Scetticismo, Fede, carattere
(Gv 1,47-51)
Le persone si convincono con l’incontro, il vedere e sperimentare, non imponendo. Però il progetto dell’Eterno ci spiazza.
Testimonianza e condivisione conducono a Cristo, ma non bastano - perché il suo disegno non è come la gente immagina o si propone, come attende e desidera che sia.
All’Annuncio entusiasta, Natanaele risponde con uno scetticismo preconcetto che ci rappresenta: cosa può uscire di buono dalle periferie più insignificanti (v.46)?
Come mai la soluzione alle nostre aspettative non viene da luoghi deputati [Giudea]?
L’incontro personale con Gesù e l’ascolto della sua Parola vincono ogni ostacolo, sino a una esplicita e convinta professione di Fede.
E come Natanaele, chi consacra la vita allo studio delle Scritture trova in esse Cristo stesso (vv.45.48-49).
In un primo tempo forse ci siamo accostati anche noi al Figlio di Dio immaginando che avesse gli attributi di Re d’un popolo eletto (v.49).
Poi la consuetudine con la Persona e l’esperienza vitale [«Vieni a vedere»: senso dell’espressione semitica base del v.46] ci ha mostrato una Relazione col Cielo assai più ampia (vv.50-51).
Nel percorrere la Via che il Messia inatteso propone, si coglie la convergenza del movimento di Dio verso gli uomini e il nostro anelito a Lui.
È la realizzazione (e il superamento) dell’antico sogno di Giacobbe.
Chi insegue preconcetti resta a prendere il fresco sotto l’albero di fichi (cf.v.48), ossia rimane legato all’antica religione [i rabbini insegnavano le Scritture antiche sedendo sotto gli alberi; il fico era simbolo d’Israele].
«Israelita senza inganno» (v.47): ciascuno lo è quando avendo vagliato, sa disfarsi delle opinioni e degli insegnamenti comuni; quando si accorge che non concordano con il progetto del Padre.
La storia della salvezza mira a «cose più grandi» (v.50) rispetto a quelle già volute; normali, previste, invocate, calcolate, sospirate.
Dalla religiosità passeremo alla Fede: il meglio del Sogno di Dio in noi deve venire. «Cose più grandi» dei luoghi comuni.
Gesù è l’autentico Sogno di Giacobbe, che preludeva a una vasta discendenza; ulteriormente dispiegata (Gen 28,10-22) e divenuto realtà.
Ma nessuno si sarebbe atteso che il Messia potesse identificarsi col «Figlio dell’uomo» (v.51), Colui che crea abbondanza dov’essa non c’è e prima non sembrava lecito potesse espandersi.
Il nuovo legame fra Dio e gli esseri umani è nel Fratello che si fa ‘parente prossimo’, che crea un’atmosfera di umanizzazione dai contorni ampi - affatto discriminanti.
‘Figlio riuscito’ è colui che avendo raggiunto il massimo della pienezza umana, giunge a riflettere la condizione divina e la irradia in modo diffuso - non selettivo come ci si aspettava.
È crescita e umanizzazione del popolo: lo sviluppo tranquillo, vero e pieno del progetto divino sull’umanità.
«Figlio dell’uomo» non è dunque un titolo riposto, cauto, controllato e riservato, ma un’occasione per tutti coloro che danno adesione alla proposta del Signore, e reinterpretano la vita in modo creativo personale.
Essi superano i fermi confini, facendo spazio al Dono; accogliendo dalla Grazia pienezza di essere, nei suoi nuovi irripetibili binari.
Su questa Via, ogni giorno percepiamo il medesimo impulso che ha portato Natanaele da Gesù: un istinto di Presenza impareggiabile [Michele: Chi come Dio?], una liberazione della coscienza rattrappita [Raffaele: Dio ha guarito - Soccorritore], uno svelamento da stupore [Gabriele: Forza di Dio].
Insomma, sulle nuove avventure da intraprendere, il mondo invisibile ha uno speciale rapporto con l'umanità e il creato.
Nell’anima e nelle cose, siamo come guidati sulla strada giusta (in modo incessante, crescente, inatteso) anche attraverso le nostre ansie, ribellioni, crisi e dubbi.
[Ss. Michele, Gabriele e Raffaele, Arcangeli. 29 settembre]