«Ecco l’Agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo».
Francesco, il Minimo, amava tutti gli animali, ma particolare predilezione l’aveva per l’agnello, poiché gli rammentava l’Agnello di Dio immolato per la nostra Redenzione.
Il solo pensiero del Figlio di Dio mandato al macello lo commuoveva profondamente, fino alle lacrime.
Le Fonti, scrigno inesauribile di vita degli inizi, ci offrono quadretti molto significativi al riguardo.
“Aveva una tenerezza particolare per gli agnelli, perché nella Scrittura Gesù Cristo é paragonato, spesso e a ragione, per la sua umiltà, al mansueto agnello.
Per lo stesso motivo, il suo amore e la sua simpatia si volgevano in modo particolare a tutte quelle cose che potevano meglio raffigurare o riflettere l’immagine del Figlio di Dio” (FF 455).
“Un altro giorno, pellegrinando per la stessa Marca, con il medesimo frate Paolo, che era ben felice di accompagnarlo, si imbatterono in un uomo che portava al mercato due agnelli da vendere, legati, belanti e penzolanti dalle spalle.
All’udire quei belati, il servo di Dio, vivamente commosso, si accostò, accarezzandoli, come suol fare una madre con i figlioletti che piangono, con tanta compassione e disse al padrone:
«Perché tormenti i miei fratelli agnelli, tenendoli così legati e penzolanti?».
Rispose: “Li porto al mercato e li vendo: ho bisogno di denaro”. E Francesco: «Che ne avverrà?». E quelli: “I compratori li uccideranno e li mangeranno”.
Nell’udire questo il Santo esclamò: «Non sia mai! Prendi come compenso il mio mantello e dammi gli agnelli».
Quell’uomo fu ben felice di un simile baratto, perché il mantello, che Francesco aveva ricevuto a prestito da un uomo proprio quel giorno per ripararsi dal freddo, valeva molto di più delle due bestiole.
Ma ricevuti gli agnellini il Santo di nuovo si rese conto del problema imbarazzante: «Come provvedervi?» e, per consiglio di frate Paolo, li restituì al padrone, raccomandandogli di non venderli, di non recare loro danno alcuno, ma di mantenerli e custodirli con cura” (FF 457).
Feria propria del 3 gennaio (Gv 1,29-34)