(Gv 18,1-19,42)
I nuclei dei Vangeli non si soffermano sull’orrore e sadismo dei tormenti, perché non sono stati redatti con lo scopo d’impressionare, bensì per introdurci nella comprensione dell’intensità sconfinata dell’Amore divino.
Il Padre non trascura e non retrocede, perché non c’è destinazione inclusiva nel farci soffrire; piuttosto, nell’accogliere e condividere. Né siamo al mondo per le cicatrici, bensì per realizzarci.
In Gv è assente ogni appiglio alla mistica del patire e dell’abbandono: l’evangelista vuole accompagnarci nel medesimo cammino del Figlio verso la Gloria del Padre.
E l’Eterno non tarda a incorporarlo a Sé: è il Crocifisso a consegnare lo Spirito (19,30).
Gesù padrone di se stesso non si lascia travolgere dagli eventi.
Si fa innanzi; è ancora in grado di tutelare i suoi e protagonista del colloquio con Pilato, figura del potere di questo mondo [che sembra l’imputato].
Neppure è finito dai soldati.
Egli è Vivo, malgrado i gendarmi posti a tutela del mondo antico che rimane ostile al Signore, allo scopo di perpetuarsi. Zone d’ombra - ancora e dove non t’aspetti.
Il discepolo amato [ciascuno di noi, genuino in Cristo] è presente alla sua medesima sorte di Dono completo: rispecchia un’unica vita indistruttibile, sebbene umiliata.
Essa trascorre come linfa essenziale e vitale nella Chiesa autentica raffigurata in Maria adorante in ogni vicenda; ritta (19,25) e ben presente a se stessa.
In grado di dispiegare il significato della proposta di Gesù attraverso nuovissimi raggi di luce - in spirito di accondiscendenza e tenerezza, ma sovversivi.
Arresto (vv.1-19). Nella Passione secondo Gv l’offerta volontaria della vita da parte del Signore Gesù sta a indicare la condizione divina e l’autentica prospettiva - di libertà e riuscita - per noi: la vocazione, chiamata del Padre.
Manca il bacio di Giuda, perché il Maestro si presenta direttamente, identificandosi nella rivelazione «Io Sono».
Facendosi avanti, chiede che i discepoli siano lasciati in libertà. Vuol dire: Egli non perde nessuno di noi; non ci lascia in ostaggio.
Ma al suo arresto partecipano i capi della religiosità ufficiale - e vien subito sequestrato a casa del dirigente occulto, Anano [Hannas], sebbene già deposto, ma ancora burattinaio politico della situazione.
Rinnegatore, insieme a Pietro.
Il ricordo della profezia del sommo sacerdote che gli fa da paravento (v.14) ci proietta nel dramma della Passione d’amore dell’Abbandonato.
Rigettato dal popolo religiosissimo. Tradito, sconfessato, ucciso da tutti.
Il triplice «io non sono» di Pietro contrasta con la dignità del Cristo, che chiama il ‘capo’ della chiesa a un altro genere di testimonianza rispetto a quella che aveva in mente, desiderava, sognava.
Mentre nei Sinottici Egli viene mostrato come Agnello condotto a macello senza aprire bocca, il quarto Vangelo ne sottolinea la Regalità.
Davanti a Pilato appare chiaro che la solennità di Gesù non ha caratteri politici, perciò i suoi discepoli non potevano essere considerati cittadini sleali.
Di fronte a Roma, Gv mette in evidenza l’innocenza dì Gesù e dei cristiani accusati presso i tribunali dell’Impero.
Interessante la figura del governatore romano, stretto fra istanze di coscienza e pressioni esterne - mentre cerca ripetutamente posizioni intermedie.
Il quarto Vangelo libera i “diplomatici” da responsabilità dirette, ma li ammonisce circa il rispetto della Verità.
Chi non l’accetta così com’è e non si dichiara in suo favore esponendosi in prima persona, rimane imbrigliato nella sua stessa trappola.
Il “Giudice” sembra Gesù.
E i suoi paradossi interrogano: chi è il re dei giudei? Cesare o Cristo?
I giudei rinnegano se stessi affermando di non avere altro re all’infuori dell’imperatore; i funzionari lo acclamano re.
Terza sezione (19,17-42). I giustiziati dovevano essere visti dal maggior numero di persone, quindi venivano esibiti in un luogo vicino alla città.
Ma qui e nell'episodio della scritta [nelle tre lingue ecumeniche di allora come quella sul primo muretto interno del Tempio, che proibiva sotto pena di morte l’ingresso ulteriore ai pagani] s’inserisce di nuovo il tema teologico della Regalità: il risultato era un richiamo per i giudei, che si ritrovavano un re sconfitto.
Gv distingue la spartizione dei vestiti e il sorteggio della tunica, perché intende quest’ultima come la veste sacra del vero sommo sacerdote, il cui manto non poteva essere stracciato (Lv 21,10).
Senza poi indugiare sui due condannati a fianco del Crocifisso, l’evangelista annota che a Gesù non sono state fratturate le gambe.
Ciò allude all’Agnello pasquale, cui non doveva essere spezzato alcun osso.
Il breve passo di Gv 19,25-27 è forse il vertice artistico del racconto della Passione.
Nel quarto Vangelo la Madre appare due volte, alle nozze di Cana e ai piedi della Croce - entrambi episodi presenti solo in Gv.
Sia a Cana che sotto la Croce, la Madre è figura del «Resto d’Israele», ossia del popolo autenticamente sensibile e fedele.
La ‘nazione-sposa’ del Primo Testamento è come in attesa della Rivelazione genuina: percepisce tutto il limite dell’idea antica di Dio, che ha ridotto la gioia della festa nuziale fra il Padre e i suoi figli.
L’Israele vibrante di verità ha originato il Passaggio dalla religiosità alla Fede sponsale, dalla legge antica al Nuovo Testamento.
A cospetto della Croce viene generato un Regno alternativo.
Si formano padri e madri di un’umanità diversa, non belluina; che proclamano la Lieta Notizia di Dio stavolta in favore esclusivo di ogni uomo - in qualsiasi condizione si trovi.
Nell'intento teologico di Gv, le Parole di Gesù «Donna, ecco tuo figlio» ed «Ecco, la tua madre» volevano aiutare a dirimere e armonizzare le forti tensioni che a fine primo secolo già contrapponevano le diverse correnti di pensiero sul Cristo [giudaizzanti; sostenitori del primato della fede sulle opere; lassisti che consideravano ormai Gesù anatema - intendendo soppiantarlo con una generica libertà di spirito senza storia].
Ad es all’inizio secondo secolo (ad es.) Marcione rifiutò tutto il Primo Testamento e sembra apprezzasse solo una parte del Nuovo.
A coloro che volevano prescindere dall’insegnamento dei “padri”, Gesù propone di far camminare insieme passato e novità.
Il discepolo amato è icona dell’autentico figlio di Dio, Parola-evento diffusa, e Nuova Alleanza.
Il figlio stesso deve ricevere la Madre - la presenza e la cultura del popolo del Patto - a casa sua, ossia nella Comunità nascente.
Anche se è nell’assemblea cristiana che si scopre il senso pieno di tutta la Scrittura, la Persona, la vicenda e il Verbo stesso non si colgono né porteranno frutto coi soli sogni in avanti, senza la radice antica che lo ha generato.
Così fioriscono nuovi rapporti famigliari: allora nasce la Chiesa.
«Ho sete»: cita il salmo 69 - «Mi hanno messo veleno nel cibo e quando avevo sete mi hanno dato aceto».
È la delusione e il senso di vuoto vertiginoso per un’umanità che ha ancora tanto bisogno di essere strappata dalla condizione selvatica...
E l’intenso desiderio di fare, di quell’abisso pre-umano, persone che tendano a recuperare in sé l’Oro divino.
Ma discepoli, folla, soldati, continuano a non comprendere.
Si chiarisce col ricorso all’altro salmo [63: «O Dio, tu sei il mio Dio, dall’aurora io ti cerco, ha sete di te l’anima mia»] che in ebraico esordisce con l’invocazione «Elohim, Elì [...]».
Quindi Gesù effonde il suo Spirito senza ritardo alcuno (v.30).
E come dal fianco dell’uomo Dio ha tratto la donna, così dal lato del Figlio trafitto esce la ‘comunità-sposa’, messa in relazione con i due segni dei primi Sacramenti.
Appunto, nostra Linfa essenziale e vitale: perché immersi e assimilati in tali gesti famigliari, superiamo il disagio di sentirci come oggetti, cose.
Diventiamo Figli.
Figli, non cose
Dio ha messo sulla Croce di Gesù tutto il peso dei nostri peccati, tutte le ingiustizie perpetrate da ogni Caino contro suo fratello, tutta l’amarezza del tradimento di Giuda e di Pietro, tutta la vanità dei prepotenti, tutta l’arroganza dei falsi amici. Era una Croce pesante, come la notte delle persone abbandonate, pesante come la morte delle persone care, pesante perché riassume tutta la bruttura del male. Tuttavia, è anche una Croce gloriosa come l’alba di una notte lunga, perché raffigura in tutto l’amore di Dio che è più grande delle nostre iniquità e dei nostri tradimenti. Nella Croce vediamo la mostruosità dell’uomo, quando si lascia guidare dal male; ma vediamo anche l’immensità della misericordia di Dio che non ci tratta secondo i nostri peccati, ma secondo la sua misericordia.
Di fronte alla Croce di Gesù, vediamo quasi fino a toccare con le mani quanto siamo amati eternamente; di fronte alla Croce ci sentiamo “figli” e non “cose” o “oggetti”, come affermava San Gregorio Nazianzeno rivolgendosi a Cristo con questa preghiera: «Se non fossi Tu, o mio Cristo, mi sentirei creatura finita. Sono nato e mi sento dissolvere. Mangio, dormo, riposo e cammino, mi ammalo e guarisco. Mi assalgono senza numero brame e tormenti, godo del sole e di quanto la terra fruttifica. Poi, io muoio e la carne diventa polvere come quella degli animali, che non hanno peccati. Ma io, cosa ho di più di loro? Nulla, se non Dio. Se non fossi Tu, o Cristo mio, mi sentirei creatura finita. O nostro Gesù, guidaci dalla Croce alla resurrezione e insegnaci che il male non avrà l’ultima parola, ma l’amore, la misericordia e il perdono. O Cristo, aiutaci a esclamare nuovamente: “Ieri ero crocifisso con Cristo; oggi sono glorificato con Lui. Ieri ero morto con Lui, oggi sono vivo con Lui. Ieri ero sepolto con Lui, oggi sono risuscitato con Lui”».
Infine, tutti insieme, ricordiamo i malati, ricordiamo tutte le persone abbandonate sotto il peso della Croce, affinché trovino nella prova della Croce la forza della speranza, della speranza della resurrezione e dell’amore di Dio.
[Papa Francesco, via Crucis al Colosseo 18 aprile 2014]