Il Vangelo proposto dalla Liturgia odierna ci pone dinanzi tre dimensioni esistenziali importanti, che Francesco teneva in grande conto.
La parabola del povero Lazzaro e del ricco smodato evoca l’uso diligente delle ricchezze, la premura verso i bisognosi, ed è un richiamo alla conversione, poiché dopo la morte il giudizio individuale sarà irreversibile.
Francesco, il Povero d’Assisi, ebbe sempre dinanzi allo sguardo questo quadro evangelico, che lo indusse a meglio dirigere il suo cuore verso Dio e i poveri.
Le Fonti attestano, fin dagli inizi del suo cammino:
"(Francesco) aveva sempre beneficato i bisognosi, ma da quel momento si propose fermamente di non rifiutare mai l’elemosina al povero che la chiedesse per amore di Dio, e anzi di fare largizioni spontanee e generose.
A ogni misero che gli domandasse la carità, quando Francesco era fuori casa, provvedeva con denaro; se ne era sprovvisto, gli regalava il cappello o la cintura, pur di non rimandarlo a mani vuote.
O essendo privo di questi, si ritirava in disparte, si toglieva la camicia e la faceva avere di nascosto all’indigente, pregandolo di prenderla per amore di Dio.
Comperava utensili di cui abbisognavano le chiese e segretamente li donava ai sacerdoti poveri" (FF 1403).
E ancora, la Leggenda dei tre compagni c’informa:
"La Grazia divina lo aveva profondamente cambiato. Pur non indossando un abito religioso, bramava trovarsi sconosciuto in qualche città, dove barattare i suoi abiti con gli stracci di un mendicante e provare lui stesso a chiedere l’elemosina per amor di Dio" (FF 1405).
Il Minimo sapeva che quanto riceveva un povero era rivolto a Cristo stesso e che un solo bicchiere d’acqua dato a quei piccoli ed emarginati era offerto a Gesù.
L’incontro con il lebbroso nella piana d’Assisi, infatti, aveva trasformato in lui l’amaro in vera dolcezza.
Francesco temeva il giudizio divino e desiderava corrispondere a quanto la Parola di Dio gli chiedeva.
Era davvero il Poverello fatto pane, il Giullare fatto misericordia, il Generoso che rigenera speranza.
Assisi era divenuta per lui la tavola della Carità su cui deporre amore e perdono; accoglienza dei non considerati - numero sconosciuto per i ricchi epuloni del tempo, sdoganati dal suo evangelico vissuto.
Leggiamo nelle Fonti:
"[i frati] disprezzavano […] ogni bene effimero, bramato dagli amatori di questo mondo.
Soprattutto avversavano il denaro, calpestandolo come la polvere della strada.
Francesco aveva insegnato loro che il denaro non valeva più dello sterco d’asino.
Quanto più erano separati dal mondo, tanto più si tenevano avvinti a Dio.
Avanzavano sulla via della croce e sui sentieri della giustizia: toglievano dal cammino stretto della penitenza e dell’osservanza evangelica ogni ostacolo, onde lasciare a quelli che li avrebbero seguiti una strada spianata e sicura" (FF 1454)
La stessa Chiara, fin da piccola, sottraeva al suo corpo il cibo per donarlo ai poveri, mantenendo questo atteggiamento di cura e sollecitudine speciale verso i bisognosi; tutta la vita.
Entrambi fecero dei beni a loro disposizione un uso evangelico, intelligente, al servizio del Regno di Dio.
«Figlio, ricordati che hai ricevuto i tuoi beni nella tua vita, e Lazzaro ugualmente i mali; ma adesso qui è consolato, tu invece sei torturato» (Lc 16,25)
Il Poverello sempre esortò i suoi frati ad essere misericordiosi con ogni forma d’indigenza, perché il giudizio non concede vita piena a chi non la riconosce ai fratelli.
«Ora, c’era un uomo ricco, che si rivestiva di porpora e di bisso, facendo festa ogni giorno splendidamente. Ma un povero di nome Lazzaro giaceva presso il suo portone coperto di piaghe e desiderando di sfamarsi con quello che cadeva dalla tavola del ricco» (Lc 16,19-20)
Domenica 26.a T.O. anno C (Lc 16,19-31)