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Ago 4, 2025 Scritto da 
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19a Domenica T.O. C (Lc 12,32-48)

19a Domenica T.O. anno C (Lc 12,32-48)

 

Luca 12:32 Non temere, piccolo gregge, perché al Padre vostro è piaciuto di darvi il suo regno.

 

Luca 12:33 Vendete ciò che avete e datelo in elemosina; fatevi borse che non invecchiano, un tesoro inesauribile nei cieli, dove i ladri non arrivano e la tignola non consuma.

Luca 12:34 Perché dove è il vostro tesoro, là sarà anche il vostro cuore.

 

Luca 12:35 Siate pronti, con la cintura ai fianchi e le lucerne accese;

Luca 12:36 siate simili a coloro che aspettano il padrone quando torna dalle nozze, per aprirgli subito, appena arriva e bussa.

Luca 12:37 Beati quei servi che il padrone al suo ritorno troverà ancora svegli; in verità vi dico, si cingerà le sue vesti, li farà mettere a tavola e passerà a servirli.

Luca 12:38 E se, giungendo nel mezzo della notte o prima dell'alba, li troverà così, beati loro!

 

Il v. 32 si apre con un sollecito a “Non temere”. Un'espressione questa che ogniqualvolta compare apre ad un annuncio, che prospetta un intervento di Dio sull'uomo e sulla sua storia, che lo rende partecipe della sua azione salvifica. Non fa eccezione neppure questa volta, in cui Dio apre il credente a una nuova prospettiva, di cui già in qualche modo fa parte fin d'ora: quella del suo Regno. Il credente, dunque, appartiene già alla dimensione di Dio, anche se non ancora in termini pieni e definitivi. Ma è questa la prospettiva in cui si muove e verso cui è incamminato e dalla quale è qualificato. Al Padre, infatti, “è piaciuto di darvi il suo regno”. In quel “piaciuto” è racchiuso il senso di un progetto eterno riservato a chi crede. Il verso si prospetta, dunque, come una rassicurazione che sollecita il credente a non temere, poiché egli fa parte ora di un progetto divino, che lo vede erede e partecipe della vita stessa di Dio, per cui tutta la sua vita acquista un nuovo significato.

Inquadrati all'interno delle rassicurazioni e delle prospettive spirituali del v. 32, i vv. 33-34 indicano la via maestra per rendersi degni eredi del Regno: vendere e dare in elemosina i propri beni materiali, creando in tal modo una tesaurizzazione spirituale. I beni venduti, pertanto, diventano strumento di arricchimento spirituale. Per capire questo è necessario considerare che l'elemosina veniva concepita ancor prima che un'alienazione di propri beni materiali, un sincero dono di se stessi all'altro. La qualità dell'elemosina, pertanto, trova il suo valore nel cuore di chi la compie: essa si radica nella sincerità di cuore e si fa dono per l'altro, arricchendolo spiritualmente, prima ancora che materialmente, perché in quella elemosina il credente dona, ancor prima che un bene materiale, se stesso; e proprio per questo diviene per lui fonte di tesaurizzazione spirituale.

Il v. 35 introduce un nuovo tema, e lo fa dipingendo la condizione di vita del servo, che arrotola la sua veste, che gli poteva arrivare alle ginocchia o fino alle caviglie, fissandone i lembi ai fianchi con una cinta, per essere maggiormente libero nel muoversi, evitando che gli si attorcigliasse intorno alle gambe, e d’inciampare. Esso viene presentato con la lucerna accesa: “Siate pronti, con la cintura ai fianchi e le lucerne accese”. I fianchi cinti stanno ad indicare lo stato di servizio e di prontezza in cui si trova il servo; mentre la lucerna indica come questo servizio si prolunghi anche lungo le ore notturne, mettendo in evidenzia lo stato di costante veglia di questo servo. Un servizio, quindi, che non conosce pause; una veglia finalizzata al servizio. Un sevizio che è illuminato dalla lucerna, che in qualche modo metaforizza la Parola di Dio, che dà sostanza al servizio del credente, illuminandolo e tenendolo desto. Fianchi cinti e lucerna accesa sono due immagini emblematiche che indicano lo stato di costante, ininterrotto e solerte servizio di questo servo.

Luca, letteralmente dice: “Stiano i vostri fianchi cinti”. Il verbo greco usato è estōsan, che dà il senso della fermezza e della solidità, del restare fermi sulla propria posizione. Un'immagine, dunque, che delinea l'atteggiamento del vero discepolo, che si qualifica per il suo essere al servizio di Dio, sempre e con determinazione.

Il v. 36, infatti, inizia con una congiunzione, “kai” (= e), che lo lega a quello precedente e ne trae le conseguenze: dalla descrizione dell'abbigliamento si passa all'esortazione dei discepoli a tenere un comportamento conseguente: quello dell'attesa, che implica un “ad tendere”, un tenersi in tensione verso qualcosa o qualcuno; un orientare la propria vita verso qualcuno o qualcosa in modo tale che questa tensione e questo orientamento esistenziale “verso...” caratterizzi la vita del discepolo. L'oggetto di tale attesa è il padrone che torna dalle nozze. Una precisazione questa che qui non ha significati metaforici o simbolici, ma si riferisce al tempo incerto delle nozze stesse. Parlando di nozze senza alcuna precisazione, Luca fa riferimento a quell'insieme di cerimonie e celebrazioni, accompagnate da lunghi festeggiamenti, che culminavano nel banchetto nuziale. Precisando che il padrone era andato alle nozze e che i servi erano in attesa del suo ritorno, Luca ha voluto dire che il tempo del ritorno di quel padrone non era conosciuto. Da qui la necessità di quei servi di vegliare in ogni istante per essere pronti ad accogliere il ritorno del loro padrone.

I vv. 37-38 definiscono lo stato di beatitudine dei servi vigilanti. I versetti presentano un graduale e crescente riconoscimento da parte del padrone nei confronti di quei servi che hanno saputo attendere vigilanti il suo ritorno e si sono mostrati pronti ad accoglierlo. Per due volte vengono definiti “beati”, cioè partecipi della beatitudine del loro padrone, entrando così in qualche modo a condividerne la stessa vita, che per definizione è di beatitudine. Una partecipazione ed una condivisione che vengono realizzate quando il padrone li fa sedere alla sua stessa mensa e, rovesciando i ruoli padrone-servi, si mette egli stesso a servirli, segno che quei servi sono entrati a far parte della vita del loro padrone e la condividono.

Vi è, infine, un crescendo sempre più premiante a seconda che il padrone rientri durante il giorno, facendoli sedere subito a mensa e mettendosi a servirli; o durante la notte, rinunciando al riposo. Questi servi hanno saputo mettere da parte le loro naturali e legittime esigenze per porsi a totale servizio del loro padrone, dimostrando come la loro fedeltà e la loro attenzione fossero sempre e comunque presenti anche nei momenti più impegnativi e difficili. Per questo Luca termina questa esaltazione dei servi con un'esclamazione, che accentua ancor più la loro beatitudine: “beati loro!”.

 

 

 Argentino Quintavalle, autore dei libri 

- Apocalisse commento esegetico 

- L'Apostolo Paolo e i giudaizzanti – Legge o Vangelo?

  • Gesù Cristo vero Dio e vero Uomo nel mistero trinitario
  • Il discorso profetico di Gesù (Matteo 24-25)
  • Tutte le generazioni mi chiameranno beata
  •  Cattolici e Protestanti a confronto – In difesa della fede
  •  La Chiesa e Israele secondo San Paolo – Romani 9-11

 

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Argentino Quintavalle

Argentino Quintavalle è studioso biblico ed esperto in Protestantesimo e Giudaismo. Autore del libro “Apocalisse - commento esegetico” (disponibile su Amazon) e specializzato in catechesi per protestanti che desiderano tornare nella Chiesa Cattolica.

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