forense.

Neanche noi forse ci aspetteremmo tante posizioni di premura, ma il Maestro butta tutto all’aria e sostituisce le appariscenze del Santuario di pietra.

Un rovesciamento sacrale: perché di fatto in esso si promuoveva una mentalità sleale, opportunista, corrotta, senza scrupoli.

Modo di concepire utile a commedianti astuti, ai forti e agli svelti; umiliante per i fuori del giro.

Non un Regno di Dio si rintanava lì, bensì il campo dei “grandi”, che infine piegavano dove tirava il vento - in alcuni casi di manipolazione, ancora oggi talora espropriando le persone di se stesse.

Nessuno si sarebbe atteso una ripulitura di tutte le tossine spirituali che andavano a configurare la vita pia di coloro che amano la forza.

Gesù recuperava in leggerezza, perché la sua Parola, le Opere e l’alto Discernimento risvegliavano i lati più personali.

I caratteri propri non conducevano le persone a rimpiangere reami.

L’intima vocazione invita a coinvolgersi - accendendo l’amore che cambia pagina, non che pianta rabbiosamente nelle trappole del timore.

La Chiamata per Nome svincola dalle pastoie di accalappiamenti artificiosi, che impediscono di proseguire in naturalezza.

 

Privo di spirito titanico, il nuovo Rabbi risvegliava risorse e coraggio che i minimi neanche sospettavano di avere in dono inespresso.

Senza posa il Maestro ne stimolava il contributo eccezionale - addirittura decisivo - alla storia della Salvezza.

Egli assecondava gli slanci di coloro che l’opinione devota comune considerava malati o squilibrati, perché non conformi - ma che avevano in dote punti davvero ricchi di sfaccettature.

Volti caldi e propulsivi.

Il giovane Maestro favoriva i sogni di trasformazione, non solo di ricovero - tutti col solito colore (pigiama, o armatura).

Accoglieva lo sprigionarsi di lati naturali e altre individuazioni, più eleganti e morbide, o strambe, affascinanti d’unicità.

Insegnava non a rinunciare e progettare e praticare, bensì ad ascoltare, accogliere e accogliersi - aspettando le nuove energie: profili suscitati dal momento di necessità, dal contatto con i propri stati profondi.

Non riduceva il senso del Mistero recato dal tempo opportuno, o dagli stessi fastidi che ci forniscono preziose indicazioni [più del boomerang di volontarismi ascetici, tanto ideali quanto artificiosi].

 

Faceva riscoprire il fascino convincente della bellezza della vita dai toni tenui, senza l’esagerazione di continue tinte forti.

Lacerazioni a quel tempo anche suscitate dal nazionalismo che accentuava le ferite e alterava gli equilibri della Famiglia umana, sulla quale il Padre sognava viceversa di “riposare”.

Ebbene, Cristo elogiava anche la lentezza dei meno rabbiosi. Perché il ritmo blando faceva emergere la radice interiore, la specifica Missione e sembianza anche dei senza voce.

In tal guisa, non con atti perentori di muscolo, bensì spontaneamente, da dentro.

Tutto ciò, con una trasparente e sacra genuinità - a partire dalla custodia della propria Chiamata qualitativa, portata a consapevolezza senza troppi colpi di genio o di reni.

Solo quando pronti.

Stimolava la scoperta dei codici dell’inaspettato, sapendo attendere nuove prontezze e valutando… perché chi inizia a vedere la propria vicenda con occhi nuovi, è già sulla soglia del cambiamento.

 

Accontentarsi tutti della vecchia canzone [o accodarsi all’inno glamour] non avrebbe sviluppato il vaglio di larghi orizzonti e modi, rigeneranti anche se solo portati in cuore.

Ci si sarebbe accontentati di qualche fantasia disincarnata, o d’un ritorno nel solito villaggio antico, ovvero poco altrove.

La pesantezza d’idee e conformismi, luoghi comuni, tradizioni, sensi di colpa, attivismi e giudizi moralisti, ingabbiava le personalità.

Mai prima di Cristo le persone sottoposte avrebbero immaginato l’Altissimo diversamente da un vampiro energetico e spirituale, ricolmo di programmi e aspettative di perfezione formale.

Invece, grazie al Figlio potevano scoprire che il Padre benedice il recupero personale e sociale degli opposti.

Proprio le eccentricità ci completano, e danno stimoli [non solo ornamentali] alla convivialità delle differenze.

Dire ad esempio: “questa è la nostra cultura e modo di fare!” oppure “bisogna fare questo e mostrarsi à la page” limita le facoltà operative e inedite, non fa trasalire né stupire nessuno.

Anzi, l’unilateralità sempre accentua l’inimicizia esterna e interiore, limita le conquiste e l’indipendenza d’azione (piantata sulle discrepanze).

Gesù ha invitato anche il Battista ad accendere il suo mondo interno e cambiare sguardo - perché fissando solo i problemi e i controlli non si vedono più le soluzioni.

Non si torna come bambini; non si trasforma gli intrusi in gioielli. Non s’incontra la propria parte infinita.

 

Insomma, voleva che facesse lui in prima persona quella Conversione dalla religiosità alla Fede che predicava agli altri.

 

 

Le Radici: il vero Amico, e il grande nemico

 

Battista, Gesù, le corti: differenze di esodo

 

«Che cosa siete usciti a contemplare nel deserto? Ma che cosa siete usciti a vedere?» (vv.7.8.9).

Il Signore vuole aiutarci a prendere coscienza profonda del tratto di strada percorso e di ciò che ancora ci sta davanti.

Non siamo già in possesso della Salvezza. C’è da riflettere sul vero Esodo ancora da fare.

Battista e Gesù non hanno mai frequentato i palazzi di corte. Questo è chiaro (v.8).

Lo spirito edonista o di domesticazione blandisce e ci attrae, ma attutisce e snerva la franchezza, la vitalità di ogni cammino.

Invece Cristo propone un altro movimento di Conversione: uno scavo ulteriore, che distingue la sua proposta anche da quella del Precursore.

«In verità vi dico, non è sorto tra i nati di donne uno più grande di Giovanni, il Battista; ma il più piccolo nel regno dei cieli è più grande di lui» (v.11).

Per un percorso di crescita autentica e finalmente matura - figli nel Figlio - è opportuno liberarsi da ogni modello di perfezione.

Adottare una via unilaterale non conduce ad alcuna fioritura, piuttosto a rattrappire le cose.

Nell’itinerario positivo (e intimo) non c’è una strada sola. La vita è varietà, mutamento, esperienza di risuscitazione.

In tale orizzonte, gli intoppi maggiori nel corrispondere alla personale Chiamata per Nome nascono proprio dalle identificazioni.

I riconoscimenti risoluti sono sempre artificiosi. Essi non ci svegliano da situazioni paludose, né lasciano che ritroviamo l’oro delle misteriose, intime, sapienti inclinazioni.

L’esistenza e le stesse persone infatti non sono bianco o nero. E il percorso della Vita nello Spirito accetta le sfumature di carattere.

Esse talora possono apparire come fossero note confusionarie, tipiche di personalità da correggere. Così s’immaginava fino a non molto tempo fa; situazione che però tendeva a impoverire e livellarci.

L’idea devota antica - che tanto ci ha condizionati - era infatti legata al primato della “coerenza” morale esterna [corrispondenza tra idee e azioni].

A questo pensiero banale Cristo sostituisce tutt’altro focus: la corrispondenza tra stati interiori e loro manifestazione.

Insomma, un «piccolo nel regno dei cieli» può anche essere un disadattato e perturbante, un eccentrico e riprovevole inquieto - che però vorrebbe crescere. Quindi non copre le proprie lotte interne.

Non di rado i sorrisi di circostanza, i moralismi, o le stesse  buone maniere, velano idee, pulsioni, abitudini opposte che in qualche modo, prima o poi, troveranno una loro strada per diventare protagoniste.

Per non parlare - anche in religione - degli atteggiamenti dirigisti, i quali appunto non si sa bene quale “doppio” nascondano. Non sono essi la vera linearità, ordine autentico; tantomeno “disciplina”.

Il Maestro sogna che i suoi apostoli si allontanino da giudizi temerari e ideali astratti. Troppo facili. Non fanno percepire in modo nitido.

Insomma, dobbiamo sospendere i luoghi comuni sull’amore verso Dio e gli altri, così l’opinione corriva su noi stessi - nonché i pareri assorbiti.

I contrasti sono naturali. I disagi sono il linguaggio primordiale dell’anima che ci chiama a girare lo sguardo, per attivare lo spirito verso nuovi sentieri da esplorare.

Solo in tale Esodo approderemo alla Terra Promessa, terra vergine tutta da scoprire. Da rifare ogni giorno.

Non tagliando in orizzontale le Radici, bensì partendo da esse.

 

 

Un concetto diverso

 

1. Nelle catechesi precedenti abbiamo cercato di mostrare gli aspetti più rilevanti della verità sul Messia così come essa è stata preannunziata nell’antica alleanza, e così come è stata ereditata dalla generazione dei contemporanei di Gesù di Nazaret, entrati nella nuova tappa della rivelazione divina. Di questa generazione, coloro che hanno seguito Gesù, lo hanno fatto perché convinti che in lui si è compiuta la verità sul Messia: che proprio lui è il Messia, il Cristo. Significative sono le parole con cui Andrea, il primo degli apostoli chiamati da Gesù, annuncia a suo fratello Simone: “Abbiamo trovato il Messia (che significa il Cristo)” (Gv 1, 41).

Si deve però riconoscere che le constatazioni così esplicite sono piuttosto rare nei Vangeli. Ciò è dovuto anche al fatto che nella società israeliana di quei tempi era diffusa un’immagine di Messia al quale Gesù non volle adattare la sua figura e la sua opera, nonostante lo stupore e l’ammirazione suscitati da tutto ciò che egli “fece e insegnò” (At 1, 1).

2. Sappiamo anzi che lo stesso Giovanni Battista, il quale sulle rive del Giordano aveva indicato Gesù come “colui che doveva venire” (cf. Gv 1, 15.30), avendo con spirito profetico visto in lui “l’agnello di Dio” venuto per togliere i peccati del mondo, Giovanni che aveva preannunziato il “nuovo battesimo” che Gesù avrebbe conferito con la forza dello Spirito, quando già si trovava in prigione mandò i suoi discepoli a porre a Gesù la domanda: “Sei tu colui che deve venire o dobbiamo attendere un altro?” (Mt 11, 3).

3. Gesù non lascia senza risposta Giovanni e i suoi messaggeri: “Andate e riferite a Giovanni ciò che avete visto e udito: i ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi vengono sanati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunziata la buona novella” (Lc 7, 22). Con questa risposta Gesù intende confermare la sua missione messianica ricorrendo in particolare alle parole di Isaia (cf. Is 35, 4-5; 61, 1). E conclude: “Beato è chiunque non sarà scandalizzato di me!” (Lc 7, 23). Queste ultime parole suonano come un richiamo indirizzato direttamente a Giovanni, suo eroico precursore, il quale aveva del Messia un concetto diverso.

Infatti nella sua predicazione Giovanni aveva delineato la figura del Messia come quella di un giudice severo. In questo senso aveva parlato dell’“ira imminente”, della “scure già posta alla radice degli alberi” (cf. Lc 3, 7.9), per tagliare ogni pianta “che non porta buon frutto” (Lc 3, 9). Certamente Gesù non avrebbe esitato a trattare con fermezza e anche con asprezza, quando necessario, l’ostinazione e la ribellione alla parola di Dio, ma egli sarebbe stato soprattutto l’annunziatore della “buona novella ai poveri” e con le sue opere e i suoi prodigi avrebbe rivelato la volontà salvifica di Dio, Padre misericordioso.

4. La risposta che Gesù dà a Giovanni presenta anche un altro elemento che è interessante rilevare: Egli evita di proclamarsi apertamente Messia. Nel contesto sociale del tempo, infatti, tale titolo risultava molto ambiguo: la gente comunemente lo interpretava in senso politico. Gesù preferisce perciò rimandare alla testimonianza offerta dalle sue opere, desideroso maggiormente di persuadere e di suscitare la fede.

[Papa Giovanni Paolo II, Udienza Generale 4 marzo 1987]

 

3. Nella dottrina di Giovanni, preannunciatrice di quella di Gesù, emerge una visione fondamentalmente positiva della società, delle classi e delle professioni: nessuna di esse esclude dalla salvezza, se ci s’impegna a praticare la giustizia e la carità. Tuttavia il Battista è severo, persino rude, nel suo annuncio del Cristo che verrà col ventilabro a pulire l’aia e a mettere la scure alle radici. Si tratta di un messaggio schietto e forte che delinea i nuovi rapporti di giustizia tra gli uomini.

[Papa Giovanni Paolo II, Angelus dicembre 1990]

 

 

La Chiesa comincia con l’evangelizzare se stessa

 

Evangelizzatrice, la Chiesa comincia con l'evangelizzare se stessa. Comunità di credenti, comunità di speranza vissuta e partecipata, comunità d'amore fraterno, essa ha bisogno di ascoltare di continuo ciò che deve credere, le ragioni della sua speranza, il comandamento nuovo dell'amore. Popolo di Dio immerso nel mondo, e spesso tentato dagli idoli, essa ha sempre bisogno di sentir proclamare «le grandi opere di Dio» [41], che l'hanno convertita al Signore, e d'essere nuovamente convocata e riunita da lui. Ciò vuol dire, in una parola, che essa ha sempre bisogno d'essere evangelizzata, se vuol conservare freschezza, slancio e forza per annunziare il Vangelo. Il Concilio Vaticano II ha ricordato [42] e il Sinodo del 1974 ha fortemente ripreso questo tema della Chiesa che si evangelizza mediante una conversione e un rinnovamento costanti, per evangelizzare il mondo con credibilità.

[40] Cfr. Act. 2, 42-46; 4, 32-35; 5, 12-16

[41] Cfr. Ibid. 2, 11; 1 Petr. 2, 9

[42] Cfr. Ad Gentes, 5, 11, 12: AAS 58, 1966, pp. 951-952, 959-961

[Papa Paolo VI, Evangelii Nuntiandi n.15]

 

 

Il grande Battezzatore, più piccino del Minimo

 

E perché Elia

(Mt 11,11-15)

 

S. Agostino affermava: «In Vetere Testamento Nuvum latet, in Novo Testamento Vetus patet». Ma a un diverso livello.

È vero che il messaggio del secondo Patto sorge dall’humus del primo, così come il nuovo rivela il senso ed è culmine dell’antico.

È anche accertato che nell’arco della storia della Redenzione il Battista sia stato un crocevia di proposte radicali, inattese, dirimenti.

Aveva rifiutato di far parte della classe sacerdotale, corrotta e refrattaria alle novità dello Spirito.

Predicava la giustizia sociale, nonché il perdono dei peccati fuori del Tempio - grazie a un cambiamento di mentalità che si dispiegasse nella vita reale.

Già secondo Giovanni, fattore di salvezza non poteva essere un rito formale, bensì la conversione concreta e di relazione: ad es. il non pensare più solo a se stessi. 

Ma non ha rivelato - come il Figlio - la profondità del cuore del Padre.

Credeva che l’opera dei nuovi profeti dovesse fare giustizia immediata (sommaria...).

Sognava di poter recuperare l’incontaminatezza e la forza antiche, rabberciando gl’ingredienti della religione dei padri; insomma, di tornare alle origini.

Tutto, purificando e aggiornando il gran Tempio - non soppiantandolo nella sua configurazione giuridico-teologica.

Secondo Gesù invece, essa permaneva radicalmente deviante, perché incline alla forza e incapace di valorizzare fragilità e insicurezze.

 

Il Dio delle credenze arcaiche disdegnava le contraddizioni. Veniva a sentenziare e castigare secondo un freddo codice, tanto ideale quanto distante da ciascuno [anche dei suoi stessi credenti].

Ma un Altissimo sovrano che non ha cura delle persone deboli o delle cose che non piacciono, non sembra amabile: innesca e accentua i meccanismi settari della devozione competitiva, ansiogena, avvilente.

E il problema «Dove trovo la fiducia?» non ha riscontro; non si sposta di un millimetro.

Ebbene, non possiamo trarre energia da un’impostazione severa, purista, forzata e sterilizzante; contraria alla fioritura della nostra preziosa Unicità.

Le continue mortificazioni delle eccentricità che renderebbero fantastici, demotivano.

Chiusi nelle armature che non ci appartengono, diventiamo arcigni, nemici della vita, invece che eccezionali, unici, rigogliosi.

Per questo Gesù annuncia la novità di un Regno da «accogliere».

Non da allestire con sudori e preparare con sforzo, secondo dettati culturali, legalisti, esterni, ma appunto da ospitare e includere; perché spiazza, travalica, sbalordisce.

 

Gli occhi nuovi per scoprire il senso di tutto un cammino sono trasmessi solo da colui che è Amico.

E Cristo lo fa non quando ci collochiamo bene o attrezziamo forte - permanendo in atteggiamento dirigista - bensì nell’ascolto totale (v.15).

 

In tal senso Giovanni è inferiore a qualsiasi ultimo degli ultimi e senza peso (v.11) che si presenta alla soglia delle comunità.

Costui vuol godere della vita fraterna, e apprendere come interiorizzare il passaggio dal senso religioso alla Fede, alla fioritura di sé, all’Amore.

 

Anche l’idea del Battezzatore circa il Messia non era quella del Cristo disposto ad abbracciare, recuperare, valorizzare e prediligere persino i senza voce, o i lontani considerati impuri.

Il nostro Maestro e Fratello è viceversa propugnatore di opere di sola vita con pienezza di Felicità (vv.2-6). Non di rudezze e cruda mortificazione - propria e dei nemici - o accuse.

 

Per Gesù i mikròi (v.11) - ossia i minimi, estranei e pitocchi - portano in cuore e nel Regno il germe della novità dei cieli squarciati per sempre.

Malgrado abbiano scarsa energia, essi recano la colomba di pace [Matteo 3,16; Marco 1,10; Luca 3,22].

Icona di una energia non più aggressiva, sebbene la subiscano (versetto 12) [Luca 16,16].

Per questo alla personalità distinta del grande e celebre Santo del deserto e del Giordano - incensurato conquistatore di folle - il Figlio di Dio può anteporre non un suo veterano, ma un qualsiasi inesperto, nuovo, claudicante, peccatore; reso libero perché rigenerato.

 

Questa la nuova era, dove più nessuno è additato e sotto assedio. Il Regno differente è quello di attese non istituzionali (talora da sbadiglio).

Gli stati creativi di qualsiasi infante - fuori dal giro, ma sensibile - sono accolti e risvegliati, invece che tirati da una parte e messi a tacere.

 

L’autentico motore della storia è in una dedita ma aperta e tranquilla potenza spontanea, naturale, innata.

Sia nei rovesci (anche epocali) che nella ricerca dello sviluppo umano integrale, o nell’incessante ricerca della pace, tale attitudine battesimale sa riprendere da zero.

 

«Se si tratta di ricominciare, sarà sempre a partire dagli ultimi» [cf. enciclica Fratelli Tutti n.235] non dai già realizzati.

L’energia dimessa è infatti la tipica risorsa persino del meno capace e più irrilevante dei discepoli autentici.

Unica virtù, e impareggiabile spirito che non decurta spazio all’esistenza.

Anzi, scioglie i veri nodi e non impoverisce le cose.

 

 

Per interiorizzare e vivere il messaggio:

 

Cosa, per te significa tutto?

E valore aggiunto?

E se il più piccolo del Regno fosse Gesù stesso?

Che tu sia misero e incapace di trionfare, lo consideri un nulla... o ti blocca?

La comunità accoglie i tuoi desideri o li tira da una parte?

 

 

Perché Elia

 

Al tempo, nell’area palestinese le difficoltà economiche e la dominazione romana costringevano le persone a ripiegare su un modello di vita individuale.

I problemi di sussistenza e assetto sociale avevano avuto come conseguenza uno sgretolamento della vita di relazione (e legami) sia di clan che nelle stesse famiglie.

Nuclei accorpanti, che avevano sempre assicurato assistenza, sostegno e difesa concreta ai membri più deboli e in difficoltà.

Tutti si attendevano che la venuta di Elia e del Messia potesse avere un esito positivo nella ricostruzione della vita fraterna, allora intaccata.

Come si diceva: «ricondurre il cuore dei padri verso i figli e il cuore dei figli verso i padri» [Mal 3,22-24 annunciava proprio l’invio di Elia] per ricostruire la convivenza disintegrata.

Ovviamente il recupero del senso d'identità interno del popolo era malvisto dal sistema di dominazione. Figuriamoci la cifra gesuana della Chiamata per Nome, che avrebbe spalancato la vita pia popolare a mille possibilità.

Giovanni aveva predicato con forza un ripensamento dell’idea di libertà conquistata (passaggio del Giordano), il riassetto delle idee religiose consolidate (conversione e perdono dei peccati nella vita reale, fuori del Tempio) e giustizia sociale.

Avendo un progetto evoluto di riforma nella solidarietà (Lc 3,7-14), in pratica era il Battezzatore stesso che aveva già svolto la missione dell’Elia atteso [Mt 17,10-12; Mc 9,11-13].

Per questo motivo era stato tolto di mezzo: poteva riassemblare tutto un popolo di estromessi - emarginati sia dal giro del potere che della religiosità verticista, accomodante, servile, e collaborazionista.

Una devozione a compartimenti stagni, che non consentiva assolutamente né il “ricordo” di se stessi, né dell’antico assetto sociale comunitario, incline alla condivisione.

Insomma, il sistema di cose, interessi, gerarchie, forzava a radicarsi in quella configurazione insoddisfacente. Ma ecco Gesù, che non si piega.

 

Chi ha il coraggio d’intraprendere un cammino di spiritualità biblica e di Esodo impara ad apprendere che ciascuno ha un modo differente di scendere in campo e stare nel mondo.

Allora, esiste un saggio equilibrio tra rispetto di sé, del contesto, e altrui?

Gesù viene presentato da Mt alle sue comunità come Colui che ha voluto continuare l’opera di edificazione del Regno, sia sotto il profilo della qualità vocazionale che per quanto concerne la ricostruzione della coesistenza.

Con una differenza fondamentale: rispetto al portato delle concezioni etnico-religiose, il Maestro non propone a tutti una sorta di ideologia di corpo, che finisce per spersonalizzare i Doni eccentrici dei deboli - quelli imprevedibili per una mentalità consolidata, ma che tracciano futuro.

In clima di clan rinsaldato, non di rado sono proprio i senza peso e coloro che conoscono solo abissi (e non vertici) a venire come spinti all’assenso di una conformazione rassicurante d’idee - invece che dinamica - e fucina di accoglienza più larga.

Quanti non conoscono vette ma solo povertà, proprio nei momenti di crisi sono i primi invitati dalle circostanze avverse ad oscurare il proprio sguardo sull’avvenire.

 

I miseri restano gl’impossibilitati a guardare in un’altra direzione e spostarsi, tracciando un diverso destino - proprio a causa di tare esterne a loro: culturali, di tradizione, di reddito, o “spirituali”.

Tutte caselle riconoscibili, forse talora non allarmanti, ma lontane dalla nostra natura.

E subito: con la condanna a portata di giudizio comune [per mancata omologazione].

Sentenza che vuole tarpare le ali, annientare l’atmosfera nascosta e segreta che appartiene davvero all'unicità personale, e condurci tutti - anche in modo esasperato.

 

Il Signore propone una vita assembleare di carattere, ma non ostinata né targata - non disattenta... come nella misura in cui viene costretta ad andare nella medesima rotta antica di sempre. O nella stessa direzione dei capitribù.

Cristo vuole una collaborazione più rigogliosa, che faccia utilizzare bene le risorse (interne e non) e le differenze.

Assetto per l’inedito: nel modo che ad es. le cadute o le inesorabili tensioni non vengano camuffate - anzi, diventino opportunità, sconosciute e impensabili ma assai feconde di vita.

 

Qui anche le crisi diventano importanti, anzi fondamentali per far evolvere la qualità dello stare accanto - nella ricchezza del «poliedro» che come scrive Papa Francesco «riflette la confluenza di tutte le parzialità che in esso mantengono la loro originalità» [Evangelii Gaudium n.236].

Senza rigenerarsi, solo ripetendo e ricalcando modalità collettive - da modello sfera (ibidem) - o altrui, ossia da nomenclatura, non personalmente rielaborate o valicate, non si cresce; non ci si dirige verso la propria irripetibile missione.

Non si colma il senso lacerante di vuoto.

Tentando di manipolare caratteri e personalità per guidarle al “come devono essere”, non si sta bene con se stessi e neppure fianco a fianco. Non si trasmette ai tanti diversi la percezione di stima e adeguatezza, né il senso di benevolenza - tantomeno gioia di vivere.

Le traiettorie curve o a tentativo ed errore si confanno alla Prospettiva del Padre, e alla nostra crescita irripetibile.

Differenza tra religiosità e Fede.

 

 

Per il suo Nome

(Regno di Dio, Regno messianico, Popolo divino convocato nella Chiesa)

 

1. Leggiamo nella Costituzione Lumen gentium del Concilio Vaticano II che “i credenti in Cristo (Dio) li ha voluti chiamare nella Santa Chiesa, la quale . . . preparata nella storia del popolo d’Israele e nell’antica Alleanza . . . è stata manifestata dalla effusione dello Spirito (Santo)” (Lumen Gentium, 2). A questa preparazione della Chiesa nell’antica Alleanza abbiamo dedicato la catechesi precedente, nella quale abbiamo visto che, nella progressiva coscienza che Israele prendeva del disegno di Dio attraverso le rivelazioni dei profeti e i fatti stessi della sua storia, si faceva sempre più chiaro il concetto di un futuro regno di Dio, ben più alto ed universale di ogni previsione circa le sorti della dinastia davidica. Oggi passiamo alla considerazione di un altro fatto storico, denso di significato teologico: Gesù Cristo dà inizio alla sua missione messianica con l’annuncio: “Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino” (Mc 1, 15). Quelle parole segnano l’ingresso “nella pienezza del tempo”, come dirà San Paolo (cf. Gal 4, 4), e preparano il passaggio alla Nuova Alleanza, fondata sul mistero dell’incarnazione redentrice del Figlio e destinata ad essere Alleanza eterna. Nella vita e nella missione di Gesù Cristo il regno di Dio non solo “è vicino” (Lc 10, 9), ma è già presente nel mondo, già agisce nella storia dell’uomo. Lo dice Gesù stesso: “Il regno di Dio è in mezzo a voi” (Lc 17, 21).

2. La differenza di livello e di qualità tra il tempo della preparazione e quello del compimento - tra l’antica e la nuova Alleanza - è fatta conoscere da Gesù stesso quando, parlando del suo precursore Giovanni Battista, così si esprime: “In verità vi dico: tra i nati di donna non è sorto uno più grande di Giovanni il Battista; tuttavia il più piccolo nel regno dei cieli è più grande di lui” (Mt 11, 11). Giovanni, dalle rive del Giordano (e dal suo carcere), certamente ha contribuito più di chiunque altro, anche più degli antichi profeti (cf. Lc 7, 26-27), alla immediata preparazione delle vie del Messia. Tuttavia egli rimane in un certo senso ancora sulla soglia del nuovo regno, entrato nel mondo con la venuta di Cristo e in via di manifestazione col suo ministero messianico. Soltanto per mezzo di Cristo gli uomini diventano i veri “figli del regno”: cioè del nuovo regno ben superiore a quello di cui i giudei contemporanei si ritenevano gli eredi naturali (cf. Mt 8, 12).

3. Il nuovo regno ha un carattere eminentemente spirituale (…)

4. Questa trascendenza del regno di Dio è data dal fatto che esso ha origine non da un’iniziativa soltanto umana, ma dal piano, dal disegno e dalla volontà di Dio stesso. Gesù Cristo, che lo rende presente e lo attua nel mondo, non è soltanto uno dei profeti mandati da Dio, ma il Figlio consostanziale al padre, che si è fatto uomo con l’Incarnazione. Il regno di Dio è dunque il regno del Padre e del suo Figlio. Il regno di Dio è il regno di Cristo; è il regno dei cieli che si sono aperti sulla terra per concedere agli uomini di entrare in questo nuovo mondo di spiritualità e di eternità (…)

Insieme con il Padre e con il Figlio, anche lo Spirito Santo opera per l’attuazione del Regno già in questo mondo. Gesù stesso lo rivela: il Figlio dell’uomo “scaccia i demoni per virtù dello Spirito di Dio”, e per questo “è certo giunto fra voi il regno di Dio” (Mt 12, 28) (…)

7. Il regno messianico, attuato da Cristo nel mondo, si rivela e precisa definitivamente il suo significato nel contesto della passione e morte in croce. Già all’entrata in Gerusalemme avviene un fatto, disposto da Cristo, che Matteo presenta come realizzazione di una predizione profetica, quella di Zaccaria sul “re che cavalca un asino, un puledro figlio di asina” (Zc 9, 9; Mt 21, 5). Nella mente del profeta, nell’intento di Gesù e nella interpretazione dell’evangelista, l’asinello significava mitezza e umiltà. Gesù era il re mite e umile che entrava nella città davidica, dove col suo sacrificio avrebbe realizzato le profezie sulla vera regalità messianica.

Questa regalità diventa ben chiara durante l’interrogatorio subìto da Gesù al tribunale di Pilato (…) quella davanti al governatore romano

8. È una dichiarazione che conclude tutta l’antica profezia che scorre lungo la storia d’Israele e diventa fatto e rivelazione in Cristo. Le parole di Gesù ci fanno afferrare i bagliori di luce che solcano l’oscurità del mistero condensato nel trinomio: Regno di Dio, Regno messianico, Popolo di Dio convocato nella Chiesa. Su questa scia di luce profetica e messianica, possiamo meglio capire e ripetere, con più chiara comprensione delle parole, la preghiera insegnataci da Gesù (Mt 6, 10): “Venga il tuo Regno”. È il regno del Padre, entrato nel mondo con Cristo; è il regno messianico che per opera dello Spirito Santo si sviluppa nell’uomo e nel mondo per risalire nel seno del Padre, nella gloria dei cieli.

[Papa Giovanni Paolo II, Udienza Generale 4 settembre 1991]

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don Giuseppe Nespeca

Giuseppe Nespeca è architetto e sacerdote. Cultore della Sacra scrittura è autore della raccolta "Due Fuochi due Vie - Religione e Fede, Vangeli e Tao"; coautore del libro "Dialogo e Solstizio".