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Dic 17, 2025 Scritto da 
Croce e Vuoto

Natale veglia e aurora: il posto per Gesù, e quello per noi

(Lc 2,1-20)

 

Il salto di qualità (umanizzante) dell’Incarnazione

(Lc 2,1-14)

 

Nella letteratura antica erano valutate significative solo le vicende della vita pubblica, non certo quelle dell’infanzia - anche dei grandi della storia.

Paolo e Mc, gli autori più antichi del Nuovo Testamento, non stimarono opportuno riferirsi alla vicenda della nascita umana, dell’adolescenza e della vita nascosta del Signore.

Nei primi tempi, riferimento unico e sostanziale era la presenza di Dio attraverso la nuova e autentica Pasqua, ora in Cristo del tutto priva di epopee clamorose.

Anche per l’ultimo dei Vangeli, la dimora di Dio fra gli uomini e il suo innalzamento (sul patibolo del rifiuto) nulla ha di glorificante e luminoso in senso banale e marginale. Piuttosto di profondità permanente.

Ma i primi cristiani si trovarono di fronte a obiezioni importanti: così vennero costretti a dare una risposta teologica, e presentare in modo diverso il centro del Messaggio delle chiese [la salvezza in Cristo].

 

Prima eccezione, sollevata da parte dei seguaci del Battista; in breve: “Voi dite che Gesù è il Messia vero, ma non ricordate che è stato allievo del nostro maestro?”.

La seconda, da parte dei pagani: “Voi affermate che Gesù è Figlio di Dio, ma come mai è nato come tutti gli altri uomini, in modo normale, da una donna?”.

Sorse allora la necessità di un’apologetica sulla parte della vicenda famigliare e non pubblica di Cristo, antecedente appunto alla sua Manifestazione.

I Vangeli dell’infanzia non intendono fornire notizie e dettagli storici - come pure faranno fantasiosamente alcuni vangeli apocrifi. Essi sono testimonianza della Fede popolare consolidata nelle liturgie comunitarie.

 

La nuova Parola è proclamazione di una Notizia a nostro favore che comprende l’intera vita del Maestro.

Nella sua vicenda tutta umana Egli ha rivelato la condizione divina - sin dal Battesimo, con la testimonianza dei cieli squarciati; e fin dalla nascita stessa.

Ma tutto lo sfondo narrativo e letterario viene utilizzato dagli evangelisti per delineare una sorta di racconto sintetico di “circostanze” atte a veicolare il significato della figura del «Figlio dell’uomo».

In tal guisa, infatti, amava autodefinirsi Gesù - divenuto Signore: così come veniva annunciato nella predicazione apostolica, e vissuto nelle comunità.

 

In tale logica, Lc ci conduce a Betlemme, villaggio delle promesse d’Israele - per sottolineare una contrapposizione col Messia davidico atteso.

Cristo è [paradossalmente] suo discendente - eppure solo, abbandonato nel luogo impuro di una mangiatoia.

Anche il Messaggio per i lontani dai cerimoniali rompe gli schemi di grandezza: «è stato partorito per voi oggi un Salvatore» (v.11).

Richiamo per tutti i piccoli della terra, e Appello-Lieta Novella anche per i non anonimi.

 

In diversi passi, onde sottolineare il Signore come culmine e superamento del Primo Testamento, Lc e Gv mettono in parallelo Cristo e il Battista.

Anche qui lo scopo è quello di proclamare la superiorità del Figlio di Dio sull’ultimo dei profeti, ancorato all’idea “religiosa” dell’Altissimo come Legislatore e Giudice.

Il Padre non annota né fa inchieste: solo trasmette vita e continua a generarla, sempre nuova.

Dio Creatore e Redentore della nostra intelligenza e libertà è rivelato in tutta la sua vicenda, senso, e Parola, già a partire dal Natale e non solo dall’inizio della vita pubblica.

Con Lui non siamo più tenuti a un rapporto subordinato, di obbedienza cieca, ma di simpatia, collaborazione, rassomiglianza.

Nel Bimbo a braccia aperte è il Padre stesso che ci strizza l’occhiolino e si riconosce nelle nostre indifese precarietà, povero fra poveri; persino complice.

Non potente arcigno, munito di tutto, guardingo e pretenzioso.

Una Rivelazione impensabile per le filosofie e le religioni antiche, compreso il pensiero pur dignitoso di Giovanni [il Battezzatore era celebre e ritenuto convincente più di Gesù stesso - perfino da decollato].

 

Sul piano della Fede che doveva superare le ideologie devote o rigide, il nuovo Rabbi proponeva una immedesimazione incredibile per qualsiasi istituzione o credo.

Egli proclamava l’identità fra condizione divina e pienezza di umanizzazione.

L’istinto belluino dei violenti e trionfatori non aveva nulla a che fare con Dio. Piuttosto, Egli si riconosceva nel ceto degl’indifesi e senza voce.

Pertanto, il Padre non poteva essere un protettore che pretendesse riconoscimenti, bensì un Genitore che sempre vuol far crescere. 

Riconoscendosi e unendosi a noi, l’Eterno dilata la vita; non la umilia, né la rattrappisce.

 

È ciò che chiamiamo Incarnazione, in senso proprio.

Ogni dono del Cielo non cade per simpatia degli dei, fortuna cieca, o loro predilezione a caso; né per merito e adempimenti, bensì per bisogno.

Ora le necessità della donna e dell’uomo spingono all’Esodo e passano attraverso una dimensione di completamento, di pienezza di essere che supera il pre-umano, rivelando un Dio fra noi e con noi.

L’Eterno che scende, viene, e bussa, chiede di essere accolto, non ubbidito.

 

Il volto di un Bimbo sguarnito, simpatico, accogliente - talora in lacrime - è il tratto della persona autentica, che sostituisce l’uomo antico, tutto d’un pezzo, assomigliante al dio della guerra.

L’Altissimo non chiede sottomissione, né impone che lo incontriamo a mezza strada, allestendo inutili impalcature per salire noi verso il Cielo - come per la religione tipo torre di Babele, inesorabilmente destinata al crollo.

 

Con lo Svelamento del nuovo Volto dell’autentico Dio e del vero uomo iniziano tempi nuovi.

Non siamo più chiamati a vivere in funzione dell’Onnipotente: viviamo del Padre e in Lui, col Figlio, per noi e i fratelli.

Ecco la Luce dal basso e dall’alto insieme, che squarcia le tenebre di questa notte.

 

Quel Bimbo rompe le vene artificiose, rimette in contatto con le energie dei primordi.

Spegne i pensieri e i tormenti che forse [per “demerito”] dovevamo subire.

Rompe l’isolamento; apre la parte sognante dell’uomo vecchio, cronico e chiuso, che non vorrebbe il balzo.

 

In tale Sguardo aperto, Gesù fratello viene a trovare la nostra coscienza.

La condizione divina irrompe onde posizionarsi nell’immaginazione.

Essa chiede spazio... per farci perdere la testa - così spinge via dalle continuità e dai controlli rigidi, offrendo una piena, nuova esistenza.

 

 

Natale aurora

 

Il posto per noi

(Lc 2,15-20)

 

Nelle gabbie della nostra devozione, forse non c’è ancora posto per Gesù che si offre. Egli continua a nascere bambino come gli altri, lontano e povero, rifiutato.

Solo i marginali della società sembrano capaci di attesa, apertura al mistero, e ricerca: vegliare di notte (v.8), passare e vedere (v.15), venire affrettandosi (v.16), lodare (v.20).

La Madre sta facendo già il suo cammino per passare dalla religiosità dei padri alla Fede nel Padre: Contemplativa che ascolta, incontra i suoi stati profondi e cerca di non perdere nulla.

Chi non è nessuno ma sente ansia di ricerca e cuore orante può cantare un canto nuovo.

In tal guisa, sarà in grado di decifrare i segni della Presenza divina iscritti nelle vicende, e accogliere Cristo nella propria dimora interna (v.7) [cf. commento al Prologo di Gv].

Nella semplicità del Figlio - nella Libertà dei figli - il Dio Eterno indica alle moltitudini misere e abbandonate una Via nuova, in grado di valorizzare i limiti e perfino le eccentricità di ciascuno.

 

Lungo tutto il primo secolo, sia in Palestina che in Asia Minore [chiese giovannee e lucane] le diverse scuole teologiche e di servitori di Dio - del giudaismo tradizionale, di Gesù, del Battista - si confrontavano in modo alternativo.

Dove c’erano comunità di giudei, non mancavano polemiche tra cristiani e vari osservanti (più o meno radicali) della religione dei padri - nonché persone che erano state battezzate da Giovanni, o almeno a contatto con i suoi allievi. Anche il Maestro e i primi apostoli lo erano stati.

Più che confusione, tra il gruppo dei discepoli di Cristo e quelli del Battezzatore, si notavano vere e proprie competizioni.

Ciò, sebbene entrambe proclamassero la venuta del Regno di Dio, e proponessero giustizia sociale, nonché il perdono dei peccati nella vita pratica - invece che mediante riti e gesti sacrificali al Tempio di Gerusalemme.

Eppure, grazie al Figlio di Dio, gli apostoli coglievano la profondità del cuore del Padre, che mai somiglia a un giustizialista, bensì opera esclusivamente per il bene e la promozione della vita.

Quindi nella Fede essi stessi ottenevano recuperi inspiegabili - proprio integrando gratuitamente i lati deboli delle persone - senza opere di mortificazione della donna e dell’uomo insicuri, né pretendere perfezioni preventive impossibili.

 

Ancora oggi, proprio a partire dai versanti oscuri della nostra personalità, il Padre crea nello Spirito delle Beatitudini la sua Novità, che ribalta le carte in tavola.

Mutamento del tutto inatteso, impossibile da immaginare e proporsi; almeno sulla base di pregiudizi o idee già consolidate - tutte concorrenziali con la stima di sé e la gioia di vivere.

Il Dio dall’amore senza condizioni e che scaccia i sensi di colpa era appunto appannaggio esclusivo delle nuove persone di Fede in Cristo, le quali avevano superato le cappe accusatorie, moralistiche e pignole della tradizione.

Anche allora le diversità mettevano in gioco la questione delle purificazioni richieste dai credo e dai riti identitari.

Gesù sembrava del tutto estraneo alla mentalità delle abluzioni cultuali. 

Era la consuetudine di vita con Lui che rigenerava anime a tutto tondo, anche a partire dalle eccentricità di ciascuno.

Unicità preziose, interpretate come segno di eccezionalità vocazionali.

 

Insegnava ai miseri e ai condannati dalla religione a rimettersi in piedi facendo leva sulla possibilità d’incontrare i diversi volti annidati nell’anima di ciascuno: assumerli e investirli invece che rinnegarli. 

Personalità tutte... non sterilizzate in via preventiva; anche dalle espressioni stravaganti, o dai lati inconsapevoli, malfermi, inespressi - nei quali Gesù insegnava a scoprire i tratti della Chiamata missionaria personale.

E proprio da qui - sembra incredibile - anche noi inviati all’Annuncio.

Tutto ciò resta fondamentale ogni giorno.

Infatti, le pie proposte possono presentarsi in forme dignitosissime - ma esse restano solo battistrada del nuovo salto di qualità.

Quest’ultimo, capace di stupore e tutto umanizzante: senza la tara di sentirsi segnati a vita dalle opinioni esterne.

Ovviamente, queste forme di scioltezza e immediatezza famigliare nei confronti del Dio Eterno suscitavano l’invidia dei veterani ancora ingabbiati nei vecchi timori della retribuzione e nel mucchio delle opere di legge.

In nessun adempimento, bensì solo in Cristo, i suoi amici e fratelli riconoscevano la Voce del Dio amabile.

Egli non distingue fra puri e impuri, capaci e incapaci, amici e nemici; reduci, eletti, predestinati, e non.

 

Insomma, nella nostra vita reale non attendiamo un fenomeno che turbi e opprima di continuo, riempiendoci di paure e deviazioni da correggere [che fiaccano tutte le energie].

Badiamo solo a un Amico che consenta di esprimersi in modo inedito e avere una speranza lunga - anche immeritata.

Facciamo come i pastori: nessuno ha mai capito cosa li abbia convinti, se non lo stupore della gratuità imprevedibile (vv.15-18.20).

Paradossalmente pronti a fondare un nuovo popolo - senza troppi regolamenti - a partire da come e dove ciascuno si trovasse.

Ormai anche a noi non serve più l’imprimatur dei settarismi.

Le nostre più infantili stranezze [cf. commento al Prologo di Gv] possono avvicinare la condizione umana a quella divina.

Quindi hanno l’approvazione del Signore di tutti i cosmi.

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don Giuseppe Nespeca

Giuseppe Nespeca è architetto e sacerdote. Cultore della Sacra scrittura è autore della raccolta "Due Fuochi due Vie - Religione e Fede, Vangeli e Tao"; coautore del libro "Dialogo e Solstizio".