(Gv 16,5-11)
Anticamente non esistevano gli avvocati, e ci si doveva difendere da soli, trovando testimoni.
L’imputato poteva essere ad es. colpevole ma degno di perdono, o innocente eppure non in grado di mostrare prove.
In tali casi l’assoluzione veniva assicurata da una persona stimata del pubblico, che si alzava dall’assemblea e si poneva silenziosamente a fianco dell’accusato, garantendo per lui e così giustificandolo.
È l’azione dello Spirito, in Gv denominato Paraclito: «chiamato accanto».
Gesù è stato condannato dagli espertissimi maestri della religione ufficiale come squilibrato, eretico e imperdonabile peccatore.
Normale attendersi che nel medesimo modo venga giudicato anche chi rinuncia alla simulazione e accoglie Cristo come Signore della propria vita: sentirà sul vivo e nel profondo la propria identità di destino con Lui.
Ma in noi c’è una forza silenziosa di convinzione che armonizza persino le accuse, che ci libera dalle tensioni indotte dall’esterno.
Corrispondenza che riannoda i fili della trama vocazionale, che riporta l’anima al concerto interiore, per la missione; e fa ripartire anche dopo le fatiche di vessazioni idiote.
Tale potenza intima e amica non è legata all’ostinazione, ma all’ascolto di se stessi - fuori d’ogni parametro locale; culturale, sociale o religioso condizionante.
Tutto per il compito che ci spetta, e senza farci esaurire l’energia nitida, negli scontri diretti.
C’è un mondo interiore di Presenza che apre le porte.
Esso ha un potere segreto d’autorità (privo di sentenze o imposizioni) che sgancia l'anima dalla lotta incessante verso le avversità che si contrappongono.
E volentieri ci si affida a tale virtù silenziosa: della vita indipendente che affiora e viene.
«Peccato» (vv.8-9) è infatti l’incapacità di accogliere la Chiamata a seguire il proprio Seme, il proprio Nucleo, la propria “voglia” che detesta il dirigismo altrui, gli sforzi, il chiasso.
Nocciolo che intreccia le sue radici nel terreno, e infallibilmente guida a realizzazione - nonché a corrispondere.
Così testimoniando l’irripetibile Chiamata personale, Perla senza neppure cumulo di pene e ostinazioni.
Per Via il discepolo autentico capirà che il Signore ha condonato il suo «peccato», ossia ha cancellato l’umiliazione delle distanze incolmabili [fra condizione creaturale e perfezione].
Attributo quest’ultimo predicato dalla religiosità comune; tanto adultoide, accomodato, ipocrita e installato da impedire di farci diventare umani.
I peccatucci in senso moralistico [non teologico] sono altro.
«Giustizia»: quella divina non è retributiva, perché distinguerebbe il mio dal tuo. E di divisione in divisione farebbe cadere nelle peggiori ingiustizie.
Il Padre agisce creando: fa Giustizia dov’essa non c’è; colloca in posizioni conformi, pone rapporti debiti dove non esistono ancora.
Insomma, l’Amore permane squilibrato: sta sul versante irregolare del Dono gratuito, che non si tiene a bada.
Piuttosto, riscrive l’intera storia. Con molto di eccessivo.
Non è il mercimonio dei meriti: il tanto-quanto («mereor» è infatti radice di “meretricio”).
«Di là verrà a giudicare» - recita il Credo Apostolico: di là da dove? Il Giudizio divino non è quello banale e soppesato delle costumanze intimiste.
«Giudizio» in senso evangelico è l’invito attivo, personale e intimo di Gesù, che si dona completamente, sino all’ultima goccia di sangue; che comunica il suo Spirito vitale (Gv 19,30) e annienta le accuse decretate dal «mondo» della convenienza.
Da dove? Dalla Croce.
Stesso punto dal quale chi è illuminato dallo Spirito che vince interessi e morte, cura e libera dalle pastoie del «ne quid nimis» [nulla di troppo].
Il vero credente sa stare con se stesso in modo diverso. Rigenerando la vita di tanti fratelli.
Per interiorizzare e vivere il messaggio:
Conosci l’errore del «mondo»?
Ti difendi da solo coi tuoi criteri o ti lasci scagionare?
Pensionati nell’animo, tristezza pagana
«O sei giovane di cuore, di anima, o non sei pienamente cristiano». L’omelia della messa celebrata da Papa Francesco a Santa Marta la mattina di martedì 28 maggio, è stata un vero e proprio inno alla vita, alla vitalità, alla «giovinezza dello Spirito», da contrapporre alla deriva stanca di tante persone “pensionate” nell’animo, abbattute dalle difficoltà e dalla tristezza perché «il peccato invecchia». Una ventata di gioia fondata sul «grande dono che ci ha lasciato Gesù»: lo Spirito Santo.
Punto di partenza della riflessione del Pontefice è stato il brano evangelico del giorno (Giovanni, 16, 5-11) che riportava uno stralcio del discorso di congedo agli apostoli durante l’ultima cena. In quell’occasione Gesù «dice tante cose», ma «il cuore di questo discorso è lo Spirito Santo». Il Signore, infatti, offre ai suoi amici una vera e propria «catechesi sullo Spirito Santo»: comincia col notare il loro stato d’animo — «Perché ho detto questo che me ne vado, la tristezza ha riempito il vostro cuore» — e «li rimprovera soavemente» perché, ha notato il Papa, «la tristezza non è un atteggiamento cristiano».
Il turbamento interiore degli apostoli — che, davanti al dramma di Gesù e all’incertezza sul futuro, «cominciano a capire il dramma della passione» — è accostabile alla realtà di ogni cristiano. A tale riguardo Francesco ha ricordato come nell’orazione colletta del giorno «abbiamo domandato
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al Signore che mantenga in noi la rinnovata giovinezza dello spirito», elevando così un’invocazione «contro la tristezza nella preghiera». È proprio questo, ha aggiunto, il punto: «Lo Spirito Santo fa che in noi ci sia sempre questa giovinezza, che si rinnova ogni giorno con la sua presenza».
Approfondendo tale concetto, il Pontefice ha ricordato: «Una grande santa ha detto che un santo triste è un triste santo; un cristiano triste è un triste cristiano: non va». Cosa significa? che «la tristezza non entra nel cuore del cristiano», perché egli «è giovane». Una giovinezza che si rinnova e che «gli fa portare sulle spalle tante prove, tante difficoltà». Cosa che — ha spiegato facendo riferimento alla prima lettura tratta dagli Atti degli apostoli (16, 22-34) — è accaduta, ad esempio, a Paolo e Sila che vennero fatti bastonare e incarcerare dai magistrati a Filippi. In quel frangente, ha detto il Papa, «entra lo Spirito Santo e rinnova tutto, fa tutto nuovo; anche fa giovane il carceriere».
Lo Spirito Santo, quindi, è colui «che ci accompagna nella vita, che ci sostiene». Come espresso dal nome che Gesù gli dà: «Paraclito». Un termine insolito, il cui significato spesso sfugge a molti. Su questo il Pontefice ha anche scherzato raccontando un breve aneddoto relativo a una messa da lui celebrata quando era parroco: «C’erano più meno 250-300 bambini, era una domenica di Pentecoste e quindi ho domandato loro: “Chi sa chi è lo Spirito Santo?”. E tutti: “Io, io, io!” – “Tu”: “Il paralitico”, mi ha detto. Lui aveva sentito “Paraclito” e non capiva cosa fosse» e così disse: «paralitico». Una buffa storpiatura che però, ha detto Francesco, rivela una realtà: «Tante volte noi pensiamo che lo Spirito Santo è un paralitico, che non fa nulla... E invece è quello che ci sostiene».
Infatti, ha spiegato il Pontefice, «la parola paraclito vuol dire “quello che è accanto a me per sostenermi” perché io non cada, perché io vada avanti, perché io conservi questa giovinezza dello Spirito». Ecco perché «il cristiano sempre è giovane: sempre. E quando incomincia a invecchiare il cuore del cristiano, incomincia a diminuire la sua vocazione di cristiano. O sei giovane di cuore, di anima o non sei pienamente cristiano».
Qualcuno potrebbe spaventarsi delle difficoltà e dire: «“Ma come posso...?”: c’è lo Spirito. Lo Spirito ti aiuterà in questa rinnovata giovinezza». Ciò non significa che manchino i dolori. Paolo e Sila, ad esempio, soffrirono molto per le bastonate ricevute: «dice il testo che il carceriere quando ha visto quel miracolo ha voluto convertirsi e li ha portati a casa sua e ha curato le loro ferite con olio... ferite brutte, forti...». Ma nonostante il dolore, essi «erano pieni di gioia, cantavano... Questa è la giovinezza. Una giovinezza che ti fa guardare sempre la speranza».
E come si ottiene questa giovinezza? «Ci vuole — ha detto il Papa — un dialogo quotidiano con lo Spirito Santo, che è sempre accanto a noi». È lo Spirito «il grande dono che ci ha lasciato Gesù: questo supporto, che ti fa andare avanti». E così, a chi dice: “Eh sì, Padre, è vero, ma lei sa, io sono un peccatore, ho tante, tante cose brutte nella mia vita e non riesco...», si può rispondere:
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«Va bene: guarda i tuoi peccati; ma guarda lo Spirito che è accanto a te e parla con lo Spirito: lui ti sarà il sostegno e ti ridarà la giovinezza». Perché, ha aggiunto, «tutti sappiamo che il peccato invecchia: invecchia. Invecchia l’anima, invecchia tutto. Invece lo Spirito ci aiuta a pentirci, a lasciare da parte il peccato e ad andare avanti con quella giovinezza».
Perciò Francesco ha esortato a lasciare da parte quella che ha definito la «tristezza pagana», spiegando: «Non dico che la vita sia un carnevale: no, quello non è vero. Nella vita ci sono delle croci, ci sono dei momenti difficili. Ma in questi momenti difficili si sente che lo Spirito ci aiuta ad andare avanti, come a Paolo e a Sila, e a superare le difficoltà. Anche il martirio. Perché c’è questa rinnovata giovinezza».
La conclusione dell’omelia è stata quindi un invito alla preghiera: «Chiediamo al Signore di non perdere questa rinnovata giovinezza, di non essere cristiani in pensione che hanno perso la gioia e non si lasciano portare avanti... Il cristiano non va mai in pensione; il cristiano vive, vive perché è giovane — quando è vero cristiano».
(Papa Francesco, omelia s. Marta; https://www.vatican.va/content/francesco/it/cotidie/2019/documents/papa-francesco-cotidie_20190528_santamarta.pdf)