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Ott 18, 2025 Scritto da 
Angolo dell'avanguardista

Fariseo e pubblicano. Presunzione e disprezzo; umiltà e giustificazione

Il passo di Luca - fariseo e pubblicano - è molto popolare. Si tratta dell’insegnamento diretto verso chi si sente intimamente giusto e guarda  i fratelli dall’alto in basso.

Francesco si sentì sempre un nulla davanti a Dio, sprofondando nella sua umiltà come il seme nella terra.

Temeva la superbia al pari della peste e la detestava profondamente.

Apparire, mostrare, insuperbire, erano verbi con cui non volle mai allacciare alcun legame: li aborriva.

Leggiamo nella Vita prima del Celàno:

"Un giorno, pieno di ammirazione per la misericordia del Signore in tutti i benefici a lui elargiti, desiderava conoscere […] che cosa sarebbe stato della sua vita e di quella dei suoi frati.

A questo scopo si ritirò, come spesso faceva, in un luogo adatto per la preghiera.

Vi rimase a lungo invocando con timore e tremore il Dominatore di tutta la terra, ripensando con amarezza gli anni passati malamente e ripetendo:

«O Dio, sii propizio a me peccatore!»” (Fonti 363).

Temeva ogni forma di vanto e sfoggio di opere; ripugnava il sentirsi a posto e ogni genere di superbia.

Nella Regola bollata (1223) ai suoi frati diceva:

«Ammonisco, poi, ed esorto nel Signore Gesù Cristo, che si guardino i frati da ogni superbia, vanagloria, invidia, avarizia, cure e preoccupazioni di questo mondo, dalla detrazione e dalla mormorazione» (Fonti 103).

Nella Regola di Chiara, al comma 2809 delle Fonti, ritroviamo la stessa enunciazione come ad evidenziare la medesima preoccupazione: mantenere le distanze da ogni forma di vanagloria.

Francesco e Chiara si percepivano peccatori, alla stregua del pubblicano del Vangelo, che non osava alzare neppure lo sguardo verso il cielo.

L’umiltà e la consapevolezza della propria penuria li conducevano ad assumere un profilo molto basso, senza gloriarsi di nulla, né davanti a Dio né davanti agli uomini.

Infatti, nelle Ammonizioni (di Francesco):

«Beato quel servo il quale non si inorgoglisce per il bene che il Signore dice e opera per mezzo di lui, più per il bene che dice e opera per mezzo di un altro. 

Pecca l’uomo che vuol ricevere dal suo prossimo più di quanto non vuole dare di sé al Signore Dio» (Fonti 166).

Ancora: «A questo segno si può riconoscere il servo di Dio, se ha lo Spirito del Signore: se, quando il Signore compie per mezzo di lui qualcosa di buono, la sua «carne» non se ne inorgoglisce - poiché la «carne» è sempre contraria ad ogni bene -, ma piuttosto si ritiene ancora vile ai propri occhi e si stima più piccolo di tutti gli altri uomini» (Fonti 161).

Nella Leggenda maggiore:

"L’umiltà, custode e ornamento di tutte le virtù, aveva ricolmato l’uomo di Dio di beni sovrabbondanti.A suo giudizio, egli non era altro che un peccatore, mentre nella realtà era specchio e splendore della santità, in tutte le sue forme.

Da architetto avveduto, egli volle edificare se stesso sul fondamento dell’umiltà, come aveva imparato da Cristo […]

Per questo si studiava, in quanto discepolo di Cristo, di sminuirsi agli occhi propri e altrui, ricordando quanto il sommo Maestro ha detto:

Ciò che è in onore fra gli uomini è abominazione davanti a Dio. 

Ma usava anche ripetere questa massima: «Un uomo è quanto è agli occhi di Dio, e non più ».

Di conseguenza, giudicando una stoltezza esaltarsi per la stima della gente del mondo, godeva nelle umiliazioni e si rattristava per le lodi" (Fonti 1103).

«Dio, sii benigno con me peccatore […] perché chiunque s’innalza sarà abbassato, ma chi si abbassa sarà innalzato» (Lc 18,13-14)

 

Domenica 30.a T.O. anno C  (Lc 18,9-14)

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Teresa Girolami

Teresa Girolami è laureata in Materie letterarie e Teologia. Ha pubblicato vari testi, fra cui: "Pellegrinaggio del cuore" (Ed. Piemme); "I Fiammiferi di Maria - La Madre di Dio in prosa e poesia"; "Tenerezza Scalza - Natura di donna"; co-autrice di "Dialogo e Solstizio".

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