Il passo di Luca - fariseo e pubblicano - è molto popolare. Si tratta dell’insegnamento diretto verso chi si sente intimamente giusto e guarda i fratelli dall’alto in basso.
Francesco si sentì sempre un nulla davanti a Dio, sprofondando nella sua umiltà come il seme nella terra.
Temeva la superbia al pari della peste e la detestava profondamente.
Apparire, mostrare, insuperbire, erano verbi con cui non volle mai allacciare alcun legame: li aborriva.
Leggiamo nella Vita prima del Celàno:
"Un giorno, pieno di ammirazione per la misericordia del Signore in tutti i benefici a lui elargiti, desiderava conoscere […] che cosa sarebbe stato della sua vita e di quella dei suoi frati.
A questo scopo si ritirò, come spesso faceva, in un luogo adatto per la preghiera.
Vi rimase a lungo invocando con timore e tremore il Dominatore di tutta la terra, ripensando con amarezza gli anni passati malamente e ripetendo:
«O Dio, sii propizio a me peccatore!»” (Fonti 363).
Temeva ogni forma di vanto e sfoggio di opere; ripugnava il sentirsi a posto e ogni genere di superbia.
Nella Regola bollata (1223) ai suoi frati diceva:
«Ammonisco, poi, ed esorto nel Signore Gesù Cristo, che si guardino i frati da ogni superbia, vanagloria, invidia, avarizia, cure e preoccupazioni di questo mondo, dalla detrazione e dalla mormorazione» (Fonti 103).
Nella Regola di Chiara, al comma 2809 delle Fonti, ritroviamo la stessa enunciazione come ad evidenziare la medesima preoccupazione: mantenere le distanze da ogni forma di vanagloria.
Francesco e Chiara si percepivano peccatori, alla stregua del pubblicano del Vangelo, che non osava alzare neppure lo sguardo verso il cielo.
L’umiltà e la consapevolezza della propria penuria li conducevano ad assumere un profilo molto basso, senza gloriarsi di nulla, né davanti a Dio né davanti agli uomini.
Infatti, nelle Ammonizioni (di Francesco):
«Beato quel servo il quale non si inorgoglisce per il bene che il Signore dice e opera per mezzo di lui, più per il bene che dice e opera per mezzo di un altro.
Pecca l’uomo che vuol ricevere dal suo prossimo più di quanto non vuole dare di sé al Signore Dio» (Fonti 166).
Ancora: «A questo segno si può riconoscere il servo di Dio, se ha lo Spirito del Signore: se, quando il Signore compie per mezzo di lui qualcosa di buono, la sua «carne» non se ne inorgoglisce - poiché la «carne» è sempre contraria ad ogni bene -, ma piuttosto si ritiene ancora vile ai propri occhi e si stima più piccolo di tutti gli altri uomini» (Fonti 161).
Nella Leggenda maggiore:
"L’umiltà, custode e ornamento di tutte le virtù, aveva ricolmato l’uomo di Dio di beni sovrabbondanti.A suo giudizio, egli non era altro che un peccatore, mentre nella realtà era specchio e splendore della santità, in tutte le sue forme.
Da architetto avveduto, egli volle edificare se stesso sul fondamento dell’umiltà, come aveva imparato da Cristo […]
Per questo si studiava, in quanto discepolo di Cristo, di sminuirsi agli occhi propri e altrui, ricordando quanto il sommo Maestro ha detto:
Ciò che è in onore fra gli uomini è abominazione davanti a Dio.
Ma usava anche ripetere questa massima: «Un uomo è quanto è agli occhi di Dio, e non più ».
Di conseguenza, giudicando una stoltezza esaltarsi per la stima della gente del mondo, godeva nelle umiliazioni e si rattristava per le lodi" (Fonti 1103).
«Dio, sii benigno con me peccatore […] perché chiunque s’innalza sarà abbassato, ma chi si abbassa sarà innalzato» (Lc 18,13-14)
Domenica 30.a T.O. anno C (Lc 18,9-14)